Sploshing Party (Capitolo II) - La Ricetta Segreta

di
genere
feticismo

La tessera della Pastry Award che brillava sotto la gialla luce del lampione mi accecava gli occhi. “Lidia D.” era recitato in grassetto di fronte alla foto tessera che sempre avevo odiato. Era il mio decimo anno da recensitrice di dolci italiani. Il decimo anno in cui viaggiavo per l’Italia a dare premi e conferimenti alle migliori pasticcerie italiane. E di bontà ne avevo mangiate a bizzeffe, con tutte le farciture esistenti: dal pistacchio alla nocciola, dalle confetture di agrumi fino a quelli di pesca; tutti i tipi di creme, la crema chantilly, la diplomatica, la mousseline, quella al burro, la bavarese e tutti i tipi di mousses. Dalle cassate fino ai cannoli, dalle crostate fino alle torte nuziali. Avevo conferito premi di qua e di là, alcuni dati anche per demerito, ma era la giuria a decidere al vaglio. E ora mi trovavo di fronte al “Sapori Unici”, una piccola pasticceria posta in un borgo del Lazio, dove tanta gente da fuori accorreva numerosa solamente per assaggiare i suoi famosi bignè, farciti con una crema che nessuno sapeva spiegare come facesse ad essere così buona. Tutti ne parlavano bene. Chi venne in quel luogo la decretò la miglior pasticceria italiana e in tanti si chiedevano i segreti delle ricette, ma i suoi due proprietari, una giovane coppia, rifiutavano sempre di farla trapelare. Non ricordavo manco più quante volte ero entrata in una pasticceria che il comitato aveva tanto voluto che visitassi, solo sentendo le opinioni degli altri. E infine ci rimanevo sempre delusa.
Continuavo a piegare la tessera del comitato, cercando la forza in quel titolo che mi aveva dato oramai la nausea. Erano le quattro del mattino. Nel borgo regnavano i canti dei grilli e la quiete di un posto così immerso nella natura sembrava recarmi una certa speranza. Una luce fioca usciva dalla vetrina della pasticceria, avevano insistito tanto per farmi venire a quell’ora, così che potessero farmi vedere il processo con cui sfornavano i loro famosi bignè. Avevano deciso di farlo vedere a me, solamente per avere il premio. La gente si svendeva per così poco.
Entrai. Il suono della campanella allertò qualcuno dalle stanze retrostanti. Un fracasso di pentole e utensili vari ruppe il silenzio che si era creato prima del mio arrivo.
Una ragazza dai capelli rossi, lentiggini che fiorivano sulle sue rosse guance come margherite in un campo di montagna e un tenero nasino leggermente schiacciato protese la mano verso di me per stringermela.
«Benvenuta! Io sono Mara G.» Mentre serrava la mia mano dai suoi capelli caddero alcuni granuli di farina, sporcando la manica del mio braccio. «Sono contenta che sia venuta.»
«Il piacere è mio» Mi nauseai da sola per il tono affettato che ponevo. «Non vedo l’ora di assaporare i vostri famosi bignè.»
«Stavamo cominciando a cucinarli proprio ora. Siamo molto gelosi delle nostre ricette come lei ben sa, difficilmente facciamo entrare qualcuno in cucina. Ma a lei concediamo questo “privilegio”, se così possiamo chiamarlo. Solo…»
La sua ridente faccia scomparve in un velo di una complice serietà.
«Mantenga il segreto.»
«Cercherò di fare il possibile. Dipende tutto dalla giuria.»
«Non potrebbe già promettermelo ora? Una volta che sarà entrata in cucina…»
«Amore» Dal fondo del corridoio una voce si levò. «È arrivata?»
«Sì, tesoro.»
«Allora cosa aspetti, sono quasi sul punto di…»
«Amore!»
La ragazza torno a fissarmi negli occhi, continuando a stringermi la mano.
«Può promettermelo?» Ribadì.
«Lo prometto.» La mia curiosità salì alle stelle. «Portami in cucina.»
Superato l’ampio vano vicino al bancone raggiungemmo la porta della cucina, dove delle soffuse e calde luci mi diedero il benvenuto. In fondo alla stanza vi era un uomo girato di spalle, con la cuffia da cuoco e vestito completamente di bianco. Aveva la schiena enorme, muscolosa, le gambe possenti. La sua mano sembrava armeggiare qualcosa davanti a lui, come se stesse spremendo una sacca, facendolo tremare un poco.
«Signora D., lui è mio marito, Milo G.»
Senza manco voltarsi per vedermi, Milo mi fece un cenno con la mano per salutarmi. La faccenda pareva molto strana.
«Mara, avrei…avrei bisogno di una mano.»
«Non ce la stai facendo?»
«Be’, ho riempito altri duecento bignè prima di questo, forse sono un poco stanco.»
Mara si diresse verso suo marito e si genufletté di fronte a lui, avvinghiando le proprie mani attorno ai suoi bacini.
«Ma cosa sta succedendo?»
Di tutta risposta ebbi solo quelli che sembravano dei gargarismi da Mara e dei gemiti provenienti da Milo.
Camminai, quasi con timore, verso la coppia, allungando la testa per vedere cosa stava succedendo lì sotto.
Mara era rossa in volto, gli occhi blu della sua faccia sembravano due diamanti sulle sue gote erubescenti. Le guance le si gonfiavano quando si avvicinava con la testa al ventre di Milo, il suo cazzo era dentro la sua bocca.
«Mi state prendendo in giro?»
Mentre cercai di fare marcia indietro, indignata e furiosa, Milo mi afferrò per un braccio. Mi guardava con le labbra schiuse e gli occhi che mi imploravano di rimanere.
«Aspetta…sto quasi per venire. Poi vedrai.»
Non feci in tempo ad arrabbiarmi che Mara si sfilò da lui e infilò l’organo di suo marito dentro un bignè posto lì vicino, allagandolo con il suo seme. Ripeté lo stesso zelante procedimento, come se il suo pisello fosse stato il beccuccio di una saccapoche, anche con altri venti bignè: le sue scorte non sembravano più finire.
Milo lanciò un potente orgasmo, mentre Mara cercò di risistemarsi per ritornare nella sua compostezza.
«È…è questo il segreto?» Chiesi, completamente stordita.
Mara annuì con un sorriso ebete che rendeva il rossore della sua faccia ancora più impacciato e puerile.
«Io…io…» Mi sentì presa in giro, furibonda: esplosi. «Vi dovrei denunciare! Non è igienica come cosa…chissà quante malattie…»
Mara mi prese per una mano, facendomi quasi rilassare.
«Non si preoccupi, signora D., io e mio marito prendiamo tutte le precauzioni mediche possibili per continuare la nostra attività. Ci piace quello che facciamo e alle persone piacciono i nostri dolci.»
«Lei…voi…»
«Se vuole posso farle vedere tutte le carte mediche.»
«Tutto questo è sbagliato.»
Milo prese un tovagliolo da un recipiente posto nelle vicinanze. Con la flemma di un orefice che si trova a maneggiare il tesoro più prezioso che abbia mai avuto tra le mani, afferrò un bignè farcito con il suo sperma e me lo pose tra le mani.
La prima reazione che ebbi fu il disgusto.
«Lo provi.» Mara mi incitava.
Il bignè era ricoperto con una glassa di cioccolato e tra i bitorzoli del dolce sentivo il calore del seme di Milo scorrere nell’impasto.
«Come fate a nasconderlo?»
«Ci mettiamo sempre della panna in mezzo. In verità la dolcezza del bignè sta proprio nel seme di mio marito.» Mara accostò la propria mano sul pene in riposo di Milo e si diedero un conciso bacio sulle labbra, innamorati.
Guardavo lo sperma uscire dal buco del dolce e cadere sul tovagliolo. Se quella “roba” avesse sporcato anche solo di poco la mia uniforme avrei fatto il delirio.
Gli occhi di Milo e Mara continuavano a rimanere immobili su di me. Odiavo la complicità con cui mi guardavano, magari anche solo mangiarne un piccolo boccone li avrebbe fatti smettere di osservarmi in quel modo. Non potevo più tirarmi indietro.
Mossi il bignè verso la mia bocca, cercando di mangiare le parti che non erano state sporcate dal liquido. I denti serrati, le labbra che tremavano per l’orrore e poi la lingua che inavvertitamente si mosse verso il buco, tingendosi nella sostanza biancastra. Diedi un primo morso, masticai lentamente e deglutì.
Non potevo esprimermi a parole, ma i miei occhi parlarono da sé.
Il cioccolato, l’impasto ancora caldo e lo sperma deflagravano tra di loro nella mia bocca in un sapore divino. Il ricco sapore della glassa che si fondeva con il sensuale gusto dello sperma, che si scioglieva come miele appena arrivava alla mia gola.
Non potei più trattenermi, quel sapore mi diede la nostalgia di un’epoca che non avevo mai vissuto. Mi rimpinzai con tutto il bignè, rumoreggiando con le labbra e la lingua. Mara e Milo guardarono la mia abbuffata pieni di gioia.
Senza manco chiedere, presi un altro bignè dal tavolo. Lo alzai sopra la mia testa e feci colare lo sperma sulla mia lingua, e poi lo infilai tutto in bocca, quasi a simulare un rapporto orale.
«Io…io sono senza parole.» Milo sghignazzò sotto i baffi vedendo il mio stupore. «Non ho mai assaporato nulla del genere.»
«E perché finirla qui?»
Mara fece denudare Milo, che rimase fermo come un manichino mentre mi fissava e mi ammiccava. Afferrò la ciotola con il cioccolato e lo versò partendo dalle spalle su tutto il corpo del marito. La glassa gli finì in ogni fessura del corpo, dalle natiche fino all’ombelico, e poi il tizzone che aveva in mezzo alle gambe, che si eresse sentendo l’abbraccio della cioccolata.
«Ti piacerebbe mangiarlo?» Mara si leccò le dita con la cioccolata che le era rimasta in mano. «È tutto tuo.»
Ecco svelato il motivo per cui mi avevano invitato in cucina. Mara voleva vedere un’altra donna desiderare e ghermire suo marito. La faccenda non poteva che non dispiacermi. Milo era un uomo attraente, alto e piazzato, e il suo seme era paradisiaco.
Mara si sedette a cavalcioni su un davanzale della cucina e prese a massaggiarsi un capezzolo.
«Mangialo, signora D., è tutto suo.»
Mi piegai di fronte a Milo, la sua cappella che sembrava richiamarmi come un pungi che richiama un serpente, un pungi grondante di cioccolato.
Mi sbottonai la camicetta e feci vedere lo spacco del mio seno. Strizzai le mie tette, aizzando ancora di più Milo che non vedeva l’ora di sentirsi dentro di me. Afferrai il suo cazzo, creando un rumore simile a qualcuno che sguazza nel fango. Gli diedi un bacio sulla punta, passando poi la lingua sulle labbra per sentire il primo assaggio di quello che avrei mangiato. E poi lo ingoiai.
Milo lanciò un tremendo gemito, Mara rideva a distanza. Il cioccolato riempiva la mia bocca, colava sullo spacco della mia camicetta. Mi sentivo sporca, impura, golosa. Aumentavo il ritmo, annaspavo per farlo venire sulla mia lingua.
Milo prese poi un bignè a suo lato e infilo la sua virilità dentro il dolce, facendolo poi uscire dall’altra parte. Lo ingoiai nuovamente, ogni centimetro che percorrevo con i denti mordevo un pezzo dell’impasto, sempre di più, fino ad arrivare alla base, dove Milo cedette e mi riempì la bocca con il suo seme mischiato alla cioccolata. Nuovi ricordi riemerso dalla mia mente. Pareva quasi che fossi ritornata ad essere giovane e che avessi trovato un connubio tra due delle mie passioni carnali: il cibo e il sesso.
Mi sfilai dal suo corpo, avevo pulito completamente l’asta del suo pene. Il cioccolato riversava sul mio mento e sul mio seno. Avevo fatto un gran casino, non me n’ero manco resa conto.
Mara si mordeva il labbro inferiore. Era ancora infervorata di piacere: quella notte lei e suo marito avrebbero avuto una passionevole avventura.
Come se avessimo partecipato ad una specie di gioco di ruolo, ritornammo alle formalità di prima.
«La giuria verrà a visitare la pasticceria uno di questi giorni» Esordì, riferendomi a Mara. «Daranno loro il voto finale ai vostri dolci. Farò di tutto per convincerli a conferirvi il premio…e a mantenere il segreto.»
Mara mi ringraziò con un sorriso, che sembrò lasciare una confortevole atmosfera mentre mi dileguavo dal fondo della porta con tutta la noncuranza di quello che era appena successo.
Prima di uscire dalla pasticceria, Mara trasalì dal fondo del locale.
«E ci facci visita di nuovo, signora D. Saremmo felici di averla di nuovo da noi.»
scritto il
2025-10-25
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