Sul bidet
          
            
              di
john coltrane
            
            
              genere
confessioni
            
          
        
        Il capo di mio marito, aveva dato una festa. La sua casa lo consentiva: era una villa alle porte della città, con tanto di prato all’inglese. Spazio ce n’era, e anche parcheggio. Eravamo una trentina di persone, quasi tutte in coppia, nessuna con figli al seguito. Si è mangiato – il padrone di casa e sua moglie non avevano badato a spese – e soprattutto bevuto e fumato.
Io Mario non lo conoscevo bene anche se Riccardo, ovviamente, me ne parlava spesso, con toni non tanto lusinghieri. In poche parole, lo considerava uno stronzo arrogante, ma non era riuscito a dire di no al suo invito, come probabilmente la maggior parte delle persone che erano lì.
Mario era alto, pelato, egocentrico. Al tavolo ero stata messa di fianco a lui, un riconoscimento implicito al mio essere, perlomeno, decorativa – dall’altra parte c’era sua moglie – e un paio di volte avevo sentito il suo ginocchio appoggiarsi al mio. Ma in entrambe i casi quasi subito si era staccato, come se quel contatto fosse stato casuale. Mi aveva versato spesso da bere, e mi aveva fatto accendere due canne, sotto lo sguardo fintamente divertito di Riccardo (in realtà sapevo benissimo che quella confidenza lo disturbava).
Ad un certo punto erano tutti più o meno andati. Persino la mia dolce metà, intento a concionare di musica su un divano con un paio di colleghi, incapace di controllare l’affabulazione compulsiva prodotta dall’hashish. Riguardo alle donne, tutte più o meno in tiro, alcune erano rimaste sedute al tavolo, altre erano momentaneamente scomparse, forse per andare a visitare il giardino, ben illuminato da lampioncini, assieme alla moglie di Mario.
Siccome era da un bel po’ che la trattenevo, mi sono messa alla ricerca del bagno. Quella casa era enorme, su due piani, ce ne dovevano essere più d’uno, ma sono riuscita a trovarlo solo al terzo tentativo, in fondo a un corridoio che, nello stato in cui ero, mi era sembrato più lungo di un tunnel della metro, e molto più buio.
Niente chiave alla porta. Potevo solo sperare che a nessun altro scappasse proprio in quel momento. Ho sollevato il vestito – era nero, sopra il ginocchio, - mi sono tirata giù i collant e gli slip, neri anch’essi, mi sono seduta sul water e l’ho fatta, sentendo istantaneamente il sollievo ben noto della vescica che si svuota. Poi mi sono trasferita sul bidet. Ho aperto l’acqua, premuto il dispenser del sapone per insaponarmi la mano, e ho iniziato a lavarmela. Asciugamano? Mi sarei arrangiata con un po’ di carta igienica, ho pensato.
Proprio in quel momento si è aperta la porta. Mi sono girata di scatto, la mano ancora fra le gambe.
- Oddio, scusa – ha detto Mario. Aveva un’espressione che non avrei saputo definire: forse sorpresa, o forse no, forse solo interlocutoria.
- Beh... – ho detto, seccata – puoi uscire, per favore?
Con il senno di poi: perché non mi sono alzata? Forse perché non avevo finito quello che stavo facendo?
- Sì, certo, scusa, scusa – ha blaterato. Intanto, dopo un istante di esitazione, si è chiuso la porta alle spalle. Evidentemente stava cercando qualcosa da dire. Gli è uscito un assurdo: – Dovevo prendere …
- Cosa dovevi prendere? – ho ribattuto, sbalordita.
I suoi occhi si sono posati sui miei. Non dimenticherò mai il suo sorriso, che si allargava su quel faccione glabro, un po’ sudato.
Ha annullato con due passi decisi la distanza che ci separava.
- Questo – ha aggiunto, con una voce improvvisamente strozzata, chinandosi e mettendo una sua mano sopra la mia, fra le mie cosce.
Per lo spavento sono rimasta immobile. Durante la cena avevo avuto modo di osservare le sue mani. Mi erano sembrate enormi, le dita lunghe, grosse, curate. Adesso quelle stesse dita mi stavano guidando lentamente, come se la mia mano fosse un mouse.
Non sono riuscita a trattenere un gemito. E poi, di seguito: Cosa fai… - devo avere sussurrato. Urlare non mi è passato neanche per l’anticamera del cervello. mi terrorizzava l’idea che mio marito scoprisse cosa stava succedendo.
Lui per tutta risposta ha scostato la mia mano e ha introdotto il suo medio in me. Sarà stato il sapone, o il fatto che ero bagnatissima, ma si è fatto strada senza difficoltà, togliendomi il respiro. Io non so se ce l’ho lunga o corta, larga o stretta, ma ho sentito come se con quel dito fosse arrivato fino in fondo. Poi ha iniziato a muoverlo, a scavare, a saggiare le mie pareti interne, spingendo contro il punto G. Quando lo ha tirato fuori, con la mano aperta ha preso a strofinarmi il clitoride.
Mi sono appoggiata a lui, ho chiuso gli occhi e nascosto la faccia sul suo fianco.
Si è fermato appena ha capito che stavo godendo. Con il palmo aperto, le dita un poco ripiegate, come se stesse afferrando una pesca, mi ha coperto interamente il pube. Gli sono venuta in mano. E sarà stato il fumo, o lui che era molto capace, ma è stato un orgasmo da 10 e lode. .
A mia volta, ho messo la sinistra sopra il dorso della sua mano, e me la sono premuta lì, come lui aveva fatto prima con me, finché anche le ultime contrazioni non si sono placate. Me la sarei tenuta sulla figa per ore, quella mano spudorata. Ne facesse quello che voleva.
Ma lui si è tirato su. Ha estratto il cazzo e me lo ha messo davanti al naso.
Quando tempo era passato? Non ne avevo idea. Non si sentiva nulla, nessun rumore, solo l’acqua che continuava a uscire dai buchi del bidet.
Ho aperto la bocca e l’ho ingoiato. Era grande, proporzionato alla sua persona. Era liscio e circonciso, la cappella svettava rossa senza alcun prepuzio a proteggerla. Ha iniziato a scoparmi la bocca, mentre mi sfiorava i lobi delle orecchie, non mi spingeva brutalmente la nuca verso il suo ventre, come fanno certi uomini, aveva davvero dita sensibili, mi facevano rabbrividire. Per un attimo ho pensato che sarei potuta venire di nuovo. Era così liscio, grosso.
Tuttavia, in un soprassalto di lucidità, ho accelerato, come aveva fatto lui poco prima. Ho accelerato con la bocca, e in certi momenti, quando dovevo respirare, aiutandomi anche con la mano. Anche se mi piaceva succhiarlo, volevo che venisse. Riccardo quanto ci avrebbe messo ancora a notare la mia assenza?
All’improvviso, come se avesse capito, con una spinta più profonda, mi è esploso in gola.
Ho mandato giù tutto, non so da quanto non sborrasse, non finiva mai. Quindi ho continuato a spompinarlo, stringendo l’asta con una mano e con l’altra stringendogli i testicoli. Adesso che era venuto anche lui non avevo più fretta, volevo tenermelo in bocca finché non si fosse ammosciato, cosa che mi sembrava non avesse alcuna intenzione di fare, dal momento che rimaneva durissimo, tant’è che mi ha attraversato per un momento l’idea di mettermelo dentro, di farlo sdraiare sul tappetino di fronte alla vasca da bagno e impalarmici sopra, senza alcun ritegno.
Ma ho aperto gli occhi. Solo allora mi sono resa conto della finestra. Non c’erano tende, perché non avevano pensato a schermare la finestra del bagno? Dall’altra parte del vetro, due donne, le mogli di due dei colleghi di mio marito, mi guardavano con gli occhi sgranati.
Per conversazioni (preferisco con scrittrici) coltranejohn39@gmail.com
            
            
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