Dal dire al fare
di
IL MICROBO
genere
dominazione
SONO SEMPRE STATO
Sono sempre stato stregato dalle zone genitali virili, dove nel folto del tappeto pubico si erge e sta di vedetta l'albero della cuccagna con palle di scorta piene di dolcissimi mieli, e dai relativi culi maschi (stretti, piccoli e sodi) motori di spinte, cui sempre miro quando e quanto siano degni di nota. Mi si parano davanti all'improvviso, poche volte a scena aperta (come in doccia e in sauna e sulle spiagge nudiste), o quasi in vista (sfacciatamente attillati a strizzo nei costumi da bagno o sotto sforzo nei boxer da palestra), o più spesso infagottati in quei rigonfiamenti chiusi da cerniere o da arcane bottoniere (le patte), in tensione come i flettenti di un arco, che trattengono in braga sotto forma di pacco (dono) tutto quello che alloggiano. È un ripostiglio magico più o meno opulento in rapporto: 1. all'intrinseco ingombro delle dotazioni che vi sono custodite, 2. al grado di eccitazione del membro, di momento in momento più o meno vigile, 3. al modello di slip utilizzato (benedetti quelli a canna da pesca) e 4. alle libere conformazioni a spinta che certi capi magicamente agevolano (Mannaggia alle tute e ai pantaloncini sportivi). Non mi sogno per niente di andare oltre al posarvi sopra, morbosamente e furtivamente, gli occhi, in ragione di mia natura purtroppo timida, riservata e comunque stabilmente e chiarissimamente, completamente passiva e astinente, che mi guadagna ingiusta fama di asessuato.
MENTRE SAREI SOLTANTO
Mentre sarei soltanto in attesa di eventuali improbabili abbordaggi e successivi utilizzi del mio peraltro appetitoso lato B o magari di qualche prestazione per via orale che mi sia richiesta o concessa. La sola vista di certi tipi sensuali e birbanti che a partire dalla testa sono dei luna park dai lineamenti assassini, incorniciati sotto volte craniche rasate alla moda o spumeggianti entro chiome che si muovono al vento, delle quali mi godo tutto, in tanta grazia di basette (quando mai non sono vere fedine), di barbe e di baffi di tutte le fogge, che funzionano da eloquenti insegne e specchietti per le allodole e avamposti di ben altri malloppi e tesori e crini che per forza di cose si incontrano nella discesa agli inferi lungo tutto il resto del corpo. A partire da braccia e spalle e toraci ben strutturati, sui quali campeggia l'impronta maliziosa dei capezzoli, e giù e giù nel precipizio di schiene a tavoletta che si arrestano sui tondi dei sederi, e di addomi la loro parte irsuti e configurati dai fianchi, sotto i quali si materializza il baricentro florido e luciferino dei pubi, più tempestosi di un triangolo delle Bermude e così ben sostenuti a sguancio dalle colonne d'Ercole delle gambe, le guardiane del tempio, impiattati coscia a coscia su stinchi in polpa e piedi a fetta. Sono tutti ingredienti di un cocktail da scansione multipla ai raggi X a forte rischio di pensieri inverecondi, tanto che in epoca vittoriana non era facile nominare certe loro parti a voce alta, nemmeno in riferimento ad altri contesti (come potevano essere “le gambe” del tavolo o “le cosce” del pollo), perché già di per sé evocavano qualcosa di peccaminoso.
È COSÌ CHE MI SAZIO
È così che mi sazio di ben sconci appetiti, destinati a farmi crepare d'invidia e a sprofondare nel turbamento dei sensi, mentre indugio a sbircio lembi che fanno capolino qua e là, che siano più o meno a nudo, più o meno glabri o irsuti, più o meno svestiti o abbigliati, dentro il sipario e la prigione degli abiti, maledizione a quelli in divisa, che incutono a me tapino il massimo del rispetto e della soggezione. Quanti paesaggi erotici, composti da pianure e colline, da prati e boschi, fra alture, balze, pieghe, ripidi contrafforti e forre e squisite rotatorie dell'amore, che mi fanno sempre restare a bocca aperta e fremere dalle fauci fino agli intestini, miei perfetti alfa e omega di possibili coiti invertiti, nei quali certi cazzi crudi potrebbero pinciare più o meno a saltimbocca o in saccheggio di glutei. Tutti questi pezzi e scampoli e brandelli di mascolinità mi si rimescolano davanti agli occhi come un mazzo di carte triestine da scopa, che pescate una per una mi fanno arrivare l'acquolina in bocca in lurida aspettativa di cose piccanti, nel vuoto di quei meriggi solitari e desolati in cui vago randagio, da scapolo e da frustrato in cerca di autore.
MA UN BEL GIORNO
Ma un bel giorno dell'estate scorsa, mentre stavo appostato il più possibile in incognito e in sordina in un parco dove però forse troppo insistentemente passavo in rassegna e valutavo inguini e sederi di ogni razza ed età, sono stato notato e subito avvicinato da un uomo assai ben messo e dai modi cordiali e bonari che si è piazzato sulla mia stessa panchina restandoci a lungo in silenzio ad osservarmi e a studiarmi. Dopo un bel po' mi ha attaccato bottone con un fiume di chiacchiere fino a quando non è arrivato al nocciolo della questione e in modo più che sbrigativo mi ha chiesto senza troppi giri di parole se intendevo approfondire con lui una esperienza un po' particolare tagliata su misura per me. A bruciapelo mi sussurrò in un orecchio che lui era un padrone di quelli veri e severi in cerca di uno schiavo totale alle sue dipendenze, quale io gli divenni presto. All'inizio in modo più che saltuario a chiamata, in seguito con maggiore regolarità ma ancora part time e diciamo così a singhiozzo e infine in maniera più stabile come da contratto a tempo pieno e indeterminato di convivenza, quale si costuma stipulare tra un dom che ti accetta e un sub che a Lui si consegna in maniera irreversibile.
LA PRIMA VOLTA IN CASA
La prima volta in casa sua con mio massimo stupore mi sono dovuto spicciare a spogliarmi nudo come un albero d'inverno o meglio come un verme e mi è stata presentata davanti al muso la sua arma che da quieta sembrava una pistola, poi un pistolone, a mezza erezione un fucile da caccia, ad alzabandiera una bombarda. Sto parlando di una canna quasi inverosimile di buoni 22 cm in tiro e assai grossa di calibro, da lui chiamata non a torto la Grande Bertha. La sua gittata sembrava in grado di tenere sotto controllo un intero esercito di culattoni per sterminarli tutti colpo su colpo. Me la fece baciare ginocchioni. Cosa che io ho eseguito all'istante. Mi fu provata in bocca anche se fui giudicato uno schifo per il mio modo primitivo di succhiargliela. Poi mi capovolse pungendomi l'ano e strapazzandomelo in maniera tale che ancora me ne ricordo bene e ancora mi brucia solo al pensiero di come e quanto mi fece suo quella volta che fu l'innizio di molte al servizio del suo mostruoso bastone. Da subito mi sono sentito ostaggio delle sue voglie e prigioniero del suo imperio che assolutamente non ammettevano obiezioni.
PER UN MESE INTERO
Per un mese intero mi ha tenuto in continuo esercizio ad apprendere il modo giusto di lavorargli il manico e mi ha fatto diventare un bocchinaro di un certo pregio, come fui confermarono uno dopo l'altro tutti i compari che mi ha fatto assaggiare. Per cui potrei ora insegnare l'arte ai non pochi incapaci che alle prese con questa pratica gettano troppo presto la spugna da far cascar le braccia. In pasto all'uccello non si può e non si deve apparire come dei condannati che salgono sul patibolo ma bisogna invece farsi animo e fin da subito prendere atto della situazione e gestirla fino per benino fino in fondo. Serve trasporto e anzi passione e in primo luogo desiderio (autentico) di riceverlo a spanna. Quando l'asta è fuori norma può essere un osso davvero duro da azzannare. Parola d'ordine non spaventarsi: forza e coraggio.
CI SONO REGOLE
Ci sono regole precise che una per una mi sono state insegnate.
Regola prima: Cominciare sempre dalle palle che vanno perlustrate e lustrate palmo a palmo.
Regola seconda: È un massaggio e non un assaggio (a morso). Prego esercitarsi a lungo con banana soda sbucciata: è una buona scuola.
Regola terza: Il coso in questione va implementato solo a pelle.
Regola quarta: È un maritozzo non una trave.
Regola quinta: Passivi d'accordo ma partecipi e non inerti. Fare e lasciar fare, agire e reagire.
Regola sesta: Gemiti e guaiti sono sempre graditi.
Regola settima: Smorfie, Muchi e bave, rende il tutto più grave.
Regola ottava: Le sberle aiutano, eccome! Quanto le tirate d'orecchi, le pinzate al naso e i traini quasi musicìdi in pressa sul pube a soffoco.
Regola nona: Affanni, rantoli e conati, non vanno disdegnati.
Regola decima: Qualche pelo non strangola: mandare giù.
Regola undicesima: Dai cinque ai dieci (minuti) la sua giusta durata. Dai 15 in su stracca e stufa (il tuo Lui più di te). Mezz'ora e oltre: non ci sapete proprio fare.
Regola dodicesima: L'ingoio non è un contrattempo, ma un traguardo e una ricompensa.
Regola tredicesima: A cose fatte pulire l'arma (con calma e con cura dal glande fino alla radice e dintorni): è un pezzo d'obbligo.
Regola quattordicesima: Se ci scappa la pisciata va subito intercettata: non è altro che una mancia.
Regola quindicesima: Quando ammoscia e torna in slip la partita è chiusa.
Regola sedicesima: Resta sul dritto? Pazientare: forse ci scappa il bis.
HO IMPARATO
Ho imparato bene a fare e a strafare quello che tale sconveniente e a volte opprimente suzione comporta, primo goloso antipasto in vista del piatto forte cui sono destinato a squadra, in quanto le mie chiappe e il mio deretano sono da rompere sempre e comunque a squasso, nel via e vai di quell'uccello durissimo che di prepotenza mi fa suo, in lungo e in largo a tuffo nel retto, visto che ormai gli appartengo dentro e fuori, a giravolta succube delle sue potenti e meravigliose incursioni.
Sono sempre stato stregato dalle zone genitali virili, dove nel folto del tappeto pubico si erge e sta di vedetta l'albero della cuccagna con palle di scorta piene di dolcissimi mieli, e dai relativi culi maschi (stretti, piccoli e sodi) motori di spinte, cui sempre miro quando e quanto siano degni di nota. Mi si parano davanti all'improvviso, poche volte a scena aperta (come in doccia e in sauna e sulle spiagge nudiste), o quasi in vista (sfacciatamente attillati a strizzo nei costumi da bagno o sotto sforzo nei boxer da palestra), o più spesso infagottati in quei rigonfiamenti chiusi da cerniere o da arcane bottoniere (le patte), in tensione come i flettenti di un arco, che trattengono in braga sotto forma di pacco (dono) tutto quello che alloggiano. È un ripostiglio magico più o meno opulento in rapporto: 1. all'intrinseco ingombro delle dotazioni che vi sono custodite, 2. al grado di eccitazione del membro, di momento in momento più o meno vigile, 3. al modello di slip utilizzato (benedetti quelli a canna da pesca) e 4. alle libere conformazioni a spinta che certi capi magicamente agevolano (Mannaggia alle tute e ai pantaloncini sportivi). Non mi sogno per niente di andare oltre al posarvi sopra, morbosamente e furtivamente, gli occhi, in ragione di mia natura purtroppo timida, riservata e comunque stabilmente e chiarissimamente, completamente passiva e astinente, che mi guadagna ingiusta fama di asessuato.
MENTRE SAREI SOLTANTO
Mentre sarei soltanto in attesa di eventuali improbabili abbordaggi e successivi utilizzi del mio peraltro appetitoso lato B o magari di qualche prestazione per via orale che mi sia richiesta o concessa. La sola vista di certi tipi sensuali e birbanti che a partire dalla testa sono dei luna park dai lineamenti assassini, incorniciati sotto volte craniche rasate alla moda o spumeggianti entro chiome che si muovono al vento, delle quali mi godo tutto, in tanta grazia di basette (quando mai non sono vere fedine), di barbe e di baffi di tutte le fogge, che funzionano da eloquenti insegne e specchietti per le allodole e avamposti di ben altri malloppi e tesori e crini che per forza di cose si incontrano nella discesa agli inferi lungo tutto il resto del corpo. A partire da braccia e spalle e toraci ben strutturati, sui quali campeggia l'impronta maliziosa dei capezzoli, e giù e giù nel precipizio di schiene a tavoletta che si arrestano sui tondi dei sederi, e di addomi la loro parte irsuti e configurati dai fianchi, sotto i quali si materializza il baricentro florido e luciferino dei pubi, più tempestosi di un triangolo delle Bermude e così ben sostenuti a sguancio dalle colonne d'Ercole delle gambe, le guardiane del tempio, impiattati coscia a coscia su stinchi in polpa e piedi a fetta. Sono tutti ingredienti di un cocktail da scansione multipla ai raggi X a forte rischio di pensieri inverecondi, tanto che in epoca vittoriana non era facile nominare certe loro parti a voce alta, nemmeno in riferimento ad altri contesti (come potevano essere “le gambe” del tavolo o “le cosce” del pollo), perché già di per sé evocavano qualcosa di peccaminoso.
È COSÌ CHE MI SAZIO
È così che mi sazio di ben sconci appetiti, destinati a farmi crepare d'invidia e a sprofondare nel turbamento dei sensi, mentre indugio a sbircio lembi che fanno capolino qua e là, che siano più o meno a nudo, più o meno glabri o irsuti, più o meno svestiti o abbigliati, dentro il sipario e la prigione degli abiti, maledizione a quelli in divisa, che incutono a me tapino il massimo del rispetto e della soggezione. Quanti paesaggi erotici, composti da pianure e colline, da prati e boschi, fra alture, balze, pieghe, ripidi contrafforti e forre e squisite rotatorie dell'amore, che mi fanno sempre restare a bocca aperta e fremere dalle fauci fino agli intestini, miei perfetti alfa e omega di possibili coiti invertiti, nei quali certi cazzi crudi potrebbero pinciare più o meno a saltimbocca o in saccheggio di glutei. Tutti questi pezzi e scampoli e brandelli di mascolinità mi si rimescolano davanti agli occhi come un mazzo di carte triestine da scopa, che pescate una per una mi fanno arrivare l'acquolina in bocca in lurida aspettativa di cose piccanti, nel vuoto di quei meriggi solitari e desolati in cui vago randagio, da scapolo e da frustrato in cerca di autore.
MA UN BEL GIORNO
Ma un bel giorno dell'estate scorsa, mentre stavo appostato il più possibile in incognito e in sordina in un parco dove però forse troppo insistentemente passavo in rassegna e valutavo inguini e sederi di ogni razza ed età, sono stato notato e subito avvicinato da un uomo assai ben messo e dai modi cordiali e bonari che si è piazzato sulla mia stessa panchina restandoci a lungo in silenzio ad osservarmi e a studiarmi. Dopo un bel po' mi ha attaccato bottone con un fiume di chiacchiere fino a quando non è arrivato al nocciolo della questione e in modo più che sbrigativo mi ha chiesto senza troppi giri di parole se intendevo approfondire con lui una esperienza un po' particolare tagliata su misura per me. A bruciapelo mi sussurrò in un orecchio che lui era un padrone di quelli veri e severi in cerca di uno schiavo totale alle sue dipendenze, quale io gli divenni presto. All'inizio in modo più che saltuario a chiamata, in seguito con maggiore regolarità ma ancora part time e diciamo così a singhiozzo e infine in maniera più stabile come da contratto a tempo pieno e indeterminato di convivenza, quale si costuma stipulare tra un dom che ti accetta e un sub che a Lui si consegna in maniera irreversibile.
LA PRIMA VOLTA IN CASA
La prima volta in casa sua con mio massimo stupore mi sono dovuto spicciare a spogliarmi nudo come un albero d'inverno o meglio come un verme e mi è stata presentata davanti al muso la sua arma che da quieta sembrava una pistola, poi un pistolone, a mezza erezione un fucile da caccia, ad alzabandiera una bombarda. Sto parlando di una canna quasi inverosimile di buoni 22 cm in tiro e assai grossa di calibro, da lui chiamata non a torto la Grande Bertha. La sua gittata sembrava in grado di tenere sotto controllo un intero esercito di culattoni per sterminarli tutti colpo su colpo. Me la fece baciare ginocchioni. Cosa che io ho eseguito all'istante. Mi fu provata in bocca anche se fui giudicato uno schifo per il mio modo primitivo di succhiargliela. Poi mi capovolse pungendomi l'ano e strapazzandomelo in maniera tale che ancora me ne ricordo bene e ancora mi brucia solo al pensiero di come e quanto mi fece suo quella volta che fu l'innizio di molte al servizio del suo mostruoso bastone. Da subito mi sono sentito ostaggio delle sue voglie e prigioniero del suo imperio che assolutamente non ammettevano obiezioni.
PER UN MESE INTERO
Per un mese intero mi ha tenuto in continuo esercizio ad apprendere il modo giusto di lavorargli il manico e mi ha fatto diventare un bocchinaro di un certo pregio, come fui confermarono uno dopo l'altro tutti i compari che mi ha fatto assaggiare. Per cui potrei ora insegnare l'arte ai non pochi incapaci che alle prese con questa pratica gettano troppo presto la spugna da far cascar le braccia. In pasto all'uccello non si può e non si deve apparire come dei condannati che salgono sul patibolo ma bisogna invece farsi animo e fin da subito prendere atto della situazione e gestirla fino per benino fino in fondo. Serve trasporto e anzi passione e in primo luogo desiderio (autentico) di riceverlo a spanna. Quando l'asta è fuori norma può essere un osso davvero duro da azzannare. Parola d'ordine non spaventarsi: forza e coraggio.
CI SONO REGOLE
Ci sono regole precise che una per una mi sono state insegnate.
Regola prima: Cominciare sempre dalle palle che vanno perlustrate e lustrate palmo a palmo.
Regola seconda: È un massaggio e non un assaggio (a morso). Prego esercitarsi a lungo con banana soda sbucciata: è una buona scuola.
Regola terza: Il coso in questione va implementato solo a pelle.
Regola quarta: È un maritozzo non una trave.
Regola quinta: Passivi d'accordo ma partecipi e non inerti. Fare e lasciar fare, agire e reagire.
Regola sesta: Gemiti e guaiti sono sempre graditi.
Regola settima: Smorfie, Muchi e bave, rende il tutto più grave.
Regola ottava: Le sberle aiutano, eccome! Quanto le tirate d'orecchi, le pinzate al naso e i traini quasi musicìdi in pressa sul pube a soffoco.
Regola nona: Affanni, rantoli e conati, non vanno disdegnati.
Regola decima: Qualche pelo non strangola: mandare giù.
Regola undicesima: Dai cinque ai dieci (minuti) la sua giusta durata. Dai 15 in su stracca e stufa (il tuo Lui più di te). Mezz'ora e oltre: non ci sapete proprio fare.
Regola dodicesima: L'ingoio non è un contrattempo, ma un traguardo e una ricompensa.
Regola tredicesima: A cose fatte pulire l'arma (con calma e con cura dal glande fino alla radice e dintorni): è un pezzo d'obbligo.
Regola quattordicesima: Se ci scappa la pisciata va subito intercettata: non è altro che una mancia.
Regola quindicesima: Quando ammoscia e torna in slip la partita è chiusa.
Regola sedicesima: Resta sul dritto? Pazientare: forse ci scappa il bis.
HO IMPARATO
Ho imparato bene a fare e a strafare quello che tale sconveniente e a volte opprimente suzione comporta, primo goloso antipasto in vista del piatto forte cui sono destinato a squadra, in quanto le mie chiappe e il mio deretano sono da rompere sempre e comunque a squasso, nel via e vai di quell'uccello durissimo che di prepotenza mi fa suo, in lungo e in largo a tuffo nel retto, visto che ormai gli appartengo dentro e fuori, a giravolta succube delle sue potenti e meravigliose incursioni.
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