Una segretaria particolare
di
Miss Serena
genere
dominazione
Durante trent’anni di non carriera nell’azienda dov’ero entrata quasi per caso, mi avevano dato i soprannomi più assurdi, ma quello che preferivo era “la segretaria in grigio”, dato che portavo la gonna sempre di quel colore, così come una camicetta bianca, e le uniche variabili erano date dal colore della giacca, che poteva essere anch’essa grigia, oppure blu o verde.
A seguire c’era “la signorina rosa antico”, colore dell’unico rossetto che mettevo, ma che spesso faceva rima coll’antico come il mio modo di fare, dove le prime regole erano educazione e rispetto.
Parlavo di non carriera, ma in realtà l’aveva fatto se non altro perché ero sempre stata la segretaria del dottor Antonello Altoriffi, che invece aveva ben scalato le gerarchie aziendali, sino ad essere vicedirettore generale e prossimo direttore unico.
A volte usciva la voce che ne fossi anche l’amante, ma poi bastava che passasse in ufficio la moglie Nadia, donna di rara bellezza, ma ancor più introvabile classe, per togliere ogni dubbio, uno che aveva sposato una come quella non poteva certo mettersi con me, che ero considerata la banalità in persona sia come bellezza che come aspetto fisico. Non che poi fossi da buttare, ma a cinquant’anni senza mai aver fatto un minuto di palestra o passata da un chirurgo plastico, non potevo certo competere con le colleghe più giovani, o quelle che avevano fatto dell’estetica la loro ragione di vita.
C’erano i colleghi di ambo i sessi che si sbizzarrivano a voler risolvere quelli che in molti consideravano i grandi misteri, ed il primo era come potessi permettermi col mio stipendio un appartamento sì piccolo, ma in pieno centro, fra l’altro a pochi passi dal lavoro. La risposta più gettonata era che l’avessi ereditato, seguita dall’acquisto a seguito di una qualche vincita alla lotteria.
Vi era poi l’arcano dell’armadio, visto che ero vestita sempre nello stesso modo, ma che i capi venivano tutti da “Nicoletta”, uno dei negozi più cari della città, dove ci mancava poco che ti facessero pagare anche l’ingresso, e dentro il quale ero stata vista più volte fare acquisti.
Ovviamente in trent’anni c’era stato chi s’era armata di coraggio e m’aveva fatta qualche domanda diretta, trovando sempre la stessa risposta “Non sono affari tuoi”.
Così l’unione d’essere un animale asociale, con una totale dedizione al lavoro, mi avevano resa un lupo solitario in gonna sotto il ginocchio, che mangiava sempre da sola e sempre allo stesso tavolo per due e che, se apriva bocca era solo per dare qualche direttiva.
Pensandoci bene neanche un grande maestro del thriller come Federich Forsyth, avrebbe mai potuto ideare una copertura migliore per quella che era la mia reale attività, quella di Mistress e non per vantarmi, ma trovare di meglio è impossibile.
Tutte le sere uscivo di casa alle nove in punto per recarmi nel mio Dungeon, che avevo sistemato in un anonimo appartamento in quello che era la fine del centro e l’inizio della periferia, dove poteva entrare e uscire chiunque senza che qualcuno si facesse una domanda.
Alle dieci arrivava il cliente della serata, che pagava mediamente cinquecento euro per una sessione, e una volta finito di giocare a fare lo schiavo, prenotava quella successiva dato che avevo sempre l’agenda piena.
C’era un solo cliente che aveva pagato una volta per poi non doverlo fare mai più, ed era il dottor Antonello Altoriffi, che aspettavo proprio quella sera. Non solo era stato uno dei miei primi clienti, ma una volta scoperto che avevo fatto i corsi per segretaria d’azienda, mi offrì un lavoro “serio” con la possibilità di proseguire gli studi.
Così ero entrata nell’azienda dove lavorava dopo un colloquio a dir poco comico, per diventare fin da subito la sua assistente, e dopo qualche anno prendere il diploma in una di quelle scuole dove l’unica cosa che conta è pagare la retta.
In cambio non pagava una sessione al mese, durante la quale c’era una totale inversione dei ruoli, anche se a volte uscivano fuori i nomi che usavamo sul lavoro, ma del resto errare è umano. Ovviamente nessuno sapeva del suo vizietto, iniziando dalla moglie Nadia compresi i figli, per passare a tutti i colleghi e sottoposti, per finire con la “buona società”.
Quella sera però era diverso, e non solo perché il “cliente” era proprio il mio capo, tanto che volli cambiare il mio solito abbigliamento da dominatrice con uno più sensuale, non dico da segretaria sexy in quanto avrei fatto ridere, ma da donna sì matura ma ancora piacente.
Così dopo essermi lavata scelsi un completo di raso azzurro e pizzo blu, composto da un bel bustino che teneva ben in alto il seno, uno slip sgambato ma a vita alta, e un reggicalze che mi fece perder tempo non essendo abituata a mettere le calze, che scelsi velatissime e nere. Coprii tutto con un anonimo abito blu scuro, quindi presi la mia auto per recarmi al Dungeon dove arrivai con una ventina di minuti d’anticipo rispetto all’orario dell’appuntamento.
Con calma preparai tutto quello che sapevo mi sarebbe servito su un paio di carrelli in modo d’averlo a portata di mano, per poi aspettare chi avrei sottomesso facendo un paio di sudoku che risultarono fin troppo semplici.
Con la puntualità di un orologio svizzero, e del resto ne aveva uno al polso, alle dieci suonò al campanello il dottor Antonello Altoriffi, che feci entrare quasi di fretta.
“Se non ricordo male la regola è che sino a quando sono vestito posso darti del tu, non è vero ?” mi chiese ben sapendo d’avere ragione.
“Sì perché ?”
“Perché allora ti ho portato qualcosa che ami, palline di cioccolata fondente con dentro scorzette d’arancia candite prese da Nicholas, il tuo negozio di cioccolato preferito.” mi rispose dandomi un sacchetto dall’inconfondibile color viola tendente al blu.
“Sei un diavolo tentatore, ma non riuscirai a corrompermi, anzi spogliati subito così iniziamo perché stasera voglio che sia speciale.”
Antonello si spogliò in fretta, mettendo i suoi abiti ben piegati sull’omino che lasciavo a disposizione dei clienti, mentre io m’andavo sedere su quello che chiamavo il mio trono aspettando che finisse.
“Bravo il mio schiavetto.” gli dissi una volta che fu nudo “Adesso in ginocchio e vieni a coccolarmi i piedi, perché oggi un uomo cattivo m’ha fatta camminare fin troppo.”
Lo vidi abbozzare un sorriso perché sapeva che era vero, anche se la colpa non era stata la sua, ma in ufficio avevo davvero fatto i chilometri per andare dietro a ogni sua pratica. Da slave che ben sapeva cosa fare mi tolse una scarpa per poi passare la lingua in mezzo alle dita, quindi sulla pianta del piede facendo ben attenzione di non farmi il solletico, il che avrebbe portato a una punizione, per poi ripetere gli stessi gesti coll’altro piede in modo quasi perfettamente simmetrico.
Senza avere alcuna fretta risalì con la lingua sulle gambe, sino a ritrovarsi davanti alle mutandine, e rimanendo un po’ stupito per non vedere le solite in pelle o lattice, ma fu giusto un attimo che solo un occhio ben allenato come il mio poteva notare. Infatti passato quell’attimo di esitazione leccò gli slip ma solo la parte sopra la passera, senza usare in alcun modo le mani per aiutarsi, ma tenendole dietro la schiena. Mi bastò quindi un piccolo colpo dato col ginocchio per farlo barcollare, e trovare quindi una motivazione per una punizione, che lui accettò senza dire una parola.
Gli misi un paio di robuste manette in acciaio che poi fissai a un gancio che pendeva dal soffitto, e prendere quindi il frustino, che però non usai subito preferendo farlo eccitare toccandolo su tutto il corpo con la punta delle dita. Quella che per lui era una novità lo mandò ben presto fuori giri, e una notevole erezione fu la prova evidente di quanto gradisse quel gioco.
A quel punto fui quasi costretta a colpirlo sulle natiche col frustino, ma mi divertiva troppo eccitarlo per poi punirlo, così continuai ad alternare le carezze con schiaffi e frustate, che però non furono mai tanto forti da lasciare il segno.
“Sdraiati al centro del letto con le mani in alto.” gli ordinai dopo avergli sganciato le manette per poi fissarle alla testiera in ferro del letto.
Una volta che l’ebbi di nuovo immobilizzato mi tolsi l’abito per tornare ad eccitarlo, ma questa volta strusciando il mio corpo sul suo, sentendo bene il suo pene contro di me.
“Scommetto che un giochino così la tua bella mogliettina non te l’ha mai fatto.” gli dissi sfilandomi gli slip.
“No padrona, però così non so quanto posso resistere.”
“Resisterai perché sai che non puoi fare altro, intanto leccami la fica almeno servi a qualcosa.” gli ordinai sedendomi di fatto sul suo viso.
Per quanto con ben poca possibilità di muovere la testa, Antonello mi leccò la passera con devozione, facendo sì che ora fossi io ad eccitarmi, sapendo che solo in quel modo sarei passata al gioco successivo.
Non ho mai amato troppo il “normale sesso etero” trovandolo limitato, mentre nel Bdsm gli unici paletti erano la mia perversa fantasia oltre che il buonsenso, ma quella sera avevo una strana voglia di cazzo, peccato che non potessi prendermi il suo, o almeno non subito. Così cercai di placare la mia voglia legandogli uno strap-on sulla bocca, per poi salirci sopra e cavalcarlo come se fosse un vero pene, ma invece di trovare conforto salì ancor di più la voglia di scopare.
Lui era sempre più frastornato, ma del resto non l’avevo mai usato in quel modo, anzi i nostri rapporti erano quasi sempre gli stessi, fatti di pratiche non eccessive, e di una dominazione che era più mentale che fisica.
“Lo so che vuoi che ti scopi, ma non sei ancora pronto.” gli dissi mentendo sperando di tenerlo buono anche se non poteva dire nulla avendo la bocca chiusa dallo strap-on.
Cercai in tutti i modi d’avere un orgasmo, ma allo stesso di mascherarlo non volendo perdere il ruolo di dominante, ma ben presto mi resi conto che era tutto inutile, e che forse per la prima volta in vita mia, avevo davvero bisogno di un vero pene per godere.
Non volli però lasciare il suo bel culo senza nulla dentro, così gli tolsi lo strap-on dalla bocca per poi togliere il fallo dall’imbragatura, e dopo averlo unto leggermente lo sodomizzai senza usare troppa grazia.
In un attimo il membro di Antonello raggiunse la sua massima erezione, e solo a quel punto gli salì sopra per impalarmi sull’oggetto del mio desiderio.
“Padrona io …” balbettò incredulo.
“Tu prova a venire subito e poi ti mando a casa col culo a strisce.” gli risposi iniziando a cavalcarlo con movimenti lenti ma estremamente appaganti, almeno per me.
Sapendo di non aver sotto uno stallone da monta, cercai di non andare troppo forte, volendo gustarmi quel rapporto il più a lungo possibile, quasi fermando il mio incedere quando vedevo che il suo orgasmo s’avvicinava pericolosamente.
Nonostante ogni mia accortezza, quando compresi che per lui era impossibile andare avanti, mi sdraiai sul suo corpo e diedi un paio di colpi quasi violenti, ritrovandomi la passera piena del suo seme.
“Lurido incapace adesso lecchi quello che mi hai lasciato dentro.” gli dissi rimettendogli il mio sesso davanti alla faccia, non sapendo come avrebbe reagito a quella novità.
Antonello dopo un attimo di comprensibile incertezza, allungò la lingua per passarmela dentro la passera, e ritrovarsi così in bocca il suo stesso orgasmo, ma soprattutto dandomi le ultime gocce di piacere della serata.
Quando lo liberai era ancora sconvolto, ma più che altro era evidente che non sapeva cosa dire, così presi io l’iniziativa per toglierlo dall’imbarazzo.
“Prendilo come un regalo d’addio, o se vuoi uno sfizio che volevo togliermi.”
“Allora hai deciso, appendi la frusta al chiodo e ti ritiri sul serio ?” mi chiese con ancora il fiatone.
“Sì e domani porterò all’ufficio personale il mio preavviso dei quindici giorni, così avranno altro di cui sparlare su di me.”
“Non ho capito però il perché, in fondo hai la tua vita, anzi due… quindi perché lasciarle entrambe.”
“Lo sai benissimo, ho cinquant’anni e voglio godermi la vita, fra l’altro ho abbastanza denaro per farlo senza patemi.” gli risposi sedendomi vicino a lui “Ho comprato una casette alle Azzorre dove me ne andrò fra meno di tre settimane, coll’unica idea di non fare nulla, se non scrivere le mie memorie da Mistress ovviamente senza fare un nome. Ho anche trovato chi prenderà il mio posto in questo Dungeon, che sa già il trattamento che ti deve fare, quindi per te cambierà poco o nulla.”
“Cambierà che non avrò più la mia segretaria.”
“Se sei furbo ti prendi Rossana, non sarà una gran bellezza ma sa come lavorare, e del resto è un anno che la preparo per prendere il mio posto, anche se credo non l’abbia ancora capito.”
“Seguirò il tuo consiglio, e del resto l’ho fatto con tutti quelli che mi hai dato, e posso dire che non hai mai sbagliato.”
“Lo so ora rivestiti e vai a casa.”
Lo vidi rimettere i suoi abiti da dirigente per poi uscire da quell’appartamento, che rimisi a posto volendo lasciarlo in ordine per la nuova inquilina.
Come promesso il giorno seguente diedi le mie irrevocabili dimissioni seminando il panico fra le pettegole, anche perché nessuna osò chiedermi il perché di quella decisione.
Il mio posto da segretaria personale del dottor Antonello Altoriffi fu preso da Rossana, che quasi svenne alla notizia, ma poi si mise al lavoro per non farmi rimpiangere.
Quello da Mistress un invece acquistato la Lady Marion, che insieme al locale comprò il mio pacchetto clienti ai quali aggiunse i suoi.
Quanto a me devo ancora decidere il titolo della mia autobiografia, nel frattempo ho trovato un’amica molto particolare, ma come avrete capito ci tengo molto alla mia privacy.
Invito tutti a visitare il mio piccolo blog
http://serenathemiss.wordpress.com/
A seguire c’era “la signorina rosa antico”, colore dell’unico rossetto che mettevo, ma che spesso faceva rima coll’antico come il mio modo di fare, dove le prime regole erano educazione e rispetto.
Parlavo di non carriera, ma in realtà l’aveva fatto se non altro perché ero sempre stata la segretaria del dottor Antonello Altoriffi, che invece aveva ben scalato le gerarchie aziendali, sino ad essere vicedirettore generale e prossimo direttore unico.
A volte usciva la voce che ne fossi anche l’amante, ma poi bastava che passasse in ufficio la moglie Nadia, donna di rara bellezza, ma ancor più introvabile classe, per togliere ogni dubbio, uno che aveva sposato una come quella non poteva certo mettersi con me, che ero considerata la banalità in persona sia come bellezza che come aspetto fisico. Non che poi fossi da buttare, ma a cinquant’anni senza mai aver fatto un minuto di palestra o passata da un chirurgo plastico, non potevo certo competere con le colleghe più giovani, o quelle che avevano fatto dell’estetica la loro ragione di vita.
C’erano i colleghi di ambo i sessi che si sbizzarrivano a voler risolvere quelli che in molti consideravano i grandi misteri, ed il primo era come potessi permettermi col mio stipendio un appartamento sì piccolo, ma in pieno centro, fra l’altro a pochi passi dal lavoro. La risposta più gettonata era che l’avessi ereditato, seguita dall’acquisto a seguito di una qualche vincita alla lotteria.
Vi era poi l’arcano dell’armadio, visto che ero vestita sempre nello stesso modo, ma che i capi venivano tutti da “Nicoletta”, uno dei negozi più cari della città, dove ci mancava poco che ti facessero pagare anche l’ingresso, e dentro il quale ero stata vista più volte fare acquisti.
Ovviamente in trent’anni c’era stato chi s’era armata di coraggio e m’aveva fatta qualche domanda diretta, trovando sempre la stessa risposta “Non sono affari tuoi”.
Così l’unione d’essere un animale asociale, con una totale dedizione al lavoro, mi avevano resa un lupo solitario in gonna sotto il ginocchio, che mangiava sempre da sola e sempre allo stesso tavolo per due e che, se apriva bocca era solo per dare qualche direttiva.
Pensandoci bene neanche un grande maestro del thriller come Federich Forsyth, avrebbe mai potuto ideare una copertura migliore per quella che era la mia reale attività, quella di Mistress e non per vantarmi, ma trovare di meglio è impossibile.
Tutte le sere uscivo di casa alle nove in punto per recarmi nel mio Dungeon, che avevo sistemato in un anonimo appartamento in quello che era la fine del centro e l’inizio della periferia, dove poteva entrare e uscire chiunque senza che qualcuno si facesse una domanda.
Alle dieci arrivava il cliente della serata, che pagava mediamente cinquecento euro per una sessione, e una volta finito di giocare a fare lo schiavo, prenotava quella successiva dato che avevo sempre l’agenda piena.
C’era un solo cliente che aveva pagato una volta per poi non doverlo fare mai più, ed era il dottor Antonello Altoriffi, che aspettavo proprio quella sera. Non solo era stato uno dei miei primi clienti, ma una volta scoperto che avevo fatto i corsi per segretaria d’azienda, mi offrì un lavoro “serio” con la possibilità di proseguire gli studi.
Così ero entrata nell’azienda dove lavorava dopo un colloquio a dir poco comico, per diventare fin da subito la sua assistente, e dopo qualche anno prendere il diploma in una di quelle scuole dove l’unica cosa che conta è pagare la retta.
In cambio non pagava una sessione al mese, durante la quale c’era una totale inversione dei ruoli, anche se a volte uscivano fuori i nomi che usavamo sul lavoro, ma del resto errare è umano. Ovviamente nessuno sapeva del suo vizietto, iniziando dalla moglie Nadia compresi i figli, per passare a tutti i colleghi e sottoposti, per finire con la “buona società”.
Quella sera però era diverso, e non solo perché il “cliente” era proprio il mio capo, tanto che volli cambiare il mio solito abbigliamento da dominatrice con uno più sensuale, non dico da segretaria sexy in quanto avrei fatto ridere, ma da donna sì matura ma ancora piacente.
Così dopo essermi lavata scelsi un completo di raso azzurro e pizzo blu, composto da un bel bustino che teneva ben in alto il seno, uno slip sgambato ma a vita alta, e un reggicalze che mi fece perder tempo non essendo abituata a mettere le calze, che scelsi velatissime e nere. Coprii tutto con un anonimo abito blu scuro, quindi presi la mia auto per recarmi al Dungeon dove arrivai con una ventina di minuti d’anticipo rispetto all’orario dell’appuntamento.
Con calma preparai tutto quello che sapevo mi sarebbe servito su un paio di carrelli in modo d’averlo a portata di mano, per poi aspettare chi avrei sottomesso facendo un paio di sudoku che risultarono fin troppo semplici.
Con la puntualità di un orologio svizzero, e del resto ne aveva uno al polso, alle dieci suonò al campanello il dottor Antonello Altoriffi, che feci entrare quasi di fretta.
“Se non ricordo male la regola è che sino a quando sono vestito posso darti del tu, non è vero ?” mi chiese ben sapendo d’avere ragione.
“Sì perché ?”
“Perché allora ti ho portato qualcosa che ami, palline di cioccolata fondente con dentro scorzette d’arancia candite prese da Nicholas, il tuo negozio di cioccolato preferito.” mi rispose dandomi un sacchetto dall’inconfondibile color viola tendente al blu.
“Sei un diavolo tentatore, ma non riuscirai a corrompermi, anzi spogliati subito così iniziamo perché stasera voglio che sia speciale.”
Antonello si spogliò in fretta, mettendo i suoi abiti ben piegati sull’omino che lasciavo a disposizione dei clienti, mentre io m’andavo sedere su quello che chiamavo il mio trono aspettando che finisse.
“Bravo il mio schiavetto.” gli dissi una volta che fu nudo “Adesso in ginocchio e vieni a coccolarmi i piedi, perché oggi un uomo cattivo m’ha fatta camminare fin troppo.”
Lo vidi abbozzare un sorriso perché sapeva che era vero, anche se la colpa non era stata la sua, ma in ufficio avevo davvero fatto i chilometri per andare dietro a ogni sua pratica. Da slave che ben sapeva cosa fare mi tolse una scarpa per poi passare la lingua in mezzo alle dita, quindi sulla pianta del piede facendo ben attenzione di non farmi il solletico, il che avrebbe portato a una punizione, per poi ripetere gli stessi gesti coll’altro piede in modo quasi perfettamente simmetrico.
Senza avere alcuna fretta risalì con la lingua sulle gambe, sino a ritrovarsi davanti alle mutandine, e rimanendo un po’ stupito per non vedere le solite in pelle o lattice, ma fu giusto un attimo che solo un occhio ben allenato come il mio poteva notare. Infatti passato quell’attimo di esitazione leccò gli slip ma solo la parte sopra la passera, senza usare in alcun modo le mani per aiutarsi, ma tenendole dietro la schiena. Mi bastò quindi un piccolo colpo dato col ginocchio per farlo barcollare, e trovare quindi una motivazione per una punizione, che lui accettò senza dire una parola.
Gli misi un paio di robuste manette in acciaio che poi fissai a un gancio che pendeva dal soffitto, e prendere quindi il frustino, che però non usai subito preferendo farlo eccitare toccandolo su tutto il corpo con la punta delle dita. Quella che per lui era una novità lo mandò ben presto fuori giri, e una notevole erezione fu la prova evidente di quanto gradisse quel gioco.
A quel punto fui quasi costretta a colpirlo sulle natiche col frustino, ma mi divertiva troppo eccitarlo per poi punirlo, così continuai ad alternare le carezze con schiaffi e frustate, che però non furono mai tanto forti da lasciare il segno.
“Sdraiati al centro del letto con le mani in alto.” gli ordinai dopo avergli sganciato le manette per poi fissarle alla testiera in ferro del letto.
Una volta che l’ebbi di nuovo immobilizzato mi tolsi l’abito per tornare ad eccitarlo, ma questa volta strusciando il mio corpo sul suo, sentendo bene il suo pene contro di me.
“Scommetto che un giochino così la tua bella mogliettina non te l’ha mai fatto.” gli dissi sfilandomi gli slip.
“No padrona, però così non so quanto posso resistere.”
“Resisterai perché sai che non puoi fare altro, intanto leccami la fica almeno servi a qualcosa.” gli ordinai sedendomi di fatto sul suo viso.
Per quanto con ben poca possibilità di muovere la testa, Antonello mi leccò la passera con devozione, facendo sì che ora fossi io ad eccitarmi, sapendo che solo in quel modo sarei passata al gioco successivo.
Non ho mai amato troppo il “normale sesso etero” trovandolo limitato, mentre nel Bdsm gli unici paletti erano la mia perversa fantasia oltre che il buonsenso, ma quella sera avevo una strana voglia di cazzo, peccato che non potessi prendermi il suo, o almeno non subito. Così cercai di placare la mia voglia legandogli uno strap-on sulla bocca, per poi salirci sopra e cavalcarlo come se fosse un vero pene, ma invece di trovare conforto salì ancor di più la voglia di scopare.
Lui era sempre più frastornato, ma del resto non l’avevo mai usato in quel modo, anzi i nostri rapporti erano quasi sempre gli stessi, fatti di pratiche non eccessive, e di una dominazione che era più mentale che fisica.
“Lo so che vuoi che ti scopi, ma non sei ancora pronto.” gli dissi mentendo sperando di tenerlo buono anche se non poteva dire nulla avendo la bocca chiusa dallo strap-on.
Cercai in tutti i modi d’avere un orgasmo, ma allo stesso di mascherarlo non volendo perdere il ruolo di dominante, ma ben presto mi resi conto che era tutto inutile, e che forse per la prima volta in vita mia, avevo davvero bisogno di un vero pene per godere.
Non volli però lasciare il suo bel culo senza nulla dentro, così gli tolsi lo strap-on dalla bocca per poi togliere il fallo dall’imbragatura, e dopo averlo unto leggermente lo sodomizzai senza usare troppa grazia.
In un attimo il membro di Antonello raggiunse la sua massima erezione, e solo a quel punto gli salì sopra per impalarmi sull’oggetto del mio desiderio.
“Padrona io …” balbettò incredulo.
“Tu prova a venire subito e poi ti mando a casa col culo a strisce.” gli risposi iniziando a cavalcarlo con movimenti lenti ma estremamente appaganti, almeno per me.
Sapendo di non aver sotto uno stallone da monta, cercai di non andare troppo forte, volendo gustarmi quel rapporto il più a lungo possibile, quasi fermando il mio incedere quando vedevo che il suo orgasmo s’avvicinava pericolosamente.
Nonostante ogni mia accortezza, quando compresi che per lui era impossibile andare avanti, mi sdraiai sul suo corpo e diedi un paio di colpi quasi violenti, ritrovandomi la passera piena del suo seme.
“Lurido incapace adesso lecchi quello che mi hai lasciato dentro.” gli dissi rimettendogli il mio sesso davanti alla faccia, non sapendo come avrebbe reagito a quella novità.
Antonello dopo un attimo di comprensibile incertezza, allungò la lingua per passarmela dentro la passera, e ritrovarsi così in bocca il suo stesso orgasmo, ma soprattutto dandomi le ultime gocce di piacere della serata.
Quando lo liberai era ancora sconvolto, ma più che altro era evidente che non sapeva cosa dire, così presi io l’iniziativa per toglierlo dall’imbarazzo.
“Prendilo come un regalo d’addio, o se vuoi uno sfizio che volevo togliermi.”
“Allora hai deciso, appendi la frusta al chiodo e ti ritiri sul serio ?” mi chiese con ancora il fiatone.
“Sì e domani porterò all’ufficio personale il mio preavviso dei quindici giorni, così avranno altro di cui sparlare su di me.”
“Non ho capito però il perché, in fondo hai la tua vita, anzi due… quindi perché lasciarle entrambe.”
“Lo sai benissimo, ho cinquant’anni e voglio godermi la vita, fra l’altro ho abbastanza denaro per farlo senza patemi.” gli risposi sedendomi vicino a lui “Ho comprato una casette alle Azzorre dove me ne andrò fra meno di tre settimane, coll’unica idea di non fare nulla, se non scrivere le mie memorie da Mistress ovviamente senza fare un nome. Ho anche trovato chi prenderà il mio posto in questo Dungeon, che sa già il trattamento che ti deve fare, quindi per te cambierà poco o nulla.”
“Cambierà che non avrò più la mia segretaria.”
“Se sei furbo ti prendi Rossana, non sarà una gran bellezza ma sa come lavorare, e del resto è un anno che la preparo per prendere il mio posto, anche se credo non l’abbia ancora capito.”
“Seguirò il tuo consiglio, e del resto l’ho fatto con tutti quelli che mi hai dato, e posso dire che non hai mai sbagliato.”
“Lo so ora rivestiti e vai a casa.”
Lo vidi rimettere i suoi abiti da dirigente per poi uscire da quell’appartamento, che rimisi a posto volendo lasciarlo in ordine per la nuova inquilina.
Come promesso il giorno seguente diedi le mie irrevocabili dimissioni seminando il panico fra le pettegole, anche perché nessuna osò chiedermi il perché di quella decisione.
Il mio posto da segretaria personale del dottor Antonello Altoriffi fu preso da Rossana, che quasi svenne alla notizia, ma poi si mise al lavoro per non farmi rimpiangere.
Quello da Mistress un invece acquistato la Lady Marion, che insieme al locale comprò il mio pacchetto clienti ai quali aggiunse i suoi.
Quanto a me devo ancora decidere il titolo della mia autobiografia, nel frattempo ho trovato un’amica molto particolare, ma come avrete capito ci tengo molto alla mia privacy.
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