Elena a cena 2^ Parte

di
genere
tradimenti

Giorgio la fissava, ma le parole non gli uscivano. «Scusa, dove eravamo?» continuava a rimbombargli nella testa come un’eco beffarda. Ogni volta che tentava di aprire la bocca per dire qualcosa, la gola si chiudeva, come serrata da una morsa.
Elena, davanti a lui, sorseggiò il vino con naturalezza, gli occhi sereni, le labbra lucide perfette come se nulla fosse accaduto. Il profumo dolce e penetrante che la avvolgeva lo colpiva in pieno volto, un contrasto crudele con le immagini ancora incise nella sua mente: quelle labbra, quello stesso volto, devastato dal piacere di un altro.
Il mondo attorno continuava a muoversi — camerieri che passavano, piatti che tintinnavano, voci che si intrecciavano — ma Giorgio era immobile, paralizzato. Non riusciva a distinguere se stava vivendo o solo osservando da fuori. L’unica cosa chiara era quella frase che si ripeteva ossessiva dentro di lui: «Scusa, dove eravamo?».
Elena appoggiò il calice sul tavolo con un gesto lento, elegante. Poi si chinò appena in avanti, lasciando che la scollatura del tubino tendesse il tessuto e che il suo profumo si diffondesse ancora più intenso. Gli occhi lucidi di trucco si posarono su Giorgio, e il sorriso sulle labbra si fece più marcato, quasi divertito.
«Che succede, amore?» domandò con voce morbida, modulata come una carezza che in realtà graffiava. «Non dici più nulla? Ti vedo… silenzioso.» Fece scivolare un dito lungo lo stelo del calice, lo sguardo fisso dentro i suoi occhi immobili. «Oppure sei solo rimasto senza parole?»
Era un colpo calibrato con perfezione: il tono era leggero, il sorriso sereno, ma dietro quella domanda Giorgio sentì il peso di tutto quello che lei aveva scelto di non dire.
Giorgio restò immobile, gli occhi fissi sul volto di lei, incapace di articolare una parola. Sentiva il cuore picchiare forte, le mani sudate, la gola completamente chiusa. Ogni tentativo di reagire si infrangeva contro l’immagine delle foto che gli bruciavano ancora nella mente.
Elena inclinò appena il capo, come se lo stesse studiando. Poi sorrise di nuovo, un sorriso lento, più profondo, e abbassò la voce fino a renderla un filo che arrivò dritto al suo petto.
«Hai voluto sfidarmi, Giorgio…» sussurrò, scandendo le sillabe con calma glaciale. «E lo sai bene, non mi piace perdere.»
Le sue parole rimasero sospese nell’aria, taglienti e sensuali al tempo stesso. Lei tornò a bere un sorso di vino come se nulla fosse, mentre lui restava lì, pietrificato, prigioniero di quel sibilo che lo inchiodava più delle immagini stesse.
Elena appoggiò il calice vuoto sul tavolo, inclinando appena il polso come se stesse chiudendo un discorso mai aperto. Poi si passò con calma la lingua sulle labbra, lucide e perfette, e con un tono leggero, quasi allegro, cambiò registro come se nulla fosse accaduto.
«Allora,» disse, piegando un po’ il capo di lato, «hai già pensato al dessert? Io avrei proprio voglia di qualcosa di dolce… magari una mousse al cioccolato, o una crème brûlée, vediamo se la fanno bene qui.»
Sorrise, come una moglie qualsiasi che parla di cibo al termine di una cena romantica. Solo che a Giorgio, quelle parole caddero addosso come macigni. Restava inebetito, incapace di articolare risposta, ancora prigioniero delle immagini che aveva visto sul telefono e della frase sibilata poco prima: “Hai voluto sfidarmi, e lo sai che non mi piace perdere.”
Elena si appoggiò allo schienale, incrociando le gambe con naturalezza, il tubino che lasciava intravedere la balza delle autoreggenti come se fosse un dettaglio casuale. Guardava il menu dei dessert, sfogliandolo con calma, come se davvero la sua unica preoccupazione fosse scegliere tra cioccolato o vaniglia.
I dessert arrivarono con la stessa grazia composta con cui l’intera cena era stata servita. Due piattini eleganti, una mousse al cioccolato lucida e compatta per Elena, una crème brûlée dalla superficie caramellata per Giorgio. Il cameriere li posò con un sorriso cortese, e se notò la tensione che aleggiava al tavolo, fu abbastanza scaltro da non tradirlo.
Giorgio si aggrappò a quel momento come a un’ancora. Impugnò il cucchiaino con un gesto meccanico, affondò nella crema dorata e portò il primo boccone alla bocca. Non sentì nulla. Nessun sapore, nessuna dolcezza. Solo il silenzio che lo schiacciava, mentre davanti a lui Elena sembrava a suo agio, bellissima, padrona assoluta della scena.
Lei non parlava. Assaggiava la mousse con lentezza, lasciava che la punta della lingua raccogliesse il cioccolato, poi faceva scivolare il cucchiaino tra le labbra lucide, senza mai sollevare lo sguardo dal piatto. Sembrava assorta in un gesto innocuo, ma ogni movimento era calibrato, un gioco silenzioso che lo faceva impazzire.
Passarono secondi lunghi, il solo rumore era quello discreto delle posate che urtavano la porcellana. Poi, mentre portava un nuovo boccone alla bocca, Elena parlò. La voce era calma, naturale, come se stesse chiedendo un’opinione sul vino o sulla cottura della carne.
«Ti sono piaciute le foto?»
Non alzò lo sguardo. Restò china sul piatto, il cucchiaino ancora sospeso a metà strada tra la mousse e le labbra. Le parole caddero tra loro fredde e implacabili, come gocce di veleno in un calice già amaro.
A Giorgio mancò il respiro. Il cucchiaino gli cadde di mano, rimbalzando sul piattino con un tintinnio acuto che sembrò rimbombare in tutta la sala. Sentì il cuore esplodere nel petto e lo stomaco accartocciarsi. Lei non lo stava provocando a caso, non lo stava nemmeno nascondendo: lo stava torturando con una calma glaciale, mentre continuava a gustare il dolce come se nulla fosse.
Il cucchiaino gli tremava ancora tra le dita quando lo posò sul piattino. Giorgio alzò finalmente lo sguardo, e i suoi occhi incontrarono quelli di Elena, che continuava a gustare con calma la mousse, come se nulla fosse accaduto. Per un istante non riuscì a parlare, poi la voce gli uscì roca, spezzata, senza traccia di rabbia, solo un dolore nudo.
«Non mi aspettavo… una cosa del genere.» Le parole caddero piano, una dietro l’altra, come se pesassero tonnellate. «Con me non sei mai stata così, Elena. Mai. Nemmeno lontanamente.» Deglutì a fatica, cercando aria, mentre gli occhi restavano fissi sui suoi, alla disperata ricerca di una crepa in quella maschera perfetta. «Perché?»
Il silenzio tra loro si fece spesso. Giorgio passò una mano tra i capelli, come per scacciare le immagini che ancora gli bruciavano in testa. «Perché con me no? Perché con me non hai mai avuto quella fame, quella passione… e con un altro sì? Cos’è che io non ti ho dato?»
La voce gli tremò sull’ultima parola, e si spense. Restò lì, inerme, con il cuore in gola e la gola secca, nudo davanti a lei senza bisogno di alzare la voce.
Elena appoggiò il cucchiaino sul bordo del piattino, intrecciò le dita e rimase un attimo in silenzio, lo sguardo basso, come se stesse scegliendo con cura ogni parola. Poi sollevò gli occhi su Giorgio e, per la prima volta in quella sera, nel suo volto non c’era ironia né sfida: solo una calma lucida, implacabile.
«Le mie necessità stanno cambiando,» disse piano, con voce morbida ma ferma. «Non posso più fingere che mi basti quello che avevamo. Ho bisogno di emozioni forti, di sentirmi viva, di sentirmi… femmina. Non solo moglie.»
Lasciò che il silenzio pesasse, che le sue parole scavassero dentro di lui. «Con te mi sono sentita protetta, rassicurata. Ma questo non basta più. Io voglio di più. Voglio che il mio corpo parli, che i miei desideri trovino spazio. Non posso continuare a spegnere quello che sono solo per mantenere un ruolo.»
Il suo sguardo rimase fisso nei suoi, limpido e crudele al tempo stesso. «Non è che non ti abbia mai voluto, Giorgio. È che adesso non mi basta più. Voglio sentirmi donna, non semplicemente la tua compagna di vita.»
Le parole si fermarono lì, sospese. Lei tornò a prendere un cucchiaino di mousse, lo portò lentamente alle labbra e lo assaggiò con una serenità glaciale, come se avesse appena pronunciato la verità più ovvia del mondo.
Elena appoggiò con calma il cucchiaino sul piattino, si chinò leggermente verso di lui e lo fissò negli occhi. La sua voce uscì chiara, ferma, senza rabbia, ma con quella serietà che non lasciava scampo.
«Giorgio, la scopata domestica non mi basta più. Non posso continuare a vivere la nostra intimità come un’abitudine, senza fuoco, senza quella passione che una donna ha bisogno di sentire. Ma non fraintendermi: il nostro amore non è in discussione. Io ti amo, e questo non cambierà.»
Fece una breve pausa, lasciando che le sue parole trovassero spazio dentro di lui. Poi aggiunse, con tono ancora più intenso: «Quello che dobbiamo fare è cambiare. Noi, insieme. Io ho bisogno di emozioni forti, di trasgressione, di riscoprirmi femmina fino in fondo. E voglio farlo con te, se sei pronto a uscire dagli schemi. Non è la fine della nostra storia… è il passo che ci serve per non lasciarla morire.»
Si appoggiò di nuovo allo schienale, accavallò le gambe con naturalezza e prese il calice. «Sta a noi decidere come sarà il prossimo capitolo.»
Giorgio si raddrizzò sulla sedia, le mani serrate sul tavolo. Lo sguardo che rivolse a Elena non era più solo incredulo: c’era dentro l’eco di anni di frustrazione, di richieste rimaste sospese, di rifiuti che gli avevano scavato dentro.
«Tu… tu mi stai prendendo in giro, Elena?» La voce era bassa ma dura, senza tremito stavolta. «Per anni ti ho chiesto di essere diversa, di lasciarti andare, di fare qualcosa in più. Per anni ho bussato a una porta chiusa. E adesso, così, all’improvviso, mi vieni a dire che la scopata domestica non ti basta più? Che vuoi trasgredire?»
Si chinò verso di lei, il volto contratto. «Sai quante volte ho provato a dirtelo? Quante volte ho cercato di farti capire che mi stavo spegnendo, che avevo bisogno di te? E tu niente. Sempre stanca, sempre distante, sempre un muro. E adesso… adesso ti svegli e mi dici che sei tu quella che ha bisogno di emozioni forti? Adesso che io ho imparato a non chiedere più?»
Inspirò a fondo, quasi a frenarsi, ma le parole continuavano a uscire, come se non potesse più trattenerle. «Non ti rendi conto di quanto sia crudele, Elena. Anni di negazioni, di rifiuti, di silenzi… e poi questa svolta improvvisa, come se fosse colpa mia.»
Restò lì, teso, gli occhi fissi nei suoi, come a sfidarla a negare.
Gli occhi di Elena, fino a quel momento fermi e sicuri, tremarono appena sotto il peso delle parole di Giorgio. Era come se quelle frasi, scagliate con la forza di anni repressi, avessero scalfito la corazza che si era costruita addosso. Inspirò piano, ma l’aria le si bloccò in gola; il cucchiaino le sfuggì dalle dita e cadde sul piattino con un tintinnio secco.
«Giorgio…» mormorò, e per la prima volta la sua voce non era ferma, ma incrinata. «Non capisci… non era mancanza di desiderio. Non era che non ti volessi. È che…» esitò, abbassando lo sguardo per un istante, come se non trovasse il coraggio di guardarlo negli occhi, «è che avevo paura. Paura di non essere all’altezza, paura di mostrarmi come sono davvero. Con te era diverso, ti amavo, ti amo… e mi sembrava che se avessi ceduto a certe parti di me, avrei rovinato quello che eravamo.»
Si fermò, un respiro spezzato le sfuggì dalle labbra, e quando rialzò gli occhi, brillavano di una lucida commozione. «Ma così mi sono chiusa, l’ho fatto per proteggere quello che avevamo… e invece stavo spegnendo me stessa. E te.»
La sua mano cercò quella di lui sul tavolo, stavolta non con sicurezza, ma con un bisogno vero, fragile. «Non voglio perderti. Non voglio che tu pensi che non ti ho mai voluto. Io… io voglio ancora te. Ma ho bisogno che tu mi accompagni, che tu mi segua. Perché non ce la faccio più a fingere.»
Giorgio si guardò intorno, improvvisamente consapevole che la sala sembrava essersi fatta più silenziosa. Non c’erano sguardi diretti, nessuno che osasse palesemente fissarli, eppure l’aria dava la sensazione che ogni parola, ogni gesto, fosse caduto come una pietra in un lago immobile. Si chinò verso Elena, abbassando la voce: «Usciamo. Parliamone fuori.»
Lei non esitò. Un cenno lieve, un sorriso accennato, e fece scivolare la borsetta sulla spalla. Giorgio alzò la mano per chiamare il cameriere, il conto arrivò in fretta, pagato con un gesto rapido, quasi liberatorio. Non scambiarono parole fino a quando la porta del ristorante si chiuse alle loro spalle.
Fuori, l’aria della sera li accolse fresca, vibrante. Elena si voltò verso di lui senza dire nulla, lo abbracciò con forza, stringendolo al petto come se avesse paura di perderlo davvero. Poi sollevò il viso e lo baciò. Non un bacio casto o distratto, ma pieno, sensuale, con le labbra lucide che si aprirono sulle sue, il calore della lingua che si insinuava a reclamare ciò che fino a poco prima aveva negato.
Quando si staccò, restò vicina, il respiro ancora mescolato al suo, e mormorò: «Vorrei affrontare questo nuovo percorso con te. In due sarà ancora più divertente, più appassionante.»
Giorgio non trovò subito le parole. Ma il suo corpo parlò per lui: la pressione improvvisa, netta, che Elena sentì premere contro il suo ventre, le raccontò molto più di qualsiasi frase. Lui era già lì, pronto a risponderle, pronto a seguirla.
Giorgio aprì lo sportello della macchina con un gesto rapido, quasi impaziente, e fece salire Elena. Lei scivolò sul sedile con eleganza naturale, le gambe avvolte dal tubino rosso che brillava sotto la luce dei lampioni. Giorgio si accomodò al volante, infilò la chiave e il motore ruggì subito, come se anche l’auto avesse avvertito la tensione che scorreva tra loro.
«Andiamo a casa,» disse a bassa voce, ma con una determinazione che non lasciava scampo. «Questa sera ti voglio.»
Elena lo guardò di lato, un sorriso che accendeva gli angoli delle labbra. Si chinò un poco verso di lui, lasciando che il profumo dolce lo raggiungesse, e rispose con malizia: «Perché non andiamo da qualche parte, invece? In macchina… come quando eravamo ragazzi.»
Per un istante Giorgio restò in silenzio, le mani strette sul volante, lo sguardo fisso sulla strada davanti. Poi si voltò verso di lei e sorrise, un lampo negli occhi che non aveva da anni. «Perché no?» disse piano.
Ma dentro di sé il pensiero era già un altro. Non un parcheggio qualunque, non un angolo appartato come facevano da adolescenti. Aveva in mente un posto preciso, uno di quelli di cui si sussurra tra uomini, dove le coppie si lasciano guardare, desiderare, a volte persino toccare da sconosciuti. Un luogo di voyeurismo e audacia, che fino a poche ore prima non avrebbe mai osato immaginare di condividere con lei.
La macchina prese velocità, i fari illuminavano l’asfalto scuro. Elena lo osservava di lato, ignara della destinazione, ma il sorriso sulle sue labbra tradiva un’eccitazione crescente, la stessa che pulsava ora nelle vene di Giorgio, alimentata dall’idea che quella notte avrebbero aperto davvero la porta a qualcosa di nuovo.
La macchina correva silenziosa nella notte, i fari che tracciavano due strisce di luce nell’asfalto scuro. Dentro, l’aria era densa, satura del profumo di Elena e del silenzio carico di ciò che non avevano ancora detto.
Giorgio allungò la mano, lentamente, e la posò sulla coscia di lei. Il nylon delle autoreggenti gli restituì un calore immediato, quasi elettrico. Elena non si ritrasse, anzi: sorrise, socchiuse le labbra e, con un gesto naturale, allargò le gambe sotto il tubino, offrendo spazio al suo tocco. La sua mano scivolò più in alto, mentre la guida diventava più nervosa, l’auto che sbandava appena a ogni respiro più profondo.
Elena a sua volta posò la mano sul grembo di lui. Lo trovò duro, pulsante, teso fino a farle sentire la pressione contro il tessuto dei pantaloni. Le dita si strinsero su quella durezza, e il sorriso sulle sue labbra si fece più marcato. «Ti eccita l’idea, vero?» sussurrò, senza distogliere lo sguardo da lui.
Giorgio deglutì, lo sguardo fisso sulla strada, ma la voce gli uscì bassa, roca, carica di un desiderio che ormai non poteva più contenere. «Succhiami… come hai succhiato il cameriere.»
Quelle parole caddero tra loro come benzina sul fuoco. Elena non distolse la mano, non ritrasse lo sguardo. Si morse appena il labbro inferiore, e la sua lingua passò lenta a inumidire le labbra lucide, come se stesse già pregustando ciò che sarebbe accaduto.
Il silenzio era rotto solo dal ronzio del motore e dal respiro di Giorgio, che si faceva via via più pesante. Elena si era chinata verso di lui, i capelli che gli sfioravano la coscia, il profumo che saturava l’abitacolo. La sua mano scivolò lenta, sicura, e un attimo dopo Giorgio ebbe la sensazione che il mondo intero si fosse contratto in quel punto preciso del suo corpo.
Le dita di lui si aggrapparono al volante come se fosse l’unico appiglio possibile. Ogni curva della strada diventava più stretta, ogni tratto rettilineo troppo breve. Sentiva il calore di lei, il ritmo costante e avvolgente che lo trascinava senza scampo. Non c’era bisogno di vedere: il suo corpo gli diceva già tutto, con quella pressione che saliva, con quella scarica di piacere che gli toglieva il fiato.
Un gemito basso gli sfuggì dalle labbra, e Elena, senza fermarsi, sollevò appena lo sguardo verso di lui. I loro occhi si incrociarono un istante: lei, con le labbra lucide, il viso segnato da un’ombra di malizia, lui con lo sguardo acceso, sospeso tra il controllo del volante e la resa totale al suo gesto.
Il ritmo crebbe, e con esso la vibrazione nell’abitacolo, il motore che sembrava ansimare insieme a loro. Giorgio sentì il ventre contrarsi, l’urgenza montare, e in quell’istante capì che la sua notte non sarebbe più stata la stessa.
Sul suo grembo, Elena si muoveva con lentezza calcolata, i capelli lisci che gli scivolavano sulle cosce, il profumo che saturava l’abitacolo. Il piacere lo stava già logorando, ma fu la voce roca che gli uscì dalla gola a incendiare tutto.
«Sai dove ti sto portando?» ansimò, il tono basso e sporco. «Un posto dove le coppie si fermano in macchina… e ci sono uomini che guardano da fuori. Alcuni si limitano a osservare. Altri toccano. Altri… partecipano.»
Elena smise il ritmo solo un attimo, lo morse piano, quanto bastava a fargli sussultare i fianchi. Poi lo sfilò lentamente dalle labbra, lasciandolo esposto al buio dell’abitacolo, lucido, pulsante. Si sollevò appena, il viso illuminato dai riflessi intermittenti dei lampioni, e lo fissò con un ghigno che era insieme malizia e sfida.
«Sei proprio un porco,» sibilò, la voce bassa, ferma, «vuoi esibire la tua mogliettina a degli estranei?»
Giorgio girò il volto verso di lei, gli occhi accesi, la mascella serrata. Un lampo di rabbia e desiderio gli attraversò il viso, e la risposta gli uscì senza esitazione, roca, tagliente.
«No,» ribatté, «io voglio far vedere a tutti quanto sei troia.»
L’auto scivolava nella notte, il rumore costante del motore si mescolava ai respiri sempre più affannosi di Giorgio. Elena non disse nulla: i suoi occhi lo fissarono un istante, lucidi e maliziosi, poi tornò a chinarsi su di lui con un abbandono feroce.
Lo accolse di nuovo con una voracità che lo fece sobbalzare sul sedile, la sua bocca calda che lo avvolgeva e lo trascinava in un vortice inarrestabile. Si muoveva con maestria, alternando lentezza e profondità a scatti improvvisi, ogni gesto studiato per fargli perdere il controllo. Giorgio gemeva a denti stretti, le mani serrate sul volante, incapace di decidere se guardare la strada o chiudere gli occhi e cedere al piacere che lo stava incendiando.
Elena accelerava, poi rallentava, poi di nuovo lo stringeva fino a strappargli gemiti che lui non sapeva più trattenere. La saliva gli colava lungo la pelle, segno della sua dedizione selvaggia, e il suo respiro caldo lo avvolgeva come una condanna. Giorgio sentì l’urgenza montare, la tensione contrarsi nel ventre, il corpo intero pronto a cedere.
Fu allora che Elena si fermò. Si sollevò lentamente, lasciandolo scivolare fuori dalle sue labbra lucide, gonfio, teso, palpitante nell’aria densa dell’abitacolo. Lo guardò un istante, un sorriso crudele e sensuale sulle labbra, mentre con il dorso della mano si puliva con eleganza la bocca.
«Conserva le forze,» sussurrò, la voce roca ma controllata. «La nottata è ancora lunga.»
Giorgio restò immobile, lo stomaco contratto, il respiro spezzato. Non era esploso, e proprio questo lo stava facendo impazzire. Capì che da quel momento in poi non era più lui a guidare, nonostante fosse al volante. Era lei.
La strada si fece più stretta, l’asfalto lasciò spazio a un tratto sterrato che scricchiolava sotto le ruote. I fari illuminavano solo il necessario: alberi contorti ai lati, rami che sfioravano il tetto dell’auto, una luna pallida che filtrava a tratti tra le fronde. Giorgio guidava con decisione, senza dire una parola, come se sapesse esattamente dove andare.
Dopo qualche curva, lo spiazzo apparve davanti a loro: un lembo di terra battuta, circondato dal buio della campagna. Nessuna luce artificiale, nessun’altra macchina, nessuna presenza. Solo silenzio, e la promessa di qualcosa che lì avrebbe preso forma.
Spense il motore, e l’abitacolo piombò in una quiete irreale. Rimase solo il rumore del metallo che si raffreddava e il loro respiro. Elena si guardò intorno, poi tornò su di lui. Gli occhi le brillavano nella penombra, e sulle labbra comparve un sorriso lento, di complicità e provocazione insieme.
Giorgio posò una mano sulla coscia di lei, stringendo appena. «Ora siamo soli.» La sua voce era roca, più un ringhio che un sussurro.
Elena si lasciò sfiorare, ma non distolse lo sguardo da lui. Il suo sorriso si fece più marcato, quasi una promessa: non c’era bisogno di testimoni perché la notte fosse lunga e indimenticabile.
Elena si mosse lenta, fluida, come se lo spazio stretto dell’abitacolo fosse stato creato per lei. Si voltò verso Giorgio, il sorriso che brillava nella penombra, e senza una parola si inginocchiò sul sedile, avvicinandosi fino a sfiorarlo con il corpo. Il tubino le tirava sui fianchi, le cosce fasciate dalle autoreggenti si piegavano con grazia, e i suoi capelli gli scivolarono sul volto quando si chinò a baciarlo.
Non fu un bacio lieve, ma un assalto sensuale: le sue labbra lucide si aprirono sulle sue, la lingua si insinuò con forza, come se volesse reclamare un territorio che fino a quel momento aveva lasciato intatto. Giorgio gemette contro la sua bocca, sorpreso dall’urgenza di lei.
Elena lo prese per la nuca, lo tenne stretto, e ogni bacio diventava più profondo, più avvolgente, fino a togliergli il fiato. Poi si scostò appena, lasciando le sue labbra a un respiro di distanza, e gli passò la lingua lenta sul labbro inferiore, raccogliendo il gusto di lui come fosse un assaggio proibito.
Le mani scesero al suo grembo, lo trovarono duro, pronto, e lo strinsero con decisione. Giorgio ansimò, cercò di muoversi verso di lei, ma Elena lo trattenne con uno sguardo feroce e un sorriso che non lasciava scampo. Iniziò a muovere la mano con ritmo, un crescendo che gli fece serrar le mani sul volante, mentre i baci tornavano, caldi, infiniti.
Quando lo sentì vicino al limite, il respiro spezzato e i fianchi che cedevano al piacere, Elena si fermò di colpo. Si ritrasse, lenta, mantenendo le mani lontane. Lo guardò negli occhi, la bocca ancora umida e il petto che si sollevava rapido.
«Non ancora,» sussurrò, la voce roca, piena di malizia. «Conserva le forze. Questa notte sarà mia.»
Elena si staccò da lui con un ultimo bacio sulle labbra, lento, carico di promessa. Aprì la portiera dal suo lato e l’aria fresca della notte invase l’abitacolo. Giorgio rimase immobile al volante, gli occhi incollati su di lei mentre scivolava fuori, i tacchi che affondavano appena nella terra battuta dello spiazzo.
Si raddrizzò, le mani che scesero lentamente ai fianchi. Con un gesto fluido fece scorrere il tubino rosso lungo il corpo, il tessuto che aderiva e poi cedeva, lasciando emergere la pelle bianca, la curva dei fianchi, le cosce fasciate dal nylon. Lo lasciò cadere sull’erba, ai suoi piedi, restando ferma un istante, esposta all’aria della notte.
La luna la illuminava quel tanto che bastava: tanga nero che scolpiva il ventre e le natiche, autoreggenti che abbracciavano le gambe tornite, il corpo lungo e sensuale che brillava nel buio. Elena sapeva che erano soli, ma la possibilità che qualcuno potesse arrivare in quel momento rendeva tutto più audace, più proibito.
Si voltò verso l’auto, i capelli che scivolavano sulle spalle, e sorrise a Giorgio attraverso il parabrezza. Poi aprì con calma la portiera posteriore, si chinò, e salì sul sedile dietro, lasciando che il marito avesse tutto il tempo di ammirare quella visione.
Giorgio, con le mani serrate sul volante, sentì il sangue martellargli alle tempie. Non aveva mai visto Elena così: esposta, padrona, provocante. E sapeva che la notte era appena iniziata.
Giorgio aprì la portiera con un gesto brusco, quasi non reggendo più la tensione. L’aria notturna lo investì per un istante, fresca e pungente, ma subito fu sovrastata dal calore che lo chiamava dall’interno dell’auto. Fece il giro veloce, ogni passo rimbombava nella sua testa come un battito in più del cuore.
Aprì la portiera posteriore e il fiato gli si spezzò. Elena era già lì, seduta al centro del sedile, le gambe divaricate con naturalezza, le autoreggenti che brillavano appena alla luce lunare che filtrava dal finestrino. Il tanga sottile incorniciava la sua intimità, lasciando poco da immaginare. Lo guardava con un sorriso che mescolava sfida e complicità, le mani appoggiate alle cosce come se lo stesse aspettando da sempre.
Giorgio salì senza pensare, chiudendosi la portiera alle spalle. L’abitacolo si richiuse attorno a loro, impregnato del suo profumo e dell’elettricità dei loro corpi. Si gettò verso di lei, le mani subito sui fianchi, il respiro corto, le labbra che cercavano le sue. Elena lo accolse senza esitazioni, stringendolo a sé, intrecciando le gambe intorno alla sua vita con un gesto naturale e feroce.
Il buio fuori li avvolgeva, e per Giorgio era come se non esistesse più nulla al mondo tranne lei, lì, pronta a mostrargli quella parte di sé che aveva sempre negato.
Giorgio non le lasciò neppure il tempo di un respiro. Le mani forti le afferrarono i fianchi, la spinsero all’indietro fino a farla scivolare sul sedile, con le spalle che si posarono contro la portiera. Le gambe di Elena si spalancarono senza resistenza, le autoreggenti che tiravano la pelle delle cosce, brillando appena alla luce filtrata dal finestrino.
Il tanga era solo un ostacolo sottile. Giorgio lo scostò con un gesto deciso, e subito si chinò su di lei, affondando senza esitazioni. La sua lingua la trovò calda, pulsante, già pronta, e il gemito che le sfuggì dalle labbra riempì l’abitacolo, rimbalzando contro i vetri come un’eco proibita. Elena serrò le dita tra i capelli del marito, lo tirò ancora più a fondo, e i suoi fianchi cominciarono a muoversi, seguendo il ritmo che lui le imponeva.
Fu allora che Giorgio percepì qualcosa oltre il vetro. Ombre. Sagome indistinte che si muovevano lente nel buio, troppo vicine perché fosse un caso. La notte attorno all’auto non era più vuota.
Elena se ne accorse a sua volta: aprì gli occhi e vide le sagome oltre il finestrino, sfocate ma inequivocabili. Un brivido le corse lungo la schiena, e invece di fermarsi, spalancò ancora di più le gambe, offrendo se stessa non solo a Giorgio, ma anche a quegli sguardi invisibili che la stavano divorando da fuori.
Dentro l’auto il piacere saliva, il respiro di lui affondava tra le sue cosce, il suo corpo si contorceva e gemeva. Fuori, il buio si animava di presenze silenziose, che si muovevano appena, come predatori in attesa.
Giorgio sollevò appena il viso dalle cosce di Elena, il respiro ancora caldo sulla sua pelle. La guardò un istante, con gli occhi accesi di desiderio e di sfida, poi allungò la mano verso il tetto dell’abitacolo. Con un clic secco, la luce di cortesia si accese.
L’interno dell’auto fu inondato da un bagliore tenue ma sufficiente a rivelare tutto: le gambe spalancate di Elena, il tanga scostato, le autoreggenti che ne abbracciavano le cosce, il suo corpo proteso in avanti, offerto senza difese.
Non bastava. Giorgio abbassò di pochi centimetri il finestrino. L’aria fresca della notte entrò all’improvviso, portando con sé il silenzio denso che gravava fuori. E nel silenzio, i gemiti di Elena, amplificati e incontrollabili, uscirono nell’oscurità.
Lei lo capì subito. Si vide esposta, illuminata, vulnerabile e al tempo stesso irresistibile. Sapeva che chiunque fosse lì fuori adesso la stava guardando, stava ascoltando i suoi sospiri, le sue grida soffocate. E invece di spegnersi, il piacere la travolse con violenza nuova. Le mani si strinsero tra i capelli del marito, i fianchi si mossero più forti, e la sua voce si fece più alta, più sporca, quasi una richiesta di essere guardata, sentita, posseduta anche dagli sguardi invisibili che li circondavano.
Giorgio, tra le sue gambe, sentì il corpo di lei vibrare in un modo che non aveva mai conosciuto. Ogni gemito che le usciva dalle labbra era una condanna e una benedizione insieme. Ogni sussulto, un urlo silenzioso agli estranei là fuori.
Elena si arcuò contro la portiera, le gambe che tremavano spalancate attorno al volto di Giorgio. I gemiti si trasformarono in grida strozzate, le mani serrate nei suoi capelli lo spinsero ancora più a fondo. La luce gialla di cortesia la illuminava mentre il suo corpo si contraeva in ondate sempre più violente, fino a esplodere in un orgasmo totale che le fece vibrare ogni muscolo.
Giorgio si sollevò appena, le labbra bagnate del sapore di lei, gli occhi in fiamme. Non attese nemmeno un battito. Si portò subito tra le sue gambe, le mani che le afferrarono i fianchi con forza, e in un solo colpo entrò dentro di lei, profondo, deciso, spezzandole il respiro in un grido acuto.
Elena, ancora percorsa dalle scosse dell’orgasmo, impazzì per quella penetrazione brutale. Ogni affondo era un colpo che la scuoteva fino al petto, un urto che la faceva vibrare contro la portiera. La sua voce si alzò, roca, selvaggia, senza freni. Con un gesto istintivo e folle, allungò la mano e abbassò tutto il finestrino accanto a sé.
L’aria della notte entrò violenta, portando fuori i suoni crudi del suo piacere, e insieme spalancando l’interno dell’auto a chiunque fosse lì nelle ombre. La sua pelle sudata brillava sotto la luce, le gambe avvinghiate a Giorgio che la sbatteva senza pietà. Era esposta, esibita, divorata dal piacere e dalla trasgressione.
L’aria notturna che entrava dal finestrino spalancato portava con sé un brivido che non era solo vento. Elena, con la testa riversa all’indietro contro il sedile, gemeva ancora in preda alle scosse dell’orgasmo, mentre Giorgio la penetrava con colpi sempre più rapidi e profondi, i fianchi che battevano contro di lei con violenza crescente.
Fu allora che una mano estranea, maschile, si allungò nell’abitacolo. Dapprima le sfiorò la spalla nuda, scivolando lenta lungo la pelle umida, poi salì verso il collo, stringendolo appena, facendola ansimare più forte. Elena spalancò gli occhi, sorpresa e scossa da quel contatto inatteso, e quando un dito si insinuò tra le sue labbra, lei lo accolse d’istinto, succhiandolo con lo stesso abbandono con cui poco prima aveva accolto suo marito.
La mano proseguì, impadronendosi del suo seno, stringendolo con decisione, torturando il capezzolo che si indurì subito sotto quella presa spietata. Elena gemette più forte, il suono amplificato dalla notte, mentre Giorgio, vedendo la scena, non rallentò ma aumentò il ritmo, colpi duri, senza tregua, eccitato come non lo era mai stato. Ogni affondo era un grido, ogni gemito di Elena un invito.
Ora era davvero un’esibizione. Dentro l’auto il piacere esplodeva, fuori le ombre si muovevano, complici silenziose del loro delirio.
Elena si lasciò manovrare senza resistenza. Giorgio la prese per i fianchi e la fece scivolare in avanti, fino a costringerla a inginocchiarsi sul sedile. Le gambe divaricate, il busto piegato, il volto quasi schiacciato contro il finestrino abbassato. Il vetro freddo le sfiorava la guancia mentre il respiro caldo appannava la superficie, disegnando nuvole che sparivano al ritmo dei suoi gemiti.
Giorgio si posizionò subito dietro di lei, le mani che le serravano i fianchi con ferocia, e senza esitazioni ricominciò a martellarla. Ogni affondo era uno schianto, un colpo che faceva tremare l’auto intera, un rumore umido che si mescolava ai suoi gemiti sempre più alti, lanciati direttamente nella notte dal finestrino aperto.
Fu allora che l’ombra si avvicinò. Un corpo estraneo, fermo appena oltre il vetro. E subito dopo, il segno inequivocabile della sua eccitazione apparve, pulsante, presentato al volto di Elena piegata in avanti. Lei aprì gli occhi, colta tra il terrore e il brivido, e il fiato le si bloccò un istante in gola.
Giorgio la strinse più forte, affondando ancora, e con voce roca, sporca, le sibilò all’orecchio: «Dai, troia… succhialo. Fagli vedere quanto sei porca.»
Quelle parole la attraversarono come una scossa. Il corpo già piegato dall’orgasmo che non le dava tregua, il piacere violento di Giorgio che la devastava da dietro, e adesso l’oscenità assoluta di essere esibita, offerta così, davanti a uno sconosciuto. Le labbra le tremarono, il respiro corto si mescolò a un gemito gutturale. Ogni fibra del suo corpo gridava che stava andando oltre, e proprio per questo non riusciva a fermarsi.
Elena non ebbe bisogno di pensarci. Il suo corpo parlò prima della mente, e ciò che Giorgio le aveva sussurrato non fu un’imposizione, ma la liberazione di qualcosa che covava dentro da sempre. Non era una resa: era una consacrazione.
Piegata in avanti, le ginocchia che affondavano nel sedile, le mani che si aggrappavano alla portiera per non cedere sotto la furia dei colpi di Giorgio. Il finestrino abbassato la esponeva del tutto, e fuori, a un respiro da lei, l’uomo la fissava in silenzio, la sua eccitazione evidente e pulsante.
Il cuore di Elena martellava, non solo per la penetrazione rude che la stava scuotendo da dietro, ma per l’abisso che si apriva davanti a lei. Guardò quell’uomo negli occhi, un perfetto sconosciuto, e poi lo sguardo le cadde più in basso. Era lì per lei, duro, vivo, pronto a sporcarsi delle sue labbra. Non c’era amore, non c’era promessa, non c’era nulla se non il puro desiderio animale di possederla per un istante.
E fu in quell’istante che capì: non era un’umiliazione subita, era una consacrazione scelta. La moglie rispettabile, la donna che per anni aveva negato, ora stava scegliendo con lucidità di aprire la bocca e accogliere ciò che la vita le stava offrendo. Non perché costretta, ma perché voleva vedere fino a dove poteva spingersi, quanto era capace di bruciare.
Spalancò le labbra, tremanti e lucide, e lo prese dentro. Sentì il calore, il peso, la consistenza di quell’estraneo che non conosceva il suo nome, che non avrebbe mai fatto parte della sua vita, ma che in quel momento stava scrivendo a fuoco un capitolo della sua storia. Il sapore le invase la bocca, familiare eppure diverso, e un brivido le scosse la schiena.
Dietro, Giorgio la martellava ancora più forte, eccitato fino alla follia dalla scena. La incitava con parole sporche, ma ora non servivano più: Elena aveva già scelto. E mentre succhiava un uomo che non aveva mai visto prima, le parve di liberarsi di tutte le catene che l’avevano tenuta prigioniera.
Elena era piegata in avanti, le ginocchia che affondavano nel sedile, la schiena arcuata, il corpo scosso a ogni affondo brutale di Giorgio. La bocca, invece, era colma di quell’estraneo che si presentava a lei senza nome, senza storia, e che lei aveva accolto come se fosse stato parte del rito che il suo corpo aveva sempre atteso. Lo succhiava con foga crescente, senza esitazione, come se il desiderio di divorarlo fosse nato proprio in quel momento, nel preciso istante in cui il finestrino era sceso.
I capelli le cadevano sul viso, scossi dal ritmo che Giorgio imponeva da dietro, e i suoi gemiti soffocati si mescolavano al respiro greve dell’uomo davanti. Fu allora che altre mani comparvero nell’ombra, due braccia nuove che si infilarono nell’abitacolo e andarono dritte ai suoi seni. Le afferrarono con violenza, stringendo, torturando i capezzoli già tesi, tirandoli come a volerli strappare via.
Elena sussultò, un gemito gutturale le si strozzò in gola, soffocato dall’asta che le riempiva la bocca. Era completamente presa, usata da ogni lato: la bocca occupata, il sesso invaso, i seni straziati da mani estranee. Eppure, nel caos di quella violazione scelta, la verità le esplose dentro.
Il piacere la travolse con la forza di una scossa elettrica. Sentì il ventre contrarsi, le gambe tremare, la pelle bagnata di sudore. Godeva come non aveva mai goduto prima, e il suo orgasmo esplose proprio lì, nel cuore di quell’oscenità. Urlò, ma la sua voce non uscì: rimase intrappolata nella carne che succhiava, nelle mani che la stringevano, negli urti violenti che la scuotevano.
Il suo corpo si contrasse, un’ondata dopo l’altra, mentre fuori più di un paio di occhi si godevano la sua caduta e la sua rinascita.
Giorgio la teneva stretta ai fianchi, i colpi sempre più rabbiosi, il corpo madido di sudore che si abbatteva sul suo con una violenza animalesca. Vedeva le mani estranee che le afferravano i seni, vedeva la sua bocca che si muoveva famelica su quell’altro, e invece di frenarsi si accese ancora di più, divorato da un’eccitazione che non credeva possibile.
Si chinò su di lei, il volto a un soffio dal suo orecchio, la voce roca e spezzata dal respiro. «Brava… sì, così… mostrami quanto sei porca. Falli godere tutti, amore mio… fagli vedere che sei mia e che puoi essere di tutti.»
Ogni parola era un colpo di frusta, e Elena gemeva con la bocca piena, le lacrime agli angoli degli occhi, senza smettere di succhiare, senza smettere di offrirsi. Le mani degli sconosciuti stringevano, torturavano, e lei, invece di ribellarsi, spalancava di più le gambe, accogliendo le spinte di Giorgio con un piacere feroce.
«Così…» ringhiò lui, serrandola con forza mentre continuava a martellarla, «fatti guardare, fatti usare… fai vedere a tutti quanto sei troia e quanto godi così.»
E lei godeva davvero. Ogni affondo, ogni tocco, ogni sguardo invisibile fuori dall’auto la incendiava, la consacrava in quell’orgia di carne e umiliazione. Era la sua rovina e il suo trionfo nello stesso istante, e non aveva mai provato nulla di così devastante.
Elena, piegata in avanti, con la bocca piena e gli occhi colmi di lacrime di piacere, fece per rispondere, ma fu allora che l’uomo davanti a lei esplose. Un getto caldo, improvviso, le colpì il viso, le labbra, le ciglia, e l’odore forte la avvolse tutta. Lei sussultò, gemette, sentendo ogni goccia segnare la sua pelle come un marchio.
Giorgio affondava ancora, al limite, e nello stesso istante anche le mani che la stringevano ai seni appartenevano ad altri corpi tesi, pronti. Bastò un respiro: due nuovi schizzi la investirono, imbrattandole i capelli, la guancia, il collo. Lo sperma degli altri due guardoni le avevano ricoperto il volto e i capelli del loro piacere. Era sporca, profanata, eppure mai così viva.
Le ultime gocce calde le scivolarono lente lungo la pelle e fu allora che l’onda la travolse. Un orgasmo devastante, diverso da tutti gli altri, esplose in lei. Non era solo il piacere fisico: era l’esibizione, la sottomissione, la consapevolezza di essere guardata, usata, marchiata davanti a chiunque fosse lì. Ogni fibra del suo corpo gridava, ogni muscolo tremava, mentre il suo gemito si trasformava in un urlo soffocato di piacere assoluto.
Il corpo di Giorgio si contrasse dietro di lei, liberandosi con un grido animalesco. Dentro e fuori, ovunque, Elena era colma di loro, inondata, consacrata. E proprio in quella oscenità, nel suo volto sporco e nei capelli bagnati, trovò la vetta del suo piacere: il punto da cui non ci sarebbe più stato ritorno.
Il silenzio calò improvviso, come se il mondo intero avesse trattenuto il fiato insieme a loro. L’abitacolo era saturo di odori forti, di pelle sudata, di piacere appena consumato. Giorgio restava piegato su Elena, il petto che ansimava contro la sua schiena, le mani ancora serrate ai suoi fianchi come se temesse che potesse sfuggirgli.
Lei aveva il viso appoggiato al bordo del finestrino, gli occhi chiusi, le labbra socchiuse che lasciavano uscire respiri lenti, tremanti. Sul suo volto e nei capelli scivolavano ancora le tracce calde della trasgressione appena vissuta, brillando alla luce fioca che illuminava la cabina. Ma non c’era vergogna nei suoi lineamenti: solo abbandono, e un sorriso lieve, quasi impercettibile, che Giorgio colse appena quando sollevò lo sguardo su di lei.
Per lunghi istanti nessuno dei due parlò. C’erano solo i loro respiri, che piano piano si fecero più calmi, e il buio della notte che li avvolgeva, complice e silenzioso. In quell’abitacolo, tra l’odore del sesso e la frescura dell’aria entrata dai finestrini, non restava che una certezza: nulla sarebbe più tornato com’era prima.

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2025-09-04
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