Letteratura carnale
di
Nicola Pavelli
genere
incesti
Tratto dal mio libro "Storie di incesti" disponibile in una super offerta su Amazon.
L’aria entrava dalla finestra aperta in fiotti caldi, muovendo appena le tende bianche. Marco, quarantenne con gli occhiali leggermente calati sul naso, sfogliava il manuale di letteratura cercando di mantenere un tono severo. La sua nuova allieva era seduta a pochi passi, con la penna tra le dita e lo sguardo che sembrava più attento a lui che al testo.
“Dante non si legge così di fretta” le disse, con voce calma. “Bisogna assaporarlo, parola dopo parola.”
Lei sorrise, inclinando il capo. “Forse preferisco che sia tu a leggermelo, papà. La tua voce rende tutto più… intenso.”
Marco sentì un brivido insolito. Quella ragazza, con la sua disinvoltura, sembrava capovolgere la distanza che aveva sempre mantenuto con i suoi studenti. Era sua figlia, ma il loro patto stabiliva che durante le lezioni lei fosse soltanto una studentessa come tutte le altre. La guardava attraverso le due lenti spesse. Le gambe accavallate, la camicetta sbottonata appena più del necessario: ogni dettaglio era una provocazione velata.
“Siamo qui per studiare” cercò di ribattere, ma la frase gli uscì meno convinta di quanto avrebbe voluto.
Lei lo fissò dritto negli occhi. “Certo, professore. Ma a volte si impara di più quando si esce dal programma.”
Il silenzio che seguì fu denso, quasi liquido. Marco capì che in quella stanza non era più soltanto il maestro e probabilmente nemmeno il padre: il ruolo stava cambiando, e lei lo sapeva bene.
Marco cercò di mantenere la concentrazione sul testo. Aveva spiegato la Vita Nova decine di volte, ma mai con quella distrazione addosso: lo sguardo di lei, fermo, impaziente, quasi a sfidarlo.
“Perché Dante chiama Beatrice donna angelicata?” Chiese, tentando di riportarla sul terreno sicuro.
Lei non abbassò gli occhi sul libro. Li tenne fissi sui suoi. “Perché la desiderava, ma non poteva toccarla.”
Un mezzo sorriso le piegò le labbra, e Marco capì che la risposta era più un’allusione che una nozione.
Cercò di ricomporsi. “Non è così semplice. È un simbolo, un modello etico…”
“Ma resta pur sempre desiderio.” Lo interruppe lei, accavallando le gambe con lentezza.
Marco sentì la gola secca. “Stai attenta a non confondere letteratura e vita.”
“E se fosse proprio questo il bello?” Ribatté lei, inclinando la penna tra le dita come fosse un oggetto inutile.
Il silenzio che seguì fu interrotto solo dal fruscio della tenda, gonfiata dal vento caldo. Lei si alzò senza chiedere permesso, gli si avvicinò al tavolo e piegò la testa verso il libro aperto. “Legga ancora, professore” sussurrò.
Marco esitò, poi lesse. La sua voce, più roca del solito, scivolava tra i versi. Lei, intanto, gli sfiorò la mano con un gesto lieve, quasi accidentale. Lui non si ritrasse.
“Vede?” Mormorò lei. “A volte le parole hanno bisogno di un corpo per essere capite.”
In quel momento Marco capì che la lezione era finita. O, forse, stava solo cominciando.
Lei rimase lì, in piedi accanto al tavolo, lo sguardo basso sul libro ma il corpo rivolto a lui. Marco poteva sentirne il profumo, poteva riconoscerne i lineamenti. Una miscela dolce e pungente, che nulla aveva a che fare con i manuali di letteratura.
“Vuoi che continuiamo?” Chiese, più per dovere che per reale volontà.
Lei inclinò la testa, lasciando cadere una ciocca di capelli sulla guancia. “No, professore. Ora voglio ascoltare la sua voce da più vicino.”
Prima che lui potesse replicare, si chinò e gli sfiorò il viso con le labbra. Un bacio leggerissimo, quasi una parentesi, ma non certo quello che una figlia può donare al proprio padre. Marco si irrigidì, combattuto tra il ruolo che doveva mantenere, il legame di sangue e il desiderio che gli montava dentro come un’onda scura.
“Non dovremmo…” provò a dire, ma la voce gli si spezzò.
“Non dire bugie, papà.” Replicò lei, con un lampo negli occhi. “Lo vuoi quanto me.»
Gli prese la mano e la posò sulla propria vita, guidandola con naturalezza verso la curva dei fianchi. Marco, questa volta, non si tirò indietro. Le dita scivolarono sul tessuto sottile della gonna, risalendo appena. Lei sospirò piano, un suono che lo trafisse più di mille parole.
L’aula improvvisata, un salotto con un tavolo ingombro di libri, si trasformò in un’arena silenziosa di desiderio. Marco la attirò a sé, e questa volta il bacio fu vero: profondo, caldo, un intreccio di lingue che cancellava ogni resistenza.
Il manuale di Dante rimase aperto, dimenticato, con i versi a guardia di una scena che non avrebbe mai trovato spazio in nessun commento accademico.
Il bacio si fece sempre più…
Se interessati al resto della storia, correte su Amazon e acquistate il mio libro "Storie di incesti" o contattatemi sul mio indirizzo e-mail: nicola.pavelli@gmail.com
Scrivo anche racconti erotici su commissione.
L’aria entrava dalla finestra aperta in fiotti caldi, muovendo appena le tende bianche. Marco, quarantenne con gli occhiali leggermente calati sul naso, sfogliava il manuale di letteratura cercando di mantenere un tono severo. La sua nuova allieva era seduta a pochi passi, con la penna tra le dita e lo sguardo che sembrava più attento a lui che al testo.
“Dante non si legge così di fretta” le disse, con voce calma. “Bisogna assaporarlo, parola dopo parola.”
Lei sorrise, inclinando il capo. “Forse preferisco che sia tu a leggermelo, papà. La tua voce rende tutto più… intenso.”
Marco sentì un brivido insolito. Quella ragazza, con la sua disinvoltura, sembrava capovolgere la distanza che aveva sempre mantenuto con i suoi studenti. Era sua figlia, ma il loro patto stabiliva che durante le lezioni lei fosse soltanto una studentessa come tutte le altre. La guardava attraverso le due lenti spesse. Le gambe accavallate, la camicetta sbottonata appena più del necessario: ogni dettaglio era una provocazione velata.
“Siamo qui per studiare” cercò di ribattere, ma la frase gli uscì meno convinta di quanto avrebbe voluto.
Lei lo fissò dritto negli occhi. “Certo, professore. Ma a volte si impara di più quando si esce dal programma.”
Il silenzio che seguì fu denso, quasi liquido. Marco capì che in quella stanza non era più soltanto il maestro e probabilmente nemmeno il padre: il ruolo stava cambiando, e lei lo sapeva bene.
Marco cercò di mantenere la concentrazione sul testo. Aveva spiegato la Vita Nova decine di volte, ma mai con quella distrazione addosso: lo sguardo di lei, fermo, impaziente, quasi a sfidarlo.
“Perché Dante chiama Beatrice donna angelicata?” Chiese, tentando di riportarla sul terreno sicuro.
Lei non abbassò gli occhi sul libro. Li tenne fissi sui suoi. “Perché la desiderava, ma non poteva toccarla.”
Un mezzo sorriso le piegò le labbra, e Marco capì che la risposta era più un’allusione che una nozione.
Cercò di ricomporsi. “Non è così semplice. È un simbolo, un modello etico…”
“Ma resta pur sempre desiderio.” Lo interruppe lei, accavallando le gambe con lentezza.
Marco sentì la gola secca. “Stai attenta a non confondere letteratura e vita.”
“E se fosse proprio questo il bello?” Ribatté lei, inclinando la penna tra le dita come fosse un oggetto inutile.
Il silenzio che seguì fu interrotto solo dal fruscio della tenda, gonfiata dal vento caldo. Lei si alzò senza chiedere permesso, gli si avvicinò al tavolo e piegò la testa verso il libro aperto. “Legga ancora, professore” sussurrò.
Marco esitò, poi lesse. La sua voce, più roca del solito, scivolava tra i versi. Lei, intanto, gli sfiorò la mano con un gesto lieve, quasi accidentale. Lui non si ritrasse.
“Vede?” Mormorò lei. “A volte le parole hanno bisogno di un corpo per essere capite.”
In quel momento Marco capì che la lezione era finita. O, forse, stava solo cominciando.
Lei rimase lì, in piedi accanto al tavolo, lo sguardo basso sul libro ma il corpo rivolto a lui. Marco poteva sentirne il profumo, poteva riconoscerne i lineamenti. Una miscela dolce e pungente, che nulla aveva a che fare con i manuali di letteratura.
“Vuoi che continuiamo?” Chiese, più per dovere che per reale volontà.
Lei inclinò la testa, lasciando cadere una ciocca di capelli sulla guancia. “No, professore. Ora voglio ascoltare la sua voce da più vicino.”
Prima che lui potesse replicare, si chinò e gli sfiorò il viso con le labbra. Un bacio leggerissimo, quasi una parentesi, ma non certo quello che una figlia può donare al proprio padre. Marco si irrigidì, combattuto tra il ruolo che doveva mantenere, il legame di sangue e il desiderio che gli montava dentro come un’onda scura.
“Non dovremmo…” provò a dire, ma la voce gli si spezzò.
“Non dire bugie, papà.” Replicò lei, con un lampo negli occhi. “Lo vuoi quanto me.»
Gli prese la mano e la posò sulla propria vita, guidandola con naturalezza verso la curva dei fianchi. Marco, questa volta, non si tirò indietro. Le dita scivolarono sul tessuto sottile della gonna, risalendo appena. Lei sospirò piano, un suono che lo trafisse più di mille parole.
L’aula improvvisata, un salotto con un tavolo ingombro di libri, si trasformò in un’arena silenziosa di desiderio. Marco la attirò a sé, e questa volta il bacio fu vero: profondo, caldo, un intreccio di lingue che cancellava ogni resistenza.
Il manuale di Dante rimase aperto, dimenticato, con i versi a guardia di una scena che non avrebbe mai trovato spazio in nessun commento accademico.
Il bacio si fece sempre più…
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