Elena a cena 1^ Parte

di
genere
tradimenti

Era da tempo che non accadeva: una cena soltanto per loro due, senza amici, senza impegni, senza distrazioni. Giorgio l’aveva invitata con un tono che le aveva fatto vibrare dentro qualcosa che non provava da mesi, forse da anni. Elena aveva colto subito l’importanza del gesto e aveva deciso che quella sera non si sarebbe limitata a essere elegante: voleva essere irresistibile.
Chiusa nella camera da letto, davanti allo specchio, cominciò la sua preparazione. Dopo la doccia, ancora avvolta nell’accappatoio, scelse con cura la lingerie. Sfilò il tessuto bianco dalle spalle e infilò lentamente il tanga in raso nero, la stoffa liscia che aderì subito alla pelle rasata e profumata. Fece scorrere le autoreggenti sulle gambe, una dopo l’altra, sentendo la seta sottile che accarezzava la pelle e la fascia ricamata che si fermava alta sulla coscia. Solo in quel gesto già si sentì diversa, più consapevole, più donna.
Prese il tubino rosso fuoco e lo fece scivolare sul corpo, prima dalle spalle, poi giù lungo il busto, fino a farsi avvolgere come una seconda pelle. Si aggiustò il tessuto sui fianchi, lisciandolo con le mani, e si guardò nello specchio: l’abito stringeva la vita, sottolineava il seno e lasciava nuda la schiena, un contrasto perfetto tra coprire e svelare. Si chinò per infilare le décolleté nere lucide, i tacchi alti che le slanciavano ancora di più le gambe. Quando si raddrizzò, la figura che lo specchio le restituiva era già quella che voleva: provocante, femminile, perfetta.
Passò al trucco con precisione. Gli occhi prima di tutto: matita nera, ombretti bronzei e scuri sfumati con pazienza, ciglia allungate dal mascara. Lo sguardo che ne uscì era magnetico, profondo, carico di promesse. Poi le labbra: non il rosso dell’abito, ma un nude lucido che metteva in risalto la loro forma, pronto a catturare gli occhi di Giorgio quando lei avrebbe sorriso. Un tocco di blush sugli zigomi, un riflesso di luce sull’arco di cupido: il viso era completo.
Sciolse i capelli e li lasciò cadere morbidi sulle spalle, lisci, con una riga appena accennata di lato. Li pettinò con lentezza, accarezzandosi quasi da sola, e osservò come incorniciavano lo sguardo truccato. Per un istante si fermò, inspirò il suo profumo già vaporizzato nell’aria, e sorrise.
Quando raccolse la borsetta e si voltò verso la porta, sapeva di essere al top. Non solo bella: quella sera Elena era pronta a farsi guardare, desiderare, e ricordare.
Giorgio era già pronto, seduto in salotto con la giacca appoggiata allo schienale della sedia e l’orologio controllato per la terza volta in pochi minuti. Quando sentì il rumore dei tacchi avvicinarsi lungo il corridoio, alzò lo sguardo distrattamente, ma quello che vide lo lasciò senza respiro.
Elena comparve sulla soglia, illuminata dalla luce calda che filtrava dalla stanza dietro di lei. Il tubino rosso fasciava ogni curva, il contrasto con la pelle chiara la rendeva ipnotica, e i capelli sciolti le cadevano perfetti sulle spalle. Lo sguardo intenso, truccato con cura, era un invito e una sfida nello stesso tempo. Giorgio si ritrovò a fissarla senza riuscire a parlare, la bocca leggermente socchiusa, come se davanti a sé non avesse sua moglie, ma una donna sconosciuta, nuova, travolgente.
Lei colse quell’attimo di silenzio con un piccolo sorriso. Si fermò, fece scivolare una mano lungo il fianco dell’abito, lasciando che il tessuto aderente esaltasse il gesto, e chiese con voce calma: «Allora… sono pronta?».
Giorgio si alzò lentamente, ancora stordito da quell’immagine. Non servivano parole: il modo in cui la guardava, lo sguardo che le correva dalle labbra al seno, dal seno alle gambe fasciate, diceva già tutto.
Il ristorante era uno di quelli che Giorgio aveva sempre scelto per le occasioni importanti: luci calde, arredi eleganti senza eccessi, un brusio soffuso che avvolgeva l’ambiente senza mai coprire le voci. Ma quella sera non erano i lampadari di cristallo né i tavoli finemente apparecchiati a catturare l’attenzione: fu Elena.
Appena varcò la soglia, tutti gli sguardi maschili si voltarono su di lei. Il tubino rosso le avvolgeva il corpo come una fiamma viva, e il suono deciso dei tacchi che colpivano il pavimento di legno scandiva il suo ingresso come una musica segreta. Non era soltanto la bellezza a colpire, ma l’aura che la circondava: un misto di consapevolezza e desiderio che faceva vibrare l’aria. Giorgio la seguiva di un passo, ma la percezione era chiara: quella sera Elena era la protagonista assoluta.
Il cameriere si affrettò ad avvicinarsi, giovane, giacca nera e papillon, lo sguardo che tradiva lo scompiglio dietro la professionalità. Si offrì di accompagnarli al tavolo con un sorriso cortese, ma quando parlò, la voce si rivolse più a lei che a entrambi: «Signora, devo dirle che questo colore le dona in un modo straordinario».
Elena lo ringraziò con un cenno lieve del capo e un sorriso calibrato, consapevole dell’effetto che stava producendo. Giunti al tavolo, il cameriere si chinò per spostare la sedia, e in quell’attimo, mentre Elena si accomodava, le dita di lui sfiorarono il suo braccio nudo, appena sopra il gomito. Un tocco leggero, quasi impercettibile, ma sufficiente a provocare un brivido che lei mascherò abbassando lo sguardo. Forse fu un gesto accidentale, forse no, ma il suo profumo, catturato nel movimento, si mescolò per un attimo al respiro del giovane.
Giorgio osservava la scena senza perdere un dettaglio. Vedeva come gli occhi del cameriere si illuminavano davanti a Elena e come la moglie, pur mantenendo un portamento impeccabile, non fosse indifferente a quella sottile attenzione. Un gioco pericoloso che cominciava appena, sotto la veste di una cena romantica.
L’antipasto arrivò su piatti finemente decorati, ma Giorgio quasi non vi fece caso. Aveva occhi solo per lei, seduta davanti con le gambe accavallate e il tubino rosso che la fasciava come un guanto. Tagliava lentamente il carpaccio, ma la sua voce tradiva l’emozione: «Dovremmo uscire più spesso, Elena. È incredibile… sei ancora più bella di quando ti ho sposata. Non so come fai, ma ogni anno sembri più affascinante.»
Lei abbassò appena lo sguardo, sorridendo con un misto di pudore e compiacimento. Le parole di Giorgio, rare negli ultimi tempi, quella sera scivolavano come carezze, ma la consapevolezza che ogni movimento attirasse attenzione non era meno elettrizzante.
Il cameriere passò più volte vicino al loro tavolo, ogni scusa era buona: controllare che tutto fosse in ordine, riempire i bicchieri, sistemare un piatto. Gli occhi, però, finivano sempre su Elena. Non erano sguardi fugaci: erano intensi, quasi audaci, come se cercassero di imprimersi nella memoria la sua figura.
All’ultimo passaggio, mentre Elena piegava leggermente il busto in avanti per afferrare il calice e le gambe restavano accavallate sotto il tavolo, il cameriere le si avvicinò dal lato. L’angolo dall’alto gli permise di intravedere un dettaglio che nessun altro poteva cogliere: la sottile fascia ricamata delle autoreggenti che abbracciava la coscia. Lo sguardo gli si fermò lì, intenso e bruciante, per un istante che parve eterno.
Elena se ne accorse. Sentì quel brivido farsi strada tra le gambe, non per il gesto, ma per la certezza di essere stata scoperta. Non mosse nulla, non abbassò la gonna, non fece cenni di fastidio. Lasciò semplicemente che il gioco restasse sospeso nell’aria, mentre Giorgio, ignaro, continuava a lodarla, a dirle quanto fosse la donna più desiderabile della sala.
Elena, con la schiena appoggiata al muro, dominava con naturalezza la visuale dell’intera sala. Ogni uomo che passava la notava, ma c’era uno sguardo che tornava sempre, insistente: quello del cameriere. Non faceva nulla per mascherarlo, anzi, sembrava che ogni movimento di lei fosse per lui un richiamo irresistibile.
Ogni volta che Elena alzava il calice alle labbra, notava come i suoi occhi si fermassero su quella bocca lucida, pronta a ricevere un sorso di vino, e si accorgeva della tensione che gli contraeva il respiro. Quando si chinava appena in avanti per parlare con Giorgio, il tubino stringeva il seno, costringendolo a risaltare sotto il tessuto, e lo sguardo del giovane scivolava lì, rapito, incapace di staccarsi.
E poi le gambe. Accavallate con una naturalezza studiata, fasciate dalle autoreggenti, toniche e tornite, erano una calamita silenziosa. Il cameriere non poteva ignorarle: ogni volta che passava davanti al tavolo il suo sguardo cadeva inevitabilmente lì, tradendo un desiderio che nemmeno la professionalità riusciva a nascondere.
Elena lo sapeva. Sentiva il potere crescere dentro di sé, come se fosse lei a orchestrare quella tensione invisibile. Mentre Giorgio continuava a lodarla, a dirle che era splendida, che non aveva mai visto una donna così affascinante, lei si godeva il doppio gioco: da un lato il marito che la riscopriva, dall’altro un estraneo che la divorava con gli occhi.
Elena attese il momento giusto. Il cameriere stava tornando in sala con un vassoio in mano, il passo sicuro e lo sguardo che già la cercava. Lei, senza affrettarsi, mosse lentamente le gambe sotto al tavolo, sciolse l’incrocio e lo ricompose con un gesto fluido, e nell’atto lasciò che l’orlo del tubino si sollevasse di qualche centimetro. Un nulla, abbastanza da svelare il punto esatto in cui il nylon sottile della calza si interrompeva e iniziava la balza ricamata, scura e sensuale, aderente alla sua coscia chiara.
Dalla sua prospettiva, il giovane non poteva non vederlo. Portava il vassoio a un tavolo accanto, ma i suoi occhi si fermarono, tradendo una vibrazione che lo fece quasi inciampare nella professionalità. Elena lo percepì, senza nemmeno dover guardare direttamente: sapeva di avere catturato tutta la sua attenzione, e proprio quel piccolo dettaglio diventava ora un invito muto e irresistibile.
Giorgio, seduto di fronte, vide solo un gesto elegante di sua moglie che si sistemava meglio sulla sedia, e sorrise tenero, continuando a lodarla: «Non so come tu faccia… sembri la stessa donna che ho sposato, ma ancora più sensuale. Mi sento fortunato ad averti qui con me stasera.»
Elena si limitò a sorridergli, ma dentro si nutriva di un piacere diverso: sapeva che, a pochi passi, c’era un uomo che la stava guardando in quel modo proibito, che conosceva un dettaglio del suo corpo che Giorgio non vedeva. E proprio questo segreto la faceva fremere.
Giorgio ricevette una chiamata sul cellulare proprio mentre stava gustando l’ultimo boccone dell’antipasto. Fece una smorfia, scusandosi con Elena: «Un attimo solo, amore, è il lavoro. Rispondo fuori, così non ci disturbano.» Si alzò, lasciando il tovagliolo piegato sulla sedia, e si diresse verso l’uscita della sala.
Elena rimase sola, il calice tra le dita, consapevole che quell’assenza breve poteva trasformarsi in un’occasione. Non passò neppure un minuto che il cameriere riapparve, stavolta senza vassoi, senza scuse apparenti. Si chinò verso di lei con un sorriso che voleva essere discreto, ma i suoi occhi lo tradivano.
«Va tutto bene, signora?» chiese con voce bassa, più intima che professionale.
Elena lo guardò appena, inclinando il capo, e in quell’attimo si accorse di come il suo sguardo non riuscisse a restare sul suo viso. Scivolava, lento e deciso, sul seno stretto dal tubino, poi giù lungo il fianco, fino alle gambe accavallate dove la balza della calza si intravedeva ancora. Era uno sguardo che bruciava.
«Benissimo,» rispose lei, lasciando che la voce uscisse morbida, lenta, quasi un sussurro. Appoggiò il calice al tavolo e, come per caso, fece scivolare l’orlo dell’abito ancora un soffio più in alto, appena quanto bastava a cancellare ogni dubbio.
Il cameriere inspirò piano, come se quell’immagine lo avesse colpito nello stomaco. Allungò la mano verso la bottiglia sul tavolo e la inclinò per riempire il calice di Elena, ma nell’abbassarsi il dorso della sua mano sfiorò di nuovo il braccio nudo di lei. Non si ritrasse subito, anzi, indugiò un istante, un contatto tanto leggero quanto voluto.
Elena non si mosse, non ritirò il braccio, e nemmeno sorrise. Restò immobile, ma i suoi occhi si accesero, consapevoli di aver conquistato un potere assoluto in quel momento.
Elena non aveva fretta. Tenendo il calice a mezz’aria, come se stesse per berne un sorso, lasciò invece che lo sguardo si alzasse lentamente verso il cameriere. Lo fissò dritto negli occhi, senza sorridere, con quell’espressione calma e consapevole che sapeva trasformare in arma. Poi, con un gesto studiato eppure naturale, sciolse le gambe.
Il tubino si tese sui fianchi mentre lei lasciava che la stoffa risalisse appena, quel tanto che bastava a liberare il punto in cui il nylon cedeva il posto alla balza scura e ricamata. La sua pelle chiara si accese sotto la luce del ristorante. Il cameriere restò immobile, come ipnotizzato, mentre Elena, con una lentezza quasi crudele, ricompose l’incrocio, accavallando di nuovo le gambe e serrandole con grazia.
Lo fece senza abbassare lo sguardo, tenendolo fisso su di lui. Ogni secondo che passava sembrava un messaggio silenzioso: sapeva cosa stava mostrando, e sapeva di averlo catturato. L’aria tra loro si fece più densa, quasi elettrica.
Il giovane deglutì a vuoto, tradendo lo scompiglio. Cercò di riprendere fiato, ma non riusciva più a fingersi neutrale: i suoi occhi scivolarono dal volto di Elena al seno stretto nel tubino, poi tornarono a posarsi sulle cosce accavallate. La professionalità era ormai una maschera sottile, pronta a cedere.
Elena, composta e perfettamente immobile tranne che per quel gesto, si godeva il potere assoluto di quell’istante, consapevole di avere reso quel ragazzo suo prigioniero senza bisogno di toccarlo o pronunciare una sola parola.
Il cameriere rimase un istante sospeso, il respiro corto e lo sguardo incapace di staccarsi dalle cosce tornite che Elena aveva appena accavallato di nuovo. Si chinò appena verso di lei, fingendo di sistemare la bottiglia sul tavolo, ma abbassò la voce fino a trasformarla in un sussurro che apparteneva solo a loro due.
«Sta rendendo difficile il mio lavoro stasera.»
Le parole erano cortesi in apparenza, ma negli occhi c’era la verità: non parlava del servizio, parlava di lei, del suo corpo, del modo in cui lo stava facendo perdere. Elena lo guardò senza battere ciglio, un lieve sorriso appena accennato che non confermava né smentiva, ma che bastava a incendiare ancora di più l’aria.
Elena trattenne lo sguardo su di lui per un istante ancora, poi un sorriso le fiorì sulle labbra lucide, sottile e calibrato. Non rispose con parole, non ce n’era bisogno: quel sorriso era già un messaggio chiaro, un invito e insieme un congedo.
Fu allora che scorse Giorgio avvicinarsi, con il telefono ancora in mano e l’espressione di chi si è appena liberato da una seccatura. Il cameriere, colto all’improvviso, si raddrizzò rapido, tornando a indossare la maschera di professionalità. «Ben rientrato, signore,» disse con un tono neutro, facendo un passo indietro.
Elena si limitò ad aggiustarsi i capelli dietro l’orecchio, come se nulla fosse accaduto, ma dentro sentiva ancora il brivido caldo di quell’intesa segreta, rimasta sospesa nell’aria tra lei e quel giovane sconosciuto.
Il vino scivolava lento nei calici, il brusio della sala faceva da sfondo, ma tra loro era come se il tempo si fosse fermato. Giorgio, con un gesto inconsueto, prese la mano di Elena sopra il tavolo. Non lo faceva spesso, e proprio per questo lei rimase immobile, sorpresa da quel tocco caldo e improvviso.
«Sei splendida,» disse con un tono che non era più leggero come all’inizio della cena, ma carico di un’intensità diversa. «Quando usciamo così, quando ti vedo vestita in questo modo… mi sento l’uomo più fortunato del mondo.» Si interruppe un attimo, inspirò come se dovesse trovare il coraggio, poi aggiunse: «Ma a casa, quando siamo soli, vorrei ritrovare quella stessa donna. Più calda, più… femmina. Non solo l’eleganza, non solo l’immagine perfetta. Io ti vorrei così anche nell’intimità.»
Elena restò in silenzio, le dita strette dalle sue. Sentì un brivido correre dentro, a metà tra il pungolo e la lusinga. Quelle parole la spiazzavano, perché erano sincere, e al tempo stesso la toccavano proprio dove lei sapeva di essere più fragile. Sapeva di piacere, di farsi guardare, di essere desiderata… ma non era lo stesso che lasciarsi andare con lui, nel privato.
Gli occhi di Giorgio la cercavano, ansiosi di una reazione, mentre sullo sfondo il cameriere passava ancora, fingendo indifferenza ma rubando uno sguardo alle gambe accavallate di Elena. Lei si trovò stretta tra due fuochi: l’uomo che l’aveva sposata e la reclamava, e quello sguardo estraneo che le ricordava quanto fosse irresistibile.
Elena abbassò lo sguardo sul calice, lasciando che le parole di Giorgio rimanessero sospese tra loro. La sua mente, però, prese una deviazione inattesa, riportandola a quell’episodio che teneva sepolto come un segreto bruciante: il pomeriggio nel capanno degli attrezzi, con i due papà del calcio.
Ricordò la porta chiusa dietro di loro, l’odore di legno e polvere, le mani forti che non avevano chiesto permesso ma l’avevano afferrata come se fosse stata un premio da spartirsi. Ricordò le voci basse, i respiri concitati, il modo in cui l’avevano fatta sentire non solo desiderata, ma divorata. Era stata una resa improvvisa e totale, un momento in cui la sua freddezza si era sciolta in puro istinto, lasciandola senza difese.
Adesso, con Giorgio che le stringeva la mano e le chiedeva di essere più “femmina”, Elena non poteva non pensare a quanto quella parte di sé esistesse già, potente e travolgente, ma non con lui. Con gli altri riusciva a lasciarsi andare, con gli altri il fuoco divampava. Con suo marito, invece, restava sempre una patina di distanza, come se una barriera invisibile impedisse al desiderio di esplodere.
Il contrasto la fece vibrare dentro, quasi la colpa si mescolasse con un brivido di eccitazione segreta. Giorgio non lo sapeva, non poteva immaginare che sua moglie era già stata quella donna calda e selvaggia che lui reclamava, ma non tra le sue braccia.
Elena lasciò che il silenzio durasse qualche istante, poi sollevò lo sguardo verso Giorgio. Non c’era durezza nei suoi occhi, ma una chiarezza che non ammetteva vie di fuga. Stringendo leggermente la mano che lui le teneva, parlò con calma, quasi con dolcezza, ma ogni parola arrivò precisa come una lama.
«Giorgio… non dire che io non sono abbastanza calda, o abbastanza femmina. Io so bene chi sono, e so cosa posso dare. Non l’ho dimenticato, e non mi sono mai spenta come pensi.» Fece una pausa, accarezzando con l’indice il dorso della sua mano, un gesto tenero che contrastava con la fermezza della voce. «Il punto è che una donna si accende quando l’uomo che ha accanto sa farla sentire davvero desiderata. Non basta un vestito o una cena. Serve fuoco, iniziativa. Io sono pronta… ma se non mi hai sentita così nell’intimità, forse dovresti chiederti se sei stato tu a cercarmi con la stessa intensità con cui mi guardi adesso.»
Le sue labbra si piegarono in un sorriso lieve, senza ironia, ma con la consapevolezza di aver rovesciato il tavolo del discorso. Giorgio restò interdetto, quasi spiazzato dalla sicurezza di lei. Non era un rimprovero urlato, era molto peggio: era la verità detta con calma, senza possibilità di replica.
Il volto di Giorgio cambiò in un attimo. L’ombra di tenerezza che aveva mostrato poco prima si spense, sostituita da un’irritazione che si mescolava al bisogno di difendersi. Sciolse la mano da quella di Elena e si appoggiò allo schienale, come a voler prendere distanza.
«No, Elena,» disse con voce più dura, «non provare a rigirare le cose. Non è colpa mia se in camera da letto tu non hai mai voglia. Ogni volta sei stanca, svogliata, distratta. E quando provo a proporti qualcosa di diverso, di un po’ più trasgressivo, alzi un muro. Non ti vesti mai per me quando siamo soli, mai una sorpresa, mai un gioco… e adesso vorresti farmi credere che il problema sono io?»
Le parole caddero pesanti, spegnendo per un attimo il brusio della sala attorno a loro. Elena restò ferma, con il calice tra le dita, mentre dentro sentiva ribollire due sensazioni opposte: la rabbia per l’ingiustizia di quelle accuse e, insieme, l’ironia segreta di sapere quanta passione aveva già saputo liberare — ma non con lui.
Dal fondo della sala, il cameriere osservava di nuovo. Non poteva sentire le parole, ma vedeva le espressioni: l’irrigidirsi del marito, il silenzio impenetrabile della moglie. E non riusciva a staccare gli occhi da lei, dal modo in cui, pur sotto accusa, restava bellissima e padrona di sé.
Elena restò qualche secondo immobile, le dita strette sul calice, il respiro appena più veloce. Le parole di Giorgio le bruciavano ancora addosso, soprattutto quell’accusa di non voler mai trasgredire. Lentamente sollevò lo sguardo su di lui, e la sua voce, quando parlò, fu calma ma tagliente come vetro.
«Sei sicuro di quello che stai dicendo?» lo sfidò, scandendo ogni sillaba. «Vuoi la tua donna trasgressiva? Bene. Ti basterebbe alzare gli occhi: tra due minuti potrei alzarmi da questa sedia, portare quel cameriere nei bagni e scoparmelo come non ho mai fatto con te. E allora sì che vedresti cos’è la trasgressione.»
La frase cadde sul tavolo come un fulmine, rovesciando l’aria attorno. Giorgio rimase un istante a bocca socchiusa, incredulo, poi esplose in una risata fragorosa, scomposta, che attirò lo sguardo di più di un tavolo vicino. Si piegò quasi in avanti, battendo la mano sul tavolo, come se quelle parole fossero state una barzelletta esilarante.
Elena sentì il sangue salirle al viso, non per vergogna ma per furia. Dentro di lei qualcosa si spezzò: non era stata ascoltata, non era stata capita, era stata ridotta a oggetto di scherno. La sua sfida, che era un grido di verità, veniva derisa in pubblico dal marito che non sapeva leggere la donna che aveva davanti.
Gli occhi le si accesero di rabbia, e le labbra, truccate di lucido, si serrarono in una linea sottile. Per la prima volta, in quella serata, Elena non era più solo la donna che incantava gli sguardi maschili, ma un fuoco vivo, pronto a divampare.
La risata di Giorgio continuava a scuoterlo, scomposta, quasi volgare nel contrasto con la raffinatezza della sala. Elena lo fissò un istante, immobile, il calice ancora tra le dita. Poi, lentamente, lo posò sul tavolo, si scostò appena dalla sedia e si alzò.
Il tubino rosso disegnava la sua figura come una fiamma viva, e i tacchi scandirono un battito secco sul pavimento. Si chinò leggermente verso Giorgio, abbastanza vicina da fargli percepire il profumo e il calore del suo corpo, ma senza offrirgli la dolcezza di un contatto. Le labbra lucide si mossero appena, e la voce uscì bassa, tagliente, come un sibilo che gli colpì la pelle.
«Ora vedrai.»
Non gridò, non fece scenate: la calma glaciale con cui pronunciò quelle parole fu molto più inquietante. Giorgio rimase interdetto, la risata spezzata a metà, incapace di capire se stesse ancora scherzando o se stava davvero per trasformare la sua minaccia in realtà.
Attorno, i tavoli più vicini si zittirono, attratti dalla tensione improvvisa. E il cameriere, pochi metri più in là, sentì un brivido lungo la schiena. Nei suoi occhi, l’immagine di Elena che si ergeva davanti al marito non era più solo desiderio: era l’intuizione che quella donna, in quell’istante, poteva travolgere chiunque scegliesse di portare con sé.
Elena si raddrizzò, i capelli lisci che le scivolarono sulle spalle, e girò appena il volto. Non verso Giorgio, ma verso il cameriere. Lo fissò un istante, gli occhi intensi che non lasciavano spazio a dubbi, e in quello sguardo c’era tutto: una promessa, un ordine, un’occasione irripetibile.
Il ragazzo trattenne il respiro. Aveva capito. Non c’era bisogno di parole: quella sera, quella donna gli stava concedendo una possibilità, e una soltanto.
Senza dire nulla, Elena si voltò e cominciò a camminare verso l’uscita della sala, i tacchi che ticchettavano sul pavimento e l’abito rosso che seguiva i suoi fianchi ad ogni passo. Il cameriere si mosse quasi subito dopo, con un gesto rapido che poteva sembrare lavoro ma che lo portò nella stessa direzione.
Giorgio rimase al tavolo, lo sguardo perso tra il calice di vino ancora pieno e la sedia vuota davanti a sé. La sua risata si era spenta di colpo, lasciandogli addosso solo il silenzio e il peso dell’eco di quelle parole: «Ora vedrai.»
Giorgio guardò l’orologio per la terza volta. Erano passati minuti lunghi, e il posto davanti a lui restava vuoto. Con un gesto secco si alzò, attirando l’attenzione di un cameriere di passaggio, e si diresse verso i bagni. Le porte erano tutte socchiuse, la luce accesa, ma non c’era nessuno. Nessun rumore, nessuna traccia di Elena.
Sorrise tra sé, un sorriso teso e forzato. “Avrà preferito prendere aria fuori”, pensò, convinto che la moglie stesse sbollendo la rabbia con una passeggiata. Decise di non darle la soddisfazione di rincorrerla, si voltò e tornò lentamente al tavolo.
Si sedette di nuovo, afferrò il calice e proprio mentre lo sollevava, il cellulare sul tavolo vibrò. Un messaggio. Lo schermo si illuminò davanti a lui.
Lo schermo si illuminò e Giorgio, con un mezzo sorriso ancora sulle labbra, sfiorò lo schermo per aprire il messaggio. L’attimo dopo il sangue gli si gelò nelle vene.
La foto occupava tutto lo spazio: Elena, inequivocabilmente lei, inquadrata dall’alto. I capelli biondi raccolti in una stretta maschile, la testa piegata in avanti, le labbra lucide che affondavano su un membro eretto. L’abito rosso, lo stesso con cui era entrata poco prima nella sala, riconoscibile, aderente al corpo come una fiamma. Nessun dubbio, nessun margine di interpretazione.
Giorgio sentì il cuore rimbombargli nelle orecchie, lo stomaco contrarsi. Inspirò forte, quasi per cercare ossigeno, mentre le mani gli tremavano. Si guardò intorno, istintivamente, come se qualcuno potesse aver visto quello scempio sullo schermo. Ma i tavoli vicini erano assorti nei loro discorsi, ignari della sua catastrofe personale.
La risata che pochi minuti prima gli era uscita fragorosa ora gli tornava alla memoria come una bestemmia. Quelle parole — “Ora vedrai” — risuonavano nella sua testa, e la foto era la prova che non aveva mai immaginato potesse arrivare.
Il vino nel calice rimase intatto. Giorgio restò immobile, lo sguardo incollato allo schermo, incapace di decidere se cancellare subito quell’immagine o tenerla lì, a torturarlo.
Giorgio spalancò la rubrica e compose il numero di Elena con dita tremanti. Portò il telefono all’orecchio, il cuore che martellava. Uno squillo, due, tre… nulla. La linea cadde di colpo, il segnale interrotto come se fosse stato spento o rifiutato. Rimase immobile, il telefono ancora in mano, gli occhi fissi sul display scuro che non restituiva risposta.
Fu allora che la vibrazione tornò, secca, implacabile. Un nuovo messaggio. Giorgio lo aprì con un gesto nervoso, quasi convulso, e il fiato gli si bloccò in gola.
La foto era nitida, spietata. Elena piegata in avanti, il busto premuto contro una superficie che non riuscì a riconoscere. Il volto girato verso l’obiettivo, gli occhi truccati che lo fissavano come in una sfida, un sorriso che non lasciava spazio a dubbi. L’abito rosso era arrotolato fino ai fianchi, le autoreggenti tirate al limite, il tanga spostato di lato a scoprire un gluteo teso. Dietro di lei, un corpo maschile, potente, la stava possedendo a fondo, senza dolcezza, con l’urgenza bruciante del desiderio.
Era l’immagine della trasgressione che lei gli aveva appena promesso al tavolo, materializzata con una precisione crudele. Giorgio sentì le gambe cedere, posò il calice per non rovesciarlo e restò a fissare lo schermo, incapace di respirare. Lì non c’era solo un tradimento: c’era la volontà deliberata di colpirlo, di annientarlo, di mostrargli che lei poteva accendersi davvero — ma non con lui.
Giorgio rimase seduto al tavolo, il telefono davanti a sé come un macigno. Le voci nella sala gli arrivavano attutite, lontane, come se fosse sott’acqua. Non mosse un muscolo, non toccò il bicchiere, non cercò di alzarsi. Solo gli occhi, fissi e vitrei, ogni tanto cadevano sullo schermo nero, come se potesse riaccendersi da un momento all’altro.
Il tempo scivolò via lento e doloroso. Un minuto, cinque, dieci. L’orologio sembrava essersi fermato, eppure i tavoli intorno continuavano a cambiare ritmo, piatti che arrivavano, risate che esplodevano, bicchieri che tintinnavano. Lui no. Lui era lì, bloccato, immobile, prigioniero del silenzio.
Poi, improvvisa, la vibrazione. Una scossa breve, secca, che gli fece sobbalzare il cuore. Giorgio afferrò il telefono con mani sudate, lo schermo si illuminò: un nuovo messaggio. Aprì.
L’immagine lo trafisse come una lama. Primo piano, impietoso. Elena, riconoscibilissima, il volto inondato dal piacere di un altro uomo. Le labbra lucide, il trucco colato, gli occhi semichiusi in un’estasi che non aveva mai visto quando stava con lui. Davanti al suo viso, ancora pulsante, il sesso che poco prima la penetrava. Il segno indelebile della trasgressione era lì, catturato per sempre in una fotografia che lei stessa aveva scelto di inviargli.
Giorgio sentì le tempie martellare, il respiro mozzarsi. Avrebbe voluto lanciare il telefono via, ma le dita restarono serrate attorno al dispositivo come artigli. Non riusciva a staccarsi da quell’immagine: era l’umiliazione più feroce, il punto di non ritorno. Eppure, dentro di lui, un groviglio confuso di rabbia, dolore e un’oscura attrazione lo tenevano inchiodato lì, a guardare ancora.
Dopo quell’ultima foto, Giorgio rimase ancora seduto, immobile, incapace di distinguere i secondi dai minuti. Il telefono era lì, davanti a lui, schermo spento, ma nella sua mente l’immagine continuava a lampeggiare, bruciante e indelebile.
Poi, dieci minuti più tardi, vide Elena ricomparire. Camminava nella sala come se nulla fosse accaduto, il tubino rosso perfetto sul corpo, i capelli lisci che brillavano sotto la luce, un profumo fresco e sensuale che la precedeva. Il volto era radioso, il trucco impeccabile, rinnovato con cura. Nessuna traccia, nessun indizio, se non negli occhi di chi sapeva.
Raggiunse il tavolo e, con un gesto naturale, si accomodò di fronte a lui. Appoggiò la borsetta accanto, prese il calice e sorrise con quella leggerezza disarmante che aveva sfoggiato all’inizio della serata.
«Scusa,» disse, con tono casuale, come se fosse stata solo una breve assenza, «dove eravamo rimasti?»
Il contrasto era devastante: lei splendida, calma, profumata come se fosse appena arrivata; lui devastato dentro, con la gola secca e lo stomaco in un nodo.

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2025-09-04
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