Princy al bar

di
genere
dominazione

La stanza è immersa in una penombra dorata, le tende appena scostate lasciano filtrare un riflesso di tramonto che sembra voler accarezzare la pelle di Princy. Davanti allo specchio, nuda, prende il flacone di crema satinata e inizia a distribuirla lentamente, come se quel gesto fosse già parte del rituale. Le mani scorrono dalle spalle alle braccia, si fermano un attimo sui seni piccoli e tesi, poi scendono sull’addome piatto fino ai fianchi e alle cosce. Ogni movimento lascia dietro di sé una scia di luce discreta, i micro brillantini che si fissano sulla pelle e la trasformano in un corpo pronto a brillare sotto le luci artificiali del bar. Quando arriva alle gambe, le solleva una alla volta, appoggiandole al bordo del letto per stendere con calma la crema fino alle caviglie, godendo della sensazione di freschezza che si mescola al calore interno che già la abita.
Sul copriletto, disteso come un trofeo, l’abito scintillante attende. Lei non lo indossa subito: preferisce rimandare quel momento, assaporando l’attesa. Prende prima il perizoma, minuscolo, di raso nero, lo solleva con due dita e lo osserva un istante con un sorriso ironico. Sa che non coprirà nulla, anzi, che renderà più evidente l’intimità lucida che sotto l’abito trasparirà senza difese. Lo fa scivolare lentamente lungo le gambe, lo sistema con cura sui fianchi sottili, lasciando che la sottile striscia nera scompaia dietro il sedere scolpito. Si guarda di lato nello specchio, si gira, si controlla da dietro, e ogni volta l’immagine le restituisce l’idea di un’arma perfetta.
Solo allora si dedica al viso. Non vuole appesantirlo: un velo leggero di ombretto che sottolinea il taglio degli occhi, un filo di mascara a rendere ancora più penetrante l’azzurro che vibra come ghiaccio acceso. Nessun fondotinta, nessuna copertura: la pelle respira, naturale, pronta a luccicare anch’essa sotto le luci. Poi prende in mano il rossetto. Rosso fuoco. Lo stappa piano, come se aprisse un sigillo, e con mano ferma disegna il contorno delle labbra, sfumando leggermente verso l’esterno per dare volume. Ogni passaggio è lento, quasi ipnotico, finché lo specchio non le restituisce un’immagine nuova: la bocca che da sola racconta desiderio e minaccia. Si piega leggermente verso il vetro, osserva l’effetto finale e sorride.
Infine raccoglie l’abito. Il tessuto in mesh scintilla tra le mani come se fosse vivo. Lo apre, lo solleva e lo lascia scendere lungo il corpo. È un istante sospeso: la stoffa aderisce subito al seno, si stringe sulla vita, scivola sui fianchi fino a fermarsi poco sotto le natiche, troppo corto per celare davvero. La schiena resta completamente nuda, solo una linea di luccichii la incornicia, mentre davanti la trasparenza delinea chiaramente i contorni del corpo. Si muove, un passo avanti, uno indietro, osserva le luci che corrono lungo le gambe nude, fino alle caviglie sottili. Fa un mezzo giro davanti allo specchio, inclina la testa e lascia che il riflesso la convinca: non è solo vestita, è pronta a colpire.
Resta qualche secondo immobile, guardandosi dritta negli occhi riflessi, poi si piega verso il letto, prende la piccola borsetta nera e la tiene tra le mani. Inspira a fondo, sente il cuore accelerare, la pelle pulsare sotto il tessuto aderente. Quando spegne la lampada, la stanza sprofonda nel buio, ma il suo corpo brilla ancora, come se la luce fosse rimasta intrappolata sulla pelle.
Sul tappeto, ai piedi del letto, l’attendono le Louboutin con tacco a spillo e suola rossa. Le raccoglie con gesti misurati, si siede sul bordo del materasso e infila prima un piede, poi l’altro. Il contrasto tra la pelle nuda delle gambe e il rosso vivo della suola le strappa un sorriso compiaciuto. Quando si alza in piedi, il corpo guadagna subito qualche centimetro in altezza, le gambe si tendono in una linea perfetta e il passo assume quella naturale cadenza che da sola è già una promessa.
Non può però uscire di casa completamente scoperta. Dal guardaroba prende un soprabito leggero, nero, appena più lungo dell’abito. Non ha lo scopo di nascondere del tutto, piuttosto di rimandare la rivelazione, come un sipario che si aprirà solo al momento giusto. Lo fa scivolare sulle spalle e lo chiude con un solo bottone, lasciando che le estremità si aprano leggermente sul davanti e lascino intuire il luccichio sottostante. Si osserva ancora un istante allo specchio: rossetto perfetto, gambe nude che paiono infinite, lo scintillio dell’abito che filtra appena dal tessuto opaco del soprabito. È pronta.
Appoggia le dita leggere sulla maniglia e apre la porta di casa. Il silenzio della strada di campagna l’avvolge, rotto soltanto dal suono deciso dei tacchi sul selciato. Ogni passo è un ritmo, un annuncio. L’aria fresca della sera le sfiora le cosce nude sotto l’orlo del soprabito, e quel brivido le ricorda quanto sia già eccitata. Si incammina verso il centro del paese, diretta al bar dove la compagnia la attende. Sa che l’appuntamento non è con qualcuno in particolare, ma con tutti gli sguardi che si poseranno su di lei. Sa anche che questa volta non sarà come le altre: non basteranno uno spogliarello improvvisato o un ballo sul tavolo, stasera vuole superare ogni limite che si è imposta.
Princy percorre gli ultimi metri con il passo scandito dai tacchi, il bar già illuminato e ronzante di voci. Quando spinge la porta e si affaccia dentro, gli sguardi si voltano, ma lei resta impassibile, stringendo con più forza la borsetta tra le dita. Non toglie lo spolverino, non concede ancora nulla, preferisce il gioco lento. Avanza tra i tavoli come se fosse un’estranea in un mondo che la conosce fin troppo bene, e quando trova una sedia libera la occupa senza dire una parola, incrociando appena le gambe sotto il soprabito che accenna a scoprire un frammento di coscia.
Chiama il barista con la mano e ordina un gin tonic, “molto carico” lo sottolinea, la voce ferma ma appena incrinata da un brivido che non riesce a celare. Quando il bicchiere arriva e il ghiaccio inizia a tintinnare, lo porta alle labbra con un gesto lento, assaporando il gusto forte e pungente che le scalda subito la gola. È in quel momento che sente le gambe cominciare a tremare sotto il tavolo. Non è il freddo, ma l’eccitazione pura che la percorre come un impulso elettrico. Ogni volta che incrocia uno sguardo, l’adrenalina cresce; al tempo stesso, il timore la assale, sottile e insistente, come se stesse per compiere un salto nel vuoto.
Eppure non si tira indietro. Inspira piano, appoggia il bicchiere sul tavolo e accenna un sorriso che sa di sfida. La sua pelle vibra sotto l’abito che nessuno ancora ha visto, ma che tutti già immaginano.
La sala del bar ribolle appena lei si siede. I ragazzi si scambiano gomitate, ridacchiano sottovoce, piegandosi quel tanto che basta per cercare uno spiraglio sotto il soprabito, come se bastasse un movimento sbagliato per rivelare il segreto che nasconde. Alcuni sussurrano di sperare che stasera si ripeta lo spettacolo delle sere precedenti, che magari si spinga ancora più in là. Le voci corrono veloci, e tra loro c’è chi, con aria complice, racconta di aver già liberato la memoria del telefono per poterla immortalare meglio, senza il rischio di restare senza spazio proprio nel momento cruciale. Un altro ride soffocando la voce, confessa a denti stretti che dopo l’ultima volta si è chiuso in camera a masturbarsi come un forsennato, incapace di togliersi dalla testa l’immagine di lei nuda davanti a tutti.
Le ragazze invece non mostrano invidia, anzi: sorridono ammiccanti, la guardano come si guarda un idolo. In quegli sguardi c’è complicità e un rispetto carico di malizia, come se l’avessero già eletta a loro regina. Alcune incrociano le gambe, altre ridono a voce più alta, tutte sembrano godersi lo spettacolo di avere Princy tra loro, consapevoli che lei ha già preso il controllo della serata senza muovere un dito.
Attorno a lei l’aria si scalda, ogni frase, ogni risata soffocata, ogni occhiata non fa che aumentare l’eccitazione che le scorre nelle vene. Eppure resta immobile sulla sua sedia, con il bicchiere tra le dita, le labbra rosse che brillano alla luce fioca e il soprabito ancora chiuso a difesa, in un gioco di attesa che tiene tutti sospesi.
Il gin tonic le bagna appena le labbra, il ghiaccio tintinna nel bicchiere e quando lo appoggia sul tavolo resta impresso quel segno netto, un’impronta cremisi lasciata dal rossetto. Non è solo un dettaglio: è la prova concreta che quelle labbra sono reali, calde, pronte a stringersi su qualcosa di più vivo del bordo di un bicchiere.
Uno dei ragazzi, seduto a pochi passi, resta ipnotizzato. Lo sguardo scivola dal segno sul vetro alla sua bocca, e il respiro gli si fa irregolare. Dentro di sé immagina lo stesso marchio impresso su di lui, sul proprio sesso gonfio e teso. Lo vede come fosse già lì, avvolto tra le labbra rosse di Princy, la pressione calda e umida che lo stringe mentre lei lo lavora lenta, lasciando tracce cremisi sulla pelle come un rosario di desiderio. Ogni risucchio diventerebbe un bacio marchiato a fuoco, ogni gemito un colpo di lingua che lo spingerebbe più vicino all’orlo. Il segno sul vetro diventa così un invito, un simbolo della promessa di un pompino magistrale che lui brama con tutto se stesso, tanto che un sospiro gli sfugge, carico di frustrazione e piacere solo immaginato.
Attorno, il brusio continua, ma per lui esiste solo quell’impronta vermiglia e la bocca che l’ha disegnata, la stessa bocca che sogna di sentire schiudersi su di lui fino a trascinarlo nella perdizione.
Princy solleva di nuovo il bicchiere, questa volta senza bere. Lo avvicina lentamente alle labbra, lo inclina appena, come a voler accentuare il segno già lasciato dal rossetto. Poi abbassa lo sguardo e intercetta quello del ragazzo che la stava divorando con gli occhi. Lo fissa per un istante, e nel silenzio che per lui diventa assoluto, lascia che la lingua sfiori piano il bordo di vetro, raccogliendo una traccia di rosso e inumidendosi le labbra.
Il ragazzo deglutisce di colpo, come se fosse stato lui a ricevere quella carezza, e la sua erezione lo tradisce, gonfiandogli i jeans in modo evidente. Lei lo nota, l’ombra di un sorriso le si disegna sulla bocca, un lampo di complicità che dura appena un battito di ciglia. Non dice nulla, non ha bisogno di parole: inclina la testa di lato, gli mostra il collo nudo che scivola nel soprabito, e poi torna a sorseggiare il drink con calma, lasciando un secondo bacio cremisi sul vetro.
Il ragazzo chiude gli occhi un istante, immaginando quel gesto ripetuto sul proprio sesso, e sente un brivido violento scuotergli la schiena. Quando li riapre, lei sta ancora guardandolo, ma questa volta l’espressione è più scura, più feroce, quasi a dirgli che il gioco lo conduce lei e che lui può solo seguirne i tempi.
Princy appoggia il bicchiere sul tavolo, lentamente, lasciando che l’impronta rossa resti ben visibile. Poi si sporge appena in avanti, i gomiti sul tavolo, il viso inclinato verso di lui. Le labbra si piegano in un sorriso che sa di veleno e promessa insieme, gli occhi azzurri lo inchiodano, non gli concedono via di fuga.
«Vuoi sapere cosa c’è sotto al soprabito?» mormora con voce bassa, quasi un sussurro che però gli esplode dentro come un urlo. La punta della lingua sfiora appena il labbro superiore, disegnando un segno umido che amplifica l’immagine che già gli devasta la mente.
Il ragazzo resta muto, il respiro spezzato. Sente il cuore battergli nelle orecchie, l’erezione che preme dolorosa contro i jeans. Non riesce a rispondere subito, ma lei non ha fretta: si raddrizza, accavalla lentamente le gambe nude, lasciando che lo spolverino si apra appena, rivelando uno spicchio di coscia che sembra brillare da solo sotto le luci del bar. Poi riprende il bicchiere e beve un lungo sorso, come se la domanda fosse stata una carezza lasciata a metà, in sospeso nell’aria, pronta a diventare azione al momento che sceglierà lei.
Le prime voci partono come un mormorio, quasi un bisbiglio che si rincorre tra i tavoli. Poi crescono, diventano un coro che vibra contro le pareti del bar: “Regina, regina, regina!”. Le ragazze sorridono complici, i ragazzi battono le mani sul legno dei tavoli, e in un attimo l’intero locale è in piedi a scandire quel titolo che ormai le appartiene.
Princy si alza con calma, come se fosse tutto previsto. Lo spolverino resta chiuso, ma il movimento fa intravedere appena la linea delle gambe nude che cattura ogni sguardo. Si muove tra i tavoli con il passo lento e sicuro che aveva in passerella, le spalle dritte, il mento leggermente sollevato, lo sguardo fisso in avanti. Ogni tocco di tacco sul pavimento è un colpo secco che segna il ritmo, un incedere che trasforma il bar in una passerella improvvisata.
Per un istante cala il silenzio. I ragazzi restano incantati a guardarla, come se fosse davvero un’apparizione, una dea scesa a incarnare le loro fantasie. Poi le voci esplodono di nuovo, più forti, più sfacciate: “Toglilo! Toglilo! Regina, regina!”. Qualcuno batte i pugni sul tavolo, altri fischiano, altri ancora gridano con l’entusiasmo di un pubblico che pretende il colpo di scena.
Lei continua a camminare, lenta, sensuale, senza fretta. Il soprabito le avvolge il corpo come un mistero, e ogni passo non fa che alimentare la tensione, come una corda tirata al limite. Sa che non potrà deluderli, che il momento della rivelazione è vicino, e il piacere più grande è proprio questo: decidere lei quando e come concederlo.
Il bar si stringe attorno a lei, un cerchio di corpi e di attesa che vibra nell’aria densa di sudore e desiderio. Princy raggiunge il centro del locale, i tacchi che scandiscono l’ultimo passo e poi il silenzio che cala, improvviso, come se anche il respiro collettivo fosse trattenuto. Resta immobile un istante, lo sguardo che passa da un volto all’altro, sorride appena e porta le mani ai bottoni del soprabito.
Un clic, il primo si apre. Un brivido corre tra i ragazzi. Poi il secondo, e la stoffa nera comincia a scivolare lenta, lasciando intravedere lampi di luce sotto. Con un gesto misurato lo lascia cadere dalle spalle: il soprabito scivola lungo le braccia, scende fino ai fianchi e poi si arrende, cadendo a terra in un fruscio morbido.
La visione è folgorante. L’abito scintillante aderisce come una seconda pelle, il mesh brillante cattura ogni luce del locale e la restituisce in un caleidoscopio che danza sulla sua pelle. Il seno piccolo ma sodo si indovina chiaramente, appena velato dalla trama luminosa che lo mette in risalto più di quanto lo nasconda. L’addome piatto si tende, i fianchi scolpiti disegnano una curva perfetta che termina in un orlo audace, troppo corto per nascondere il perizoma nero che affiora come un segno proibito. Ogni passo che muove, ogni respiro, fa vibrare le trasparenze e lascia intravedere ancora di più l’intimità tesa e lucida sotto il tessuto.
Le gambe nude, lunghe e scolpite, brillano anch’esse grazie alla crema satinata che riflette i riflessi delle lampade. I ragazzi restano muti per un attimo, pietrificati dalla potenza di quell’immagine. Poi l’esplosione: applausi, urla, fischi, tutti a inneggiarla con voci rotte dall’eccitazione. Qualcuno stringe il telefono tra le mani, pronto a catturare ogni movimento, altri si piegano in avanti per avere una visuale migliore, altri ancora non si nascondono e si aggiustano l’erezione sotto i jeans.
Le ragazze, raccolte in un angolo, la osservano con occhi accesi, sorridono e annuiscono tra loro: è davvero la loro regina, incoronata non da un titolo ma dalla potenza del desiderio che ha acceso in ogni singola persona presente.
Il locale si trasforma in un’arena elettrica. Princy non resta ferma: un passo, poi un altro, lenta e decisa, i tacchi che rimbombano sul pavimento come un tamburo tribale. Ogni movimento dell’abito scintillante accende bagliori nuovi, la trama aderente che disegna le curve con precisione crudele, rivelando più che coprire.
Si piega leggermente verso un ragazzo seduto al tavolo, la mano che gli sfiora la guancia come un dono regale. Lui trattiene il fiato, quasi non osa muoversi, e quando lei si rialza il volto resta arrossato, segnato da un brivido che gli percorre la spina dorsale. Un altro, più audace, allunga le dita verso la sua coscia; Princy non si ritrae, ma prosegue, concedendo appena un tocco rapido, un lampo di pelle calda che però si dissolve subito. Mai troppo a lungo, mai davvero addosso.
Cammina tra i tavoli come su una passerella sacra, le mani che talvolta scivolano sulle spalle di chi le si trova accanto, i capelli corti che incorniciano un viso dove il rossetto rosso arde come un fuoco. Ogni sguardo la segue, le bocche aperte, le pupille dilatate. Alcuni tremano di desiderio, altri la fissano come fosse un’apparizione da adorare. Ogni volta che il tessuto dell’abito si tende, la promessa del perizoma nero accende un nuovo fremito.
Qualche mano si azzarda a sfiorarle il fianco, qualcun’altra sfiora appena la curva della coscia. Lei lascia che accada, ma non concede mai più di un istante. È lei a stabilire i tempi, lei a decidere quando e dove. Si ferma un attimo, gira su sé stessa, i bagliori del vestito che incendiano il locale. Poi riprende a camminare, lenta, sinuosa, con l’autorità di chi sa di avere il potere assoluto.
Il coro intorno cresce, urla e applausi che scandiscono ogni suo gesto. Eppure lei non accelera, non cede. Ogni carezza, ogni sfioramento resta incompiuto, ogni desiderio sospeso. Sta creando un rito collettivo, un fuoco che arde sempre più alto ma che resta senza fiamma finale, trattenuto, esasperato. La sua pelle vibra, le gambe tremano ancora, ma i suoi occhi brillano di una luce implacabile: non è più soltanto la ragazza che si è presentata con un soprabito, ora è davvero la regina che tutti hanno eletto, e che tutti devono seguire.
Il coro esplode, le voci si intrecciano fino a diventare un ruggito unanime: “Nuda, nuda, nuda!”. La sala vibra, i bicchieri tintinnano sotto i colpi delle mani che battono sui tavoli, e l’aria si fa rovente, satura di aspettativa.
Princy resta immobile un istante, il cuore che martella, il respiro che si spezza. Le guance si accendono di un rossore improvviso, non solo per l’imbarazzo, ma per il piacere violento che la divora tra le cosce. Lì, nel punto più intimo, il calore diventa fuoco vivo, un richiamo che le fa piegare appena le ginocchia, costringendola a trattenere un gemito dietro il sorriso che ostenta.
Nella sua testa, le voci della coscienza cercano spazio: sa che secondo la morale di quel piccolo paese il suo gesto sarebbe condannato senza appello, che verrebbe additata, disprezzata, forse persino marchiata come scandalo. Lo ha già fatto, e ogni volta tornando a casa si è ripetuta la stessa promessa: “Questa è l’ultima volta. Non accadrà mai più.” Ma poi, ogni volta, l’ebbrezza dell’esibizione, l’eccitazione di cento occhi incollati sul suo corpo, l’ha riportata esattamente qui, a questo istante sospeso, a questo bar che sembra un tempio e a questo pubblico che non accetta rifiuti.
Li guarda, i suoi sudditi. Ragazzi con lo sguardo acceso, ragazze che sorridono ammiccanti, complici, felici di vederla trionfare. L’hanno incoronata regina, e ora gridano il tributo che pretendono: la sua nudità. Lei sente il peso della corona invisibile sulle spalle, e il pensiero la colpisce con violenza: potrebbe davvero deludere i suoi sudditi? I sudditi della Regina?
Un brivido le corre lungo la schiena, mentre le mani si muovono quasi da sole, scivolando ai lati dell’abito scintillante. I cori non cessano, diventano tamburo, cuore, respiro. La sua pelle vibra sotto il tessuto, il sesso pulsa, gonfio e umido, già pronto a tradire ogni freno. E in quell’istante capisce che la promessa sussurrata a sé stessa non vale più nulla: non può fermarsi, non ora, non davanti al suo popolo in delirio.
Princy cammina lenta, le luci che giocano sul vestito scintillante, gli sguardi incollati ad ogni suo passo. Le ragazze la seguono con gli occhi, tutte sorridenti, complici, orgogliose della loro regina. Ma una di loro non sorride soltanto: i suoi occhi ardono di desiderio, più profondi, più scuri.
Il brusio si fa silenzio quando Princy afferra la mano della ragazza e, con l’altra, trascina la sedia al centro del locale. Non c’è esitazione nei suoi movimenti: la fa sedere con decisione, come se stesse posizionando un’attrice sul palcoscenico che lei stessa sta dirigendo. Tutti trattengono il fiato.
Poi si porta davanti a lei, la guarda negli occhi e, con un gesto fluido, solleva la gamba. Il pubblico esplode: mentre passa la coscia sopra la testa della ragazza, la minigonna si solleva quel tanto che basta — o forse più del necessario — rivelando in tutto il suo splendore il micro perizoma nero. Minuscolo, teso, un filo che non nasconde nulla ma esalta la carne gonfia e umida sotto il tessuto scintillante. È un lampo folgorante che incendia i presenti: un boato di urla, fischi, applausi. Qualcuno alza il telefono di scatto, altri spalancano gli occhi, alcuni gemono senza vergogna.
Quando la gamba discende oltre la spalla della ragazza, Princy si cala lentamente, con la grazia di una predatrice sicura del proprio potere, e si siede in grembo a lei. Il vestito scintillante si tende, il perizoma resta ben visibile da ogni angolazione, e il suo bacino si sistema piano contro quello della ragazza, muovendosi appena, giusto un accenno che basta a infiammare l’aria. Attorno a loro il bar è una bolgia, un coro che inneggia la loro regina, ma lei resta padrona, lenta, solenne, sensuale fino all’eccesso, come se quel gesto fosse una cerimonia e non solo una provocazione.
Princy, seduta in grembo alla ragazza, comincia a muovere lentamente il bacino, un’oscillazione impercettibile che però incendia ogni fibra dei loro corpi. La trama scintillante del vestito aderisce e si tende, e il micro perizoma non lascia più spazio all’immaginazione, visibile da ogni angolo come il centro vivo di un desiderio collettivo. La folla attorno urla, ma per un attimo sembra che tra loro due cali un silenzio ovattato, come se il mondo fosse scomparso.
Con le mani, Princy le prende il viso. Lo stringe tra i palmi, non con forza, ma con una dolcezza che ha dentro una potenza feroce. I pollici le sfiorano le guance, il contorno delle labbra, e il calore della sua pelle sale alle tempie della ragazza, che sente il cuore batterle nelle orecchie. Gli occhi si cercano: quelli di Princy sono azzurri, profondi, intensi come un abisso che inghiotte; quelli della ragazza brillano di eccitazione e paura, un misto che la paralizza e la travolge.
Poi le mani della regina scendono lente, passano lungo il collo, sfiorano le clavicole e arrivano al seno. La carezza si trasforma in una pressione leggera, il tessuto della maglietta della ragazza si tende contro le sue dita. La ragazza trattiene il respiro, come se non fosse mai stata toccata in quel modo. Dentro di lei, i pensieri si aggrovigliano: tutti ci stanno guardando… ma è lei, è la regina… non posso resisterle… non voglio resisterle.
Princy allora prende le mani della ragazza, immobili sulle ginocchia, e con decisione le guida verso il bordo del vestitino scintillante. Le poggia lì, come a consegnarle la chiave di un tempio sacro. Poi alza le sue braccia sopra la testa, in un gesto di totale abbandono, e si piega fino a sfiorarle l’orecchio con le labbra. La voce, bassa e rovente, le scivola dentro come un veleno dolcissimo: «Me lo vuoi togliere?»
La ragazza spalanca gli occhi, le pupille dilatate, le labbra dischiuse senza che riesca a trovare le parole. Si sente intrappolata e al tempo stesso libera, come se quell’istante fosse l’unico che conti nella sua vita. Le sue mani tremano, le dita stringono appena l’orlo del vestito, e dentro di sé urla un pensiero che non osa pronunciare: sì, lo voglio… voglio essere io a spogliarti davanti a tutti, voglio vedere quello che già immagino e che mi fa impazzire.
Le dita della ragazza, ancora guidate dall’audacia che Princy le ha imposto, afferrano l’orlo del vestitino scintillante. Un attimo di esitazione, poi lo solleva piano, centimetro dopo centimetro. L’abito si tende sui fianchi, sale aderendo alla pelle come un ultimo amante riluttante. Quando supera l’ombelico, l’intera sala esplode: il micro perizoma nero appare in tutto il suo splendore, un triangolo lucido e ridotto che più che coprire mette in mostra, segnando il sesso gonfio e bagnato della regina. Le luci del locale vi si riflettono, facendolo brillare come se fosse già intriso di piacere.
Il tessuto continua a scivolare verso l’alto, striscia contro il ventre piatto, sale fino a liberare il seno piccolo ma sodo, i capezzoli già duri che si tendono come frecce. Qualcuno urla, qualcuno fischia, qualcuno batte i pugni sul tavolo: il bar è una bolgia, ma lei resta immobile, con le braccia alzate sopra la testa, il corpo lucente che si rivela come un dono solenne. Infine l’abito supera le spalle e le braccia, fino a staccarsi del tutto: la ragazza lo afferra e, senza neppure guardarlo, lo lancia sul tavolo da biliardo, dove resta ammassato, inutile, un guscio vuoto che ha assolto la sua funzione di velare e di rimandare il piacere.
Ora Princy è lì, a cavalcioni, nuda tranne quel filo di raso che non riesce a contenere nulla, la pelle che scintilla di eccitazione, il seno in piena vista, il corpo intero che brucia. Il pubblico esplode: “Regina! Regina!” urlano in molti, altri senza pudore gridano “Figa!”, altri ancora “Troia!”, qualcuno “Togli tutto!”. È un coro barbarico, una liturgia selvaggia che la incorona davanti ai suoi stessi sudditi.
La ragazza la fissa negli occhi, ipnotizzata. Non è più solo spettatrice: sente di essere diventata strumento del rito. Le mani tremano, il cuore le batte all’impazzata, ma quando afferra il volto di Princy e la trascina verso di sé, tutto si spegne. Le labbra si schiudono e il bacio esplode: un contatto profondo, affamato, bagnato di lingua e di desiderio, sotto le grida di un popolo in delirio che acclama la sua regina ormai completamente esposta.
La folla si accalca attorno come se non ci fosse più distinzione tra spettatori e rito. Il bacio è diventato un vortice, un risucchio profondo di lingua e respiro che annulla tutto il resto, ma a un certo punto è la ragazza a rompere l’equilibrio. Con una forza improvvisa, la stringe per i fianchi e la piega in avanti, facendole curvare la schiena. Princy geme, sorpresa e già inondata da un brivido violento, mentre il pubblico esplode in nuove urla, colpito dalla visione improvvisa.
Il perizoma, già tirato al limite, si infila tra le grandi labbra gonfie e umide, dividendo completamente il sesso in due. La stoffa nera, sottilissima, scompare tra i bordi arrossati, lasciando intravedere il luccichio bagnato che cola sulle cosce interne. È un’immagine feroce, oscena, che incatena tutti gli sguardi: il corpo di Princy piegato in avanti, le braccia che cercano un appoggio, il sedere scolpito in piena mostra, il sesso esposto come un altare profano, messo in scena da un’altra donna.
Il calore è insopportabile, il battito del suo cuore rimbomba nelle tempie, eppure non si ritrae. Anzi, spinge appena il bacino all’indietro, quasi a offrire di più, a concedere a tutti la visione più intima e proibita. La ragazza dietro di lei sorride, le mani strette sulla sua vita come catene, e il pubblico va in delirio. “Regina! Regina!”, “Figa!”, “Togli tutto!” urlano da ogni angolo, mentre telefoni si alzano e registrano quel momento che sembra non avere più confini tra realtà e sogno erotico.
Princy sente il calore colare tra le cosce, l’umidità che macchia il tessuto invisibile del perizoma, e un pensiero le attraversa la mente, lucido e devastante: sono nuda davanti al mio popolo, e non desidero altro.
L’urlo del bar si trasforma in un ruggito continuo, un’onda che non si spegne. Princy, piegata in avanti sul grembo della ragazza, resta immobile in quella posa oscena e perfetta. La folla attorno vibra come un corpo unico.
Molti hanno già alzato i telefoni, lo schermo che cattura ogni dettaglio, la luce che illumina i contorni del suo sesso esposto come in un altare improvvisato. I video corrono tra mani tremanti, qualcuno zooma, qualcuno sussurra ai compagni che non perderanno mai il ricordo di questa notte. Ma i più non resistono nemmeno al desiderio di fissarla solo con gli occhi: lo spettacolo dal vivo è troppo potente, troppo reale, troppo proibito.
E allora le mani si muovono, lente, furtive. Molti si infilano in tasca, le dita che stringono l’erezione tesa e pulsante sotto i jeans. Cercano di calmare l’eccitazione che li travolge, ma in realtà la alimentano, comprimendo la carne dura che reclama spazio. Qualcuno morde le labbra per soffocare un gemito, altri si scambiano occhiate complici, e l’aria si impregna di un odore acre, un misto di sudore e sesso che diventa parte della scena.
Le ragazze sorridono, qualcuna batte le mani, qualcuna fischia, qualcuna arrossisce ma non distoglie lo sguardo. Tutti sono prigionieri del corpo scintillante e umido della loro regina, del gesto che la ragazza ha compiuto piegandola e mostrando ciò che nessun vestito avrebbe mai potuto contenere.
In mezzo a quel delirio, Princy lo percepisce. Sente gli occhi addosso, le erezioni sfiorate di nascosto, l’eccitazione collettiva che la circonda come un fuoco sacro. E invece di vergognarsi, si bagna ancora di più, il suo sesso che pulsa, diviso dal tessuto, come se il piacere fosse nutrito dal desiderio di tutti.
Princy si lascia guidare, quasi trascinata dalla forza silenziosa che la ragazza esercita su di lei. Viene fatta alzare e accompagnata fino al biliardo, liscio e freddo sotto le dita che si aggrappano al bordo. Con un gesto deciso le natiche trovano posto sul legno, e la folla esplode in un boato: i telefoni si alzano, la sala diventa un mare di occhi e di lenti puntate sulla sua figura.
Le mani della ragazza corrono subito al micro perizoma. Lo afferra con decisione, solleva l’elastico dai fianchi e lo trascina giù. La stoffa si tende, scivola sulle cosce lisce, sfiora le ginocchia e scende ancora, lenta come un sipario che si chiude al contrario. La sala trattiene il fiato, e quando il triangolo nero raggiunge i polpacci e poi le caviglie, intrappolandosi attorno ai tacchi vertiginosi, un’ondata di urla scuote il locale. Il simbolo della sua ultima barriera è lì, ai suoi piedi, ridotto a ornamento inutile, mentre il suo sesso brilla nudo e già umido, esposto solo a chi avrà il coraggio di guardare.
La ragazza la spinge delicatamente all’indietro, fino a sdraiarla sul piano verde. Princy resta con le gambe chiuse e serrate, tese a sbalzo fuori dal tavolo, i muscoli tesi nello sforzo di trattenere ciò che non vuole ancora concedere. Il pubblico è in delirio, ma lei non cede. Le mani sicure della compagna di scena però non lasciano spazio: le afferrano le gambe, le sollevano in alto, e i tacchi scintillano verso il soffitto, due punte di luce che segnalano il suo totale abbandono.
Poi, lenta e inesorabile, la ragazza si piazza tra lei e il pubblico. È un gesto ambiguo, un atto di protezione e allo stesso tempo di dominio, come se volesse dirle: per un attimo sei solo mia. Le mani scivolano lungo le cosce e cominciano a spingerle verso l’esterno. Le gambe di Princy tremano, si aprono appena, centimetro dopo centimetro, e l’aria del bar si fa pesante, carica di attesa.
Il sesso è lì, a un passo dall’essere esibito in tutta la sua nudità. Princy, con un lampo di pudore che brucia più dell’esibizione stessa, porta la mano tra le cosce e copre il suo ultimo baluardo d’intimità. Le dita si chiudono sull’umidità calda, la pelle scintilla di eccitazione e paura insieme. Il gesto fa impazzire la folla: alcuni fischiano, altri gridano oscenità, altri ancora urlano il suo nome e quello titolo che le hanno imposto — “Regina! Regina!” — come se fosse un ordine e non un incoraggiamento.
E lei resta così, le gambe in alto, i tacchi puntati al cielo, la mano a difendere ciò che tutti reclamano. Un’immagine più erotica di qualsiasi nudità: la resistenza che alimenta il desiderio, il silenzio che accende il boato, la regina che, per un istante, sembra sul punto di crollare davanti al suo popolo.
Le urla della folla sono un’onda che sbatte contro il biliardo, ma sopra ogni suono resta il respiro spezzato di Princy. La sua mano è ancora lì, serrata tra le cosce, un ultimo gesto istintivo di difesa. La ragazza si china, le prende il polso con delicatezza e, senza violenza, glielo scosta piano, centimetro dopo centimetro, fino a liberare del tutto il sesso teso e pulsante.
La sala trattiene il fiato. Lì, tra le gambe tese in alto, si mostra la sua intimità: le labbra gonfie, lucide, già divise dal calore, un luccichio umido che brilla sotto le luci come una fiamma viva. Princy si morde il labbro, gli occhi serrati, perché sa che in quell’istante non c’è più scampo: è completamente nuda, completamente esposta, completamente loro.
La ragazza non si ferma. Fa scorrere la mano lungo l’interno coscia, la pelle calda che vibra sotto le dita, e poi la porta là dove l’attesa è più feroce. Un tocco lieve, quasi una carezza, che sfiora appena le labbra gonfie. Princy sobbalza, un gemito strozzato le scappa dalla gola, e le sue gambe si tendono ancora di più, i tacchi che brillano come lame sospese nel vuoto.
Le dita tracciano un cerchio lento, esplorano il confine umido, accarezzano con pazienza e intimità, senza fretta. Ogni sfioramento è un colpo di fiamma, ogni gesto un veleno che le corre nel sangue. La folla esplode in grida, “Regina! Regina!”, altri urlano oscenità, qualcuno ride isterico. Ma lei non sente più nulla, solo il tocco che la sta consumando davanti a tutti, e il fuoco che si apre dentro di lei come un fiore maledetto.
Le dita della ragazza affondano dentro di lei con lentezza crudele, poi più decise, trovando subito il ritmo che incendia. Ogni spinta fa sobbalzare il bacino di Princy, ogni carezza interna le strappa un gemito che non riesce più a contenere. La folla è un coro selvaggio, urla e applausi che riempiono il locale, ma lei non sente più la distinzione tra rumore e silenzio: tutto diventa un’unica onda che la solleva.
La sua pelle brilla di sudore e crema, i capezzoli tesi e durissimi puntano verso il soffitto, le gambe in alto tremano, i tacchi oscillano come lame di luce. La ragazza la guarda, senza smettere di muovere le dita, e con l’altra mano le sfiora il clitoride gonfio, lo accarezza, lo tormenta con tocchi brevi e continui. È troppo, troppo forte, e Princy lo sa: non c’è più ritorno.
Chiude gli occhi un istante, la bocca si apre, un gemito lungo e straziato le scivola fuori dalle labbra. Il corpo si inarca, il ventre si tende, le cosce si irrigidiscono. Poi l’onda la travolge. L’orgasmo esplode violento, la attraversa da dentro, scuote ogni muscolo, la fa gridare forte, senza più pudore, davanti al suo popolo in delirio. Il sesso si contrae attorno alle dita che l’hanno conquistata, l’umidità cola copiosa lungo l’interno delle cosce, scintillando sotto le luci del bar.
La folla impazzisce. “Regina! Regina!” urlano a squarciagola, altri gridano “Figa!”, “Troia!”, “Toglilo tutto!”. Qualcuno batte i pugni sul bancone, altri si tengono la testa tra le mani, increduli di aver visto davvero ciò che hanno visto. Qualcuno geme, qualcuno ride isterico, molti non resistono e si toccano furiosamente in tasca.
E lei resta lì, nuda, ansimante, il corpo ancora scosso dalle ultime scosse di piacere, gli occhi socchiusi, le labbra arrossate. Sa che li ha dati tutto, che si è concessa fino all’estremo davanti a loro. E invece di vergognarsi, sorride. Perché in quell’istante, mentre il suo sesso pulsa ancora attorno alle dita della ragazza, sa che non è solo una donna: è la regina che il suo popolo ha eletto, e che non potrà più deludere.

La ribellione del POPOLO

Princy è ancora scossa dall’orgasmo che l’ha travolta poco prima. Il petto si solleva rapido, il seno piccolo brilla di sudore e luce, i capezzoli tesi che palpitano al ritmo del cuore. Le gambe sono tese a sbalzo oltre il bordo del tavolo, i tacchi puntati verso l’alto come lame lucenti, e tra le cosce nude l’umidità del piacere pulsa, evidente, impossibile da negare. Il panno verde sotto la schiena le sembra freddo, quasi crudele, in contrasto con il fuoco che le brucia dentro.
È allora che lui si alza. Lo stesso ragazzo che, all’inizio della serata, non aveva distolto lo sguardo dal segno cremisi lasciato dalle sue labbra sul bicchiere. Lo stesso che l’aveva già posseduta con l’immaginazione. Ora si stacca dalla parete, percorre pochi passi e si piazza davanti a tutti. Con un gesto secco tira giù la serranda, e la voce si alza, ferma, definitiva: «Adesso basta.»
Il silenzio cala di colpo. Nessuno ride più, nessuno fischia. Gli sguardi si voltano, ma tornano subito su di lei, su Princy, immobile sul biliardo, il corpo ancora in preda ai tremiti dell’estasi. Sa che quel suono — il colpo metallico della cler, quelle due parole — ha cambiato tutto. Non c’è più via di fuga, non c’è più “domani ci penserò”.
Chiude gli occhi un istante, si lascia andare completamente, la nuca che poggia al tavolo, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Le labbra si aprono appena, un soffio esce lento, chiaro, ineluttabile: «E sia.»
Un brivido attraversa la sala. Il gruppo si muove come un unico corpo, i passi che stringono il cerchio attorno al biliardo. Alcuni hanno già i membri tesi in mano, lucidi e gonfi, altri si slacciano i pantaloni estraendo le loro erezioni in quel momento, senza più ritegno. Gli occhi bruciano di eccitazione, il fiato corto, qualcuno ride isterico, altri gemono piano. Le ragazze tra loro sorridono complici, ammirano e acclamano, ma è l’energia maschile a dominare: una fame collettiva che si avvicina lenta, inesorabile.
Princy resta lì, nuda, le gambe che tremano sospese fuori dal bordo, la pelle che scintilla sotto le luci, il sesso esposto e bagnato che pulsa d’attesa. Non tenta di coprirsi, non si ribella. Ha scelto: offrirsi. Ed è proprio in quel gesto di abbandono totale che si consacra davvero come regina dei suoi sudditi.
Le prime mani arrivano come artigli. Un palmo le stringe la coscia, le dita affondano nella carne tesa, un altro le afferra il seno piccolo e lo stringe fino a farlo gemere sotto la pelle. Una bocca si incolla alla sua, la lingua che la invade senza chiedere, e lei geme dentro quel bacio. Altre dita scivolano tra le cosce, trovano il sesso aperto e lo penetrano con violenza lenta, saggiano la sua umidità, ne estraggono un suono bagnato che scatena un boato nel pubblico.
Dietro, un’altra mano osa di più: le dita scivolano oltre l’orlo proibito, sfiorano il suo culo stretto, lo sondano, lo forzano piano mentre lei inarca la schiena e ansima. Ogni centimetro del suo corpo è già preso, toccato, afferrato, usato. E lei non solo non resiste: spalanca la bocca, geme, vibra, si offre.
Le urla riempiono il locale. «Regina! Regina!» gridano in coro, ma altri urlano sporco: «Figa!», «Troia!», «Fottiamola». E ogni voce è una frusta, ogni parola un sigillo che la lega ancora di più al suo ruolo.
Due ragazzi si fanno avanti, decisi, gli occhi che brillano come quelli di predatori in caccia. Le mani la afferrano salde, uno alle caviglie, l’altro alle cosce, e la sollevano dal biliardo. Princy non si oppone: lascia che il corpo si sollevi, che l’aria fresca le accarezzi la pelle umida di sudore, le gambe nude già divaricate, aperte come un’offerta rituale. I tacchi scintillano sospesi verso il soffitto, le cosce tese e lucide, il sesso gonfio e bagnato esposto senza difese.
La portano al centro del locale, sollevata da terra, un trofeo vivente mostrato da ogni lato. La folla esplode in un boato: urla, fischi, applausi, i telefoni che registrano ogni istante. Una ventina di sguardi la possiedono già con la mente, ma ora è lì, sospesa, esibita, pronta. Il cuore le batte all’impazzata, il respiro le scivola in gola spezzato, eppure non distoglie lo sguardo.
Il primo ragazzo si fa avanti tra le sue gambe, il sesso duro e gonfio stretto in mano. Si ferma un istante, le punta gli occhi negli occhi. Lei lo guarda, le labbra socchiuse, il petto che si solleva rapido.
Con un colpo breve, affamato, la prende. L’ingresso è immediato, il sesso che affonda nel suo calore bagnato. Princy geme forte, la testa che si abbandona all’indietro, le braccia che si allungano verso il vuoto. E’ brama, è desiderio puro, è il momento che tutti reclamavano e che lei deve concedere.
La folla esplode di nuovo, un ruggito selvaggio che riempie il bar. “Regina! Regina!” gridano, altri urlano oscenità, ma ogni parola è benzina sul fuoco che brucia tra le sue cosce. Il corpo sospeso, le gambe divaricate nelle mani dei suoi sudditi, la carne che accoglie con avidità: Princy non è più solo la donna che provocava, è il dono vivente offerto al suo popolo, e nulla potrà fermare ciò che ha iniziato neanche lei.
Attorno a lei il cerchio si stringe, compatto e febbrile. La folla non è più spettatrice, è un branco che urla, che sbava, che scalpita per avere la sua parte. I telefoni continuano a registrare, ma molte mani sono ormai infilate nei pantaloni, che stringono erezioni dure e lucide, pronte a esplodere.
Le voci si alzano, sporche, volgari, senza pudore. «Troia!» urla uno con la voce roca, «guardate come lo prende!». Un altro ride sguaiato: «Vedrai quando toccherà a me, non camminerai più, Regina di merda!». Le parole cadono come pietre, ma invece di spezzarla la incendiano: la pelle brucia, i muscoli si tendono, e lei geme più forte, accogliendo dentro di sé la brutalità che il primo le infligge.
Le incitazioni si moltiplicano, sovrapposte, frenetiche. «Scopala più forte!» grida qualcuno, «spaccale il culo!» urla un altro, «non fermarti finché non chiede pietà!». Le mani battono sui tavoli, i bicchieri tintinnano e si rovesciano, il locale vibra come una cassa di risonanza di oscenità. Il gruppo non è più un pubblico: è una marea che la vuole, che la reclama, che si prepara a travolgerla.
E lei, sospesa, con le gambe tenute alte dai due che la reggono, sente tutto, ogni parola, ogni insulto, ogni promessa sporca. Non chiude gli occhi, non si ritrae: geme, annuisce, si lascia andare. Perché sa che stanotte non ci sarà tregua, e che il suo corpo sarà davvero di tutti.
Il cerchio di corpi attorno a lei si anima come una marea in tempesta. Le urla sporche e i fischi diventano tocco, carne viva che reclama la sua parte. Mani ruvide scendono su di lei da ogni lato: due le afferrano i seni piccoli e tesi, pizzicano i capezzoli duri, li torcono senza pietà fino a strapparle un gemito che rimbalza sul soffitto basso del bar. Altre dita, più giù, trovano il clitoride gonfio: ogni volta che il ragazzo tra le gambe si ritrae per poi affondare di nuovo, un colpo secco arriva lì, diretto, preciso, a farle sobbalzare il bacino sospeso.
Volti vicini, troppo vicini, ombre di erezioni che la circondano. I cazzi gonfi le sfiorano il viso, le labbra, si strusciano sulla sua pelle arrossata, lasciando strisce lucide di umidità e odore acre. Uno le spinge il glande contro la bocca, glielo striscia sul labbro inferiore, ne macchia il rossetto cremisi, mentre lei geme e apre appena la bocca, il respiro caldo che lo avvolge senza inghiottirlo ancora.
Le sue mani vengono afferrate, guidate, costrette a stringere altri membri. Le dita si chiudono attorno a cazzi tesi e palpitanti, e lei resta così, prigioniera e al tempo stesso sacerdotessa, che con i polsi bloccati e le mani guidate in avanti si ritrova a masturbare corpi che fremono sotto la sua presa passiva. I colpi delle sue stesse spinte vengono scanditi dal ritmo delle mani che la obbligano a dare piacere anche mentre viene posseduta.
Il locale è un delirio. Ogni angolo risuona di respiri affannati, di urla, di gemiti. Il nome che prima era un titolo ora è un insulto che si rovescia addosso a lei con la stessa potenza: “Regina!”, “Troia!”, “Succhiali tutti!”. E ogni parola la scava dentro, la umilia e la esalta, finché il suo corpo intero vibra come se appartenesse davvero a ognuno di quei venti sudditi che la stanno consumando a turno, senza ordine, senza tregua.
Il branco attorno a lei perde ogni parvenza di ordine. Le spinte si moltiplicano, i corpi si urtano tra loro, ognuno reclamando un frammento di quella bocca che geme e ansima. Princy ha la testa afferrata da mani ruvide, dita intrecciate nei capelli corti che la tirano indietro e avanti, guidandola come un trofeo vivente.
Un cazzo le invade la bocca con violenza, affondando fino a soffocarla, le vene tese che pulsano sulla lingua. Quando si ritrae, un altro prende subito il suo posto, il glande gonfio che le schiocca sulle labbra arrossate e bagnate. Le spinte non danno tregua: membri duri entrano ed escono senza ritmo, ognuno diverso, ognuno assetato. L’odore acre e salmastro le riempie le narici, il sapore caldo le cola sulla lingua, mescolandosi al rossetto che ormai sbava sulle guance.
I ragazzi si spintonano tra loro, gomiti e spalle che si urtano per guadagnare un posto davanti a lei. «Apri la bocca, troia!» grida uno, spingendosi avanti. «È mia adesso!» urla un altro, e già il suo cazzo le spinge tra le labbra, strappandole un gemito strozzato. Le mani che prima le stringevano i seni ora le tengono le braccia ferme, costringendola a subire ogni affondo, mentre altre dita continuano a tormentarle il clitoride, pizzicandolo, colpendolo con tocchi secchi che la fanno tremare.
Gli applausi, le urla, i fischi riempiono la sala come un delirio antico. La sua bocca non è più sua: è del branco, che se la passa, che la consuma, che se la strappa di mano l’uno con l’altro. Ogni volta che un cazzo si ritrae, ne arriva subito un altro, e lei geme, inghiotte, ansima, lasciando che la sua lingua e le sue labbra appartengano a tutti.
Il ritmo del primo tra le sue gambe diventa frenetico, quasi convulso. Le mani che la tengono sollevata non la lasciano scivolare, le cosce tremano e l’impatto dei suoi colpi le scuote il ventre. Le urla del branco si fanno sempre più vicine, più feroci, finché con un grido strozzato lui affonda fino in fondo e viene dentro di lei, il calore che le invade l’utero con violenza. Princy geme forte, la testa abbandonata all’indietro, il seno che vibra sotto i colpi del respiro.
Appena il piacere di lui si spegne, mani ruvide lo strappano via. La folla lo scaccia come un sacrificio compiuto e subito un altro prende posto, senza esitazione. Il nuovo ingresso è deciso, brutale, e le fa spalancare la bocca in un urlo che si spegne in un gemito lungo: non è solo dolore, è un’onda devastante che le sale dalla figa fino alla gola. Il suo corpo esplode in un orgasmo feroce, le cosce che si tendono, il ventre che si inarca, i capezzoli durissimi che tremano sotto i colpi del piacere.
La sala esplode con lei. «Troia!», «Falsa santarellina!» urlano, «ti credevi chissà chi, ma adesso ti aggiustiamo noi!». Le voci sono un coro di denigrazione e di eccitazione, ogni insulto la umilia e la incendia, la costringe a godere ancora di più, proprio perché è lì, nuda e offerta, davanti a tutti. Princy geme, annuisce, si lascia affondare da quelle parole come dalle spinte che la aprono.
Uno dei suoi ammiratori più ossessionati non resiste oltre. Si fa avanti, gli occhi fuori controllo, e le afferra le cosce, costringendola a stringere le gambe attorno al ragazzo che già la possiede. Lei lo fa, obbediente, la schiena che si tende, le braccia abbandonate. Poi lui si mette dietro, il cazzo gonfio e lucido che si insinua sotto, cercando lo stesso varco già occupato. La folla trattiene il fiato un istante, poi esplode quando l’ingresso si compie: due corpi dentro di lei, insieme, che la dilatano e la possiedono come nessuno aveva mai osato.
Un urlo squarcia la sua gola. È dolore, sì, ma un dolore che subito si fonde con un piacere inarrestabile, un incendio che la scuote fino alla testa. «Sì!» geme tra i denti, «sì!». Il suo sesso pulsa, stretto e aperto allo stesso tempo, invaso da due erezioni che affondano con ritmo sfalsato, e il suo corpo intero vibra come una corda tesa.
Attorno, il branco si scatena. «Guardatela!» urla uno, «la regina troia gode con due cazzi dentro!». «Spaccatela!» incita un altro, «falli uscire dalla bocca le urla, non dal cazzo!». Ogni insulto la lacera e la esalta, le fa fremere il clitoride che continua a pulsare sotto i colpi delle dita di chi non smette di tormentarla. Le mani continuano a strizzarle i capezzoli, a torcerli, e ogni volta il gemito si trasforma in un lamento che incendia ancora di più la sala.
Princy non resiste, non oppone nulla. Si lascia attraversare, dilatare, devastare. È la loro regina, ed è lì per appartenergli tutti, uno dopo l’altro, insieme, senza fine.
Il branco non si ferma più, un vortice che travolge tutto. Princy è sospesa, le gambe strette attorno ai fianchi dei due che la possiedono contemporaneamente, i corpi che affondano in lei con colpi alternati che la dilatano e la incendiano senza sosta. Il suo ventre trema, il seno piccolo vibra, la bocca resta aperta in un gemito senza fine.
Dal cerchio spuntano mani con mollette da bucato, improvvisate armi di piacere e di tortura. Un ragazzo gliele aggancia ai capezzoli tesi, uno a sinistra e uno a destra, e il dolore acuto la fa urlare, ma subito il gemito si spegne in un brivido che le attraversa la schiena e le fa inarcare il corpo ancora di più. I seni vengono presi a schiaffi, colpi secchi che fanno tintinnare le mollette e la costringono a urlare ancora, le urla che si mischiano a gemiti di piacere.
Una mano forte le stringe la gola, riducendole l’aria. Princy ansima, gli occhi che si spalancano, il respiro che diventa corto e bruciante. Ma quel vuoto d’ossigeno amplifica tutto: i colpi dentro di lei diventano più intensi, il clitoride pulsa con violenza, e ogni gemito soffocato si trasforma in un’esplosione di piacere che le incendia il ventre. Altre dita si infilano nella sua bocca, la costringono a succhiarle come fossero cazzi, la lingua che le avvolge mentre geme senza respiro.
«Guarda come gode!» urla uno, «la troia si arrende a tutti noi!» rincara un altro. Le voci si intrecciano, la denigrano, la incitano, la spingono sempre più oltre. Ogni insulto è un colpo al cuore e al sesso, ogni frase la umilia e la consacra ancora di più.
Princy geme, scossa, usata e posseduta da ogni lato, ma nel profondo un piacere devastante le esplode dentro. La consapevolezza che tutti la desiderano, che tutti la bramano, che il suo corpo è diventato il centro di un rito di pura bramosia, la porta in un’estasi incontrollabile. Le lacrime le rigano il viso, miste al rossetto sbavato e alla saliva che cola, ma non sono di dolore: sono il segno di un piacere così alto da sfiorare la follia.
I due dentro di lei aumentano il ritmo come se fossero spinti dal branco stesso. Le mani che la tengono aperta non le concedono scampo, il sesso le pulsa attorno a quelle erezioni che si muovono con furia crescente. Princy geme forte, la testa che si scuote da un lato all’altro, i capezzoli torturati dalle mollette che tremano a ogni colpo. Poi accade: entrambi si tendono, un grido maschile spezza l’aria, e il calore caldo e vischioso la invade da due lati insieme. Due fiotti, due scariche potenti che la riempiono al punto da farle esplodere dentro un nuovo orgasmo, ancora più violento. Urla, il corpo che si inarca, il sesso che trema nel ricevere quell’ondata di piacere e di umiliazione totale.
Appena i due si sfilano, ansimanti e spossati, un altro prende il comando. Si siede su una sedia in mezzo al locale e la attira a sé con un gesto deciso. Le mani la guidano, le gambe di lei tremano ma obbediscono, e il suo corpo scivola a cavalcioni sul cazzo teso che l’accoglie dentro di sé. La penetrazione è profonda, immediata, un colpo che la fa gemere con la testa rovesciata all’indietro. Le sue natiche restano completamente esposte, offerte alla bramosia degli altri.
È allora che spuntano cinture. Mani febbrili le sollevano, il cuoio fende l’aria e cala sulla sua pelle. Un colpo secco sui glutei nudi le strappa un urlo che rimbalza tra le pareti. Un altro le taglia la schiena, lasciando un segno rosso, vivido, che si accende sotto le luci. Il dolore è acuto, le lacrime le affiorano agli occhi, ma il corpo tradisce ogni resistenza: il sesso le pulsa ancora più forte attorno all’uomo che la possiede, la figa già fradicia che si stringe con violenza attorno a lui.
I colpi arrivano, ancora, più forti, più rapidi, uno dopo l’altro, il cuoio che le incendia la pelle, il piacere che le divora il ventre. Ogni segno sulla schiena e sulle natiche diventa un marchio, una prova della sua resa, un trofeo del suo popolo che la possiede senza tregua.
Il cerchio attorno a lei brucia di desiderio, un branco di lupi che le gira intorno aspettando il proprio turno. Il respiro dei ragazzi è corto, le erezioni tese e brillanti di saliva e di sudore, le mani che stringono il vuoto come se già la stessero afferrando. In quell’istante, dal gruppo delle ragazze arretrate in un angolo, esplode un grido acuto, cattivo e incitante: «Fatele il culo!».
Le parole cadono come una scintilla in un barile di benzina. I ragazzi esplodono in un boato, si spintonano, corrono come in una gara folle per essere i primi, i corpi che si urtano, le voci che urlano, gli insulti che rimbombano. Princy sente quel coro scuoterle le viscere. Un brivido la attraversa, le gambe già tremanti si aprono di più, la schiena si inarca sul corpo dell’uomo che la sta ancora penetrando da sotto. Non resiste, non si oppone: sa che è il momento. Anche questo lo vogliono da me, e io glielo darò.
Uno si fa avanti con decisione, il cazzo gonfio in mano, le pupille dilatate come un animale in preda alla fame. Le mani le afferrano i fianchi, la trattengono ferma. Poi, senza esitazione, sputa sul suo foro stretto: un gesto osceno, sporco, che strappa un boato al branco. La saliva scivola lungo la fessura, lucida e impudica, e subito dopo la punta del glande spinge contro di lei.
Princy urla quando la pressione si trasforma in ingresso. È un fuoco, un dolore che la squarcia e la incendia allo stesso tempo. Le lacrime le rigano il viso, ma il grido si spezza in un gemito lungo, gutturale, che vibra in gola e accende la sala. Il sesso già occupato pulsa, si stringe, mentre dietro la carne cede e si apre a quell’invasione.
Il branco esplode: «Eccola!», «Troia!», «Guardatela, gode pure così!». Le mani si agitano in aria, i colpi delle cinture tornano a batterle sulla schiena e sulle natiche già segnate, e ogni schiocco si mescola all’urto dei corpi che la penetrano da due lati. Ogni affondo è dolore e piacere fusi in uno, ogni insulto un marchio che la incide dentro.
Princy non si trattiene più. Geme forte, urla, si lascia dilaniare e possedere, e proprio in quell’umiliazione totale il piacere le esplode di nuovo, violento, devastante. È nuda, frustata, riempita davanti al suo popolo che la acclama e la insulta, e in quell’istante sa di essere davvero la loro regina: schiava del loro desiderio, sovrana della propria resa.
Il branco non resiste più. I corpi che fino a quel momento si erano spintonati per avere un varco ora cedono alla tensione feroce accumulata. I cazzi tesi, pulsanti, diventano una condanna: fanno male, bruciano, reclamano lo sfogo. Non c’è spazio per tutti dentro di lei, e allora uno dopo l’altro si avvicinano, stringendo le mani sui propri membri, gli occhi fissi su quel corpo sospeso e devastato.
I primi gemiti maschili si mescolano ai suoi lamenti, e subito l’aria si impregna di quell’odore acre, caldo, pungente. Getti caldi le colpiscono il ventre, altri le macchiano i seni, altri ancora le imbrattano il viso. La bocca le si spalanca in un gemito strozzato proprio mentre un fiotto le schiocca sulle labbra, scivola lungo il mento, le cola sul collo.
Non sono uno, non sono due. Sono più di dieci, tutti attorno a lei, che esplodono senza ordine, senza misura. Le cosce si macchiano, lo stomaco le si copre di strisce lucide, i capezzoli tesi restano nascosti sotto schizzi bianchi e densi. Una pioggia calda e sporca la avvolge, la marchia, la consacra. Ogni fiotto è un insulto e una corona insieme, un atto di possesso che la trasforma in reliquia profana.
Princy geme, i capelli corti che gocciolano, la pelle che brilla di piacere maschile, le labbra che tremano tra dolore e piacere. Non si nasconde, non si ritrae: apre gli occhi, alza il viso, accoglie ogni goccia come parte del rito. Attorno, il branco esplode in un delirio di urla e di risate, il suo nome mescolato a insulti, a gemiti, a ringhi di soddisfazione.
È un’apoteosi oscena: la loro regina non è più solo posseduta, ora è imbrattata, segnata, consacrata dal piacere di tutti. E nel suo ventre, nel suo sesso ancora tremante, l’eccitazione si mescola all’umiliazione e le scava dentro un nuovo, devastante brivido.
I due dentro di lei raggiungono insieme l’apice. Le loro spinte si fanno irregolari, convulse, poi affondano con gemiti gutturali e calore che la invade di nuovo, profondo, fino a farle vibrare l’utero. Princy geme forte, la bocca aperta, le gambe tremanti che stringono i fianchi dei ragazzi, il corpo che pulsa nell’ennesima scossa di piacere e sfinimento.
Quando si sfilano da lei, il suo corpo resta abbandonato, esausto, eppure ancora bruciante. Con le ultime forze cerca di alzarsi, le gambe nude che la sorreggono a malapena, tremolanti, il panno verde del biliardo che le resta impresso sulla pelle. Non fa in tempo a muovere un passo che due ragazze del gruppo le si avvicinano: la prendono per le braccia, con un gesto deciso le stringono ai polsi dei braccialetti lucidi, che in un attimo vengono agganciati a corde già pronte, pendenti dal soffitto.
Due ragazzi la sollevano, i muscoli tesi mentre la issano lentamente. Princy lascia andare la testa all’indietro, il capo chino subito dopo, gli occhi socchiusi che brillano appena sotto le luci. I suoi piedi sfiorano il pavimento, le punte che non trovano appoggio, oscillano appena. È sospesa, offerta, inerme e magnifica.
Lo spettacolo che offre è osceno e divino insieme. I seni piccoli e sodi ancora stretti dalle mollette che le tendono i capezzoli, il rossetto sbavato che si mescola allo sperma che le cola dal viso, dal collo, dal ventre. Ogni parte del suo corpo è segnata: strisce lucide sulle cosce, gocce che pendono dai capezzoli, schizzi che brillano sulla schiena arrossata dai colpi di cintura. È un mosaico di piacere e umiliazione che la trasforma in un’icona vivente.
La folla si stringe attorno a lei, muti per un istante, rapiti. Le urla si spengono, resta solo il respiro collettivo, pesante, come se tutti stessero contemplando una divinità profana. Poi un fischio rompe il silenzio, altri ridono, altri urlano ancora: «Guardatela!», «La nostra regina troia!», «Non regge più, ma la vogliamo ancora!».
La canna dell’acqua compare come un attrezzo improvvisato, trascinata da uno dei più intraprendenti. La folla si apre per lasciarlo passare, un brusio eccitato accompagna il gesto. Poi il getto parte, gelido, violento, e colpisce il corpo sospeso di Princy. Lei inarca la schiena di scatto, un urlo le esplode dalla gola: il freddo la morde, le gocce la schiaffeggiano, il respiro si spezza. Si agita, tira le braccia, le gambe che scalpitano nell’aria, ma i braccialetti la tengono ferma. Non può fuggire, non può opporsi: resta lì, lavata come un trofeo, il suo corpo che vibra e trema sotto quella doccia forzata.
L’acqua corre lungo i seni, lava via lo sperma rappreso sul ventre e sulle cosce, cola tra le labbra gonfie del sesso, scende sulle gambe tese, schizza via dai tacchi. Ogni parte del suo corpo viene ripulita, ma il modo è crudele, spietato: non una carezza, ma un lavaggio. La pelle si arrossa, la carne trema, e la sua bocca resta aperta in un misto di protesta e di piacere rovesciato.
Quando il getto si interrompe, resta solo il rumore delle gocce che cadono a terra. La canna viene riposta e nel bar cala un silenzio innaturale, denso, quasi solenne. Tutti fissano il corpo sospeso, ancora oscillante, lucido d’acqua, i capezzoli tesi sotto le mollette, la bocca che ansima, il capo chino.
Dal gruppo esce la ragazza che per prima l’aveva spogliata. Avanza decisa, senza fretta, come se il momento fosse stato scritto da sempre. Si ferma davanti a Princy, alza lo sguardo e con un gesto secco strappa via le mollette dai capezzoli. Princy urla, un gemito misto di dolore e liberazione, il petto che si scuote, il respiro che riprende fiato.
La ragazza sorride appena, poi si china, porta le mani tra le gambe ancora bagnate e le apre con forza. La vagina pulsa, gonfia, dilatata, colma di sperma e di umidità. Le dita affondano subito, due insieme, veloci, senza esitazione. Il suono bagnato riempie il silenzio, un gemito gutturale sfugge dalle labbra di Princy. La ragazza la osserva da sotto, gli occhi brillanti, un ghigno che si accende sul suo viso: sente la sua regina cedere anche lì, a lei, davanti a tutti.
Poi aggiunge un terzo dito. Princy geme, si agita, la schiena che si tende, i piedi che cercano il pavimento senza trovarlo. Ma non basta: la mano spinge ancora, un quarto dito si insinua nel sesso già dilatato, e la regina urla forte, la voce che riempie di nuovo il bar. Un urlo che non è solo dolore: è resa, è piacere estremo, è umiliazione che si trasforma in incoronazione.
La folla, dopo l’urlo di Princy, resta sospesa. Un silenzio greve riempie il locale, interrotto solo dal rumore dell’acqua che ancora gocciola dal suo corpo sospeso. Tutti la guardano, muti, ipnotizzati dal suo respiro spezzato, dalla bocca semiaperta, dai seni che si alzano e si abbassano convulsi.
Poi una voce, roca, squarcia l’attesa: «Sfondala!». Un brivido percorre la sala. Qualcuno ripete, più forte: «Sfondala!». In pochi secondi diventa coro, un ruggito che rimbalza sulle pareti. «Sfondala! Sfondala!». Le urla montano, diventano tamburo. Poi nuove parole, ancora più oscene: «Mettile dentro la mano!». E subito dopo: «Spaccala! Spaccala!».
Ogni sillaba è un colpo che piove sul corpo sospeso della regina. La ragazza inginocchiata tra le sue gambe sente l’onda della folla e risponde: le dita già affondate spingono di più, più fondo, più violente. Il pollice si unisce, spinge accanto alle altre dita, il sesso di Princy si apre in modo disumano, dilatato, pulsante. Lei urla, un grido che si spezza in gemiti, la testa che sbatte indietro, le braccia tese dalle corde che scricchiolano sotto la tensione.
Attorno, due ragazzi hanno già recuperato le cinture. Non aspettano altro. Una fende l’aria davanti, l’altra dietro. I colpi calano sulla sua pelle: schiocchi secchi, brucianti, che le rigano i seni e le natiche. La pelle già arrossata si accende di nuovi segni, strisce rosse che diventano subito vive, che la fanno urlare ancora più forte. Ogni frustata si sovrappone all’affondo della mano che la invade, e il suo corpo trema come se fosse percorso da scosse elettriche.
Il coro della folla continua, sempre più violento, sempre più osceno: «Sfondala! Spaccala!». E lei, devastata, appesa, i piedi che sfiorano il pavimento senza toccarlo, geme e urla, ma non crolla. Si lascia attraversare, si lascia consumare, si lascia trasformare nel centro di quel rito barbaro che la vuole aperta, marchiata, posseduta fino all’impossibile.
Le urla del branco diventano un ruggito unico, un comando senza possibilità di fuga. La ragazza inginocchiata tra le gambe di Princy raccoglie tutta quella furia e la trasforma in azione. Le dita, già spinte fino al limite, avanzano ancora, centimetro dopo centimetro, fino a che l’intera mano affonda in lei.
Il passaggio è brutale: la carne si dilata oltre ogni misura, il ventre le si contrae, e Princy esplode in un urlo atroce che spezza il silenzio e rimbalza nel locale come una lama. Dal sesso scivolano via tutti i liquidi accumulati: sperma, umidità, il piacere stesso della regina che cola lungo le cosce, sgorga sul pavimento in rivoli lucidi. La folla esplode: «Sfondala! Spaccala!» rimbomba ovunque, voci maschili e femminili fuse in un coro barbarico.
Dentro di lei la mano si chiude a pugno. La ragazza sorride, un ghigno feroce che illumina il suo viso, e inizia a muoversi. Spinge, torce, affonda, estrae e rientra, trasformando il sesso di Princy in un altare di tortura e piacere insieme. Ogni colpo è un’onda che la squarcia e la incendia, la pancia che si solleva e si abbassa come scossa da convulsioni.
Le cinture intanto non smettono. Davanti e dietro, i colpi fischiano nell’aria e calano sulla sua pelle, schioccano sui seni già arrossati, lacerano le natiche fino a farle bruciare come fuoco vivo. Il suo corpo vibra, oscilla dalle corde che la tengono sospesa, ogni frustata la fa sussultare, ogni affondo della mano dentro di lei la fa urlare con voce rotta, straziata, ma piena di un piacere devastante.
Princy geme, grida, il capo chino, la saliva che le cola dalla bocca aperta, gli occhi semichiusi persi nel delirio. Umiliata, violata, adorata. Non più donna, non più modella, non più regina: è diventata il loro possesso, il loro altare, la loro reliquia vivente. E proprio in quella dissoluzione trova il piacere più assoluto, un abisso che non ha fondo.
Le corde la tengono sospesa, i piedi che sfiorano il pavimento senza mai trovarlo. Princy è un corpo lucente, devastato, marchiato da segni rossi sulle natiche e sul petto, coperta ancora da gocce appiccicose del branco. La mano della ragazza è interamente dentro di lei, il pugno che si muove a scatti lenti e profondi, che la dilata, che la scava fino al limite. Ogni spinta è un colpo al ventre, ogni torsione un incendio che le squarcia il respiro.
Le cinture non smettono. Una le schiocca sui seni piccoli e tesi, strappandole gemiti che si trasformano subito in urla. L’altra cala sulle natiche, sulle cosce, sul dorso, fino a farle bruciare la pelle. Ogni colpo è un marchio, ogni schiocco una ferita di fuoco che diventa parte del rito. E mentre il dolore la attraversa, la mano dentro di lei lavora, spinge, affonda, la porta sempre più vicina all’orlo.
Il suo corpo comincia a tremare. La bocca si apre, la saliva che le cola dal mento, gli occhi semichiusi persi nel delirio. Un urlo le esplode dalla gola, ma non è solo dolore: è un orgasmo devastante, totale, che la squassa sospesa nell’aria. I muscoli le si contraggono attorno al pugno che la possiede, i liquidi sgorgano di nuovo, colano sulle cosce, gocciolano al suolo come pioggia profana.
La folla esplode. «Troia!», «Guardatela!», «La regina gode!», urlano tutti, le voci che si accavallano in un coro barbarico. Le urla di insulto diventano applausi, risate, gemiti. Qualcuno batte i pugni sui tavoli, altri riprendono con i telefoni, altri si toccano furiosamente davanti a lei.
Princy geme ancora, la testa chinata, le braccia tese, il corpo segnato dalle frustate, la vagina dilatata che pulsa intorno alla mano che ancora la penetra. È nuda, sporca, devastata, ma ha raggiunto l’apice. L’umiliazione più totale si è trasformata nel piacere più grande.
Il silenzio cala improvviso, come se il branco intero fosse rimasto senza fiato. Le urla, gli insulti, i colpi di cintura si spengono, restano solo i rantoli di Princy, il suo respiro spezzato che riempie il bar insieme all’odore acre di sperma, sudore e acqua. La ragazza inginocchiata tra le cosce la guarda con un lampo negli occhi, poi, con una lentezza quasi sacrale, estrae la mano dal suo sesso dilatato. Un fiotto di umidità cola giù dalle labbra gonfie, scivola lungo le cosce tremanti fino a gocciolare al suolo.
Dalle finestre filtrano i primi raggi dell’alba. La luce taglia la sala come un coltello, polvere sospesa nell’aria, e oltre le pareti il paese ricomincia a vivere: voci lontane, il rumore di una serranda che si alza, i primi passi sulla strada. Dentro al bar, invece, il tempo sembra sospeso.
Due ragazzi la sollevano con cura, la calano dalle corde fino a farle toccare il pavimento. Le gambe non la reggono, vacillano, ma non c’è pietà: mani sicure le afferrano i polsi e le legano le braccia dietro la schiena con nodi stretti. Un collare nero le viene fissato al collo, e un guinzaglio pende da esso, scintillando alla luce grigia del mattino.
Il branco si ricompone, non più furioso, ma compatto e silenzioso. Aprono la porta del locale e la trascinano fuori. Princy cammina nuda, solo i tacchi che battono sull’asfalto, il corpo coperto di segni rossi e lividi, i capelli corti incollati al viso bagnato. Ogni passo è accompagnato da mani che la sculacciano, che le torcono i capezzoli, che la strattonano per il guinzaglio. Lei geme, piega la testa, ma non si ribella.
Il paese si risveglia e assiste. Finestre che si aprono, porte socchiuse, sguardi attoniti e curiosi che seguono la scena. Nessuno parla, nessuno interviene. È un corteo silenzioso di umiliazione. Lei, regina della notte, ridotta a trofeo dell’alba, cammina tra le strade che conosce, esibita e sottomessa, ogni occhio che la segue come giudice e carnefice insieme.
La conducono fino al cancello di casa. Lo spalancano e la lasciano lì, nuda, con il guinzaglio ancora al collo, i polsi legati dietro la schiena. Senza una parola, senza un gesto di pietà, la abbandonano. Il clangore del cancello che si richiude è l’ultima eco del loro dominio.
Così si chiude la notte del bar: la regina che si lascia distruggere e ricostruire dal desiderio del suo popolo, consacrata davanti a tutti non dal trono, ma dal fango, dal dolore e dal piacere che l’hanno resa leggenda.

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scritto il
2025-09-10
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