Il massaggio segreto
di
Nicola Pavelli
genere
incesti
Tratto dalla mia raccolta di storie "I migliori incesti" prossimamente in uscita su Amazon. Scrivo racconti erotici su commissione. Se interessati/e ho ancora pochi posti disponibili. Contattatemi al mio indirizzo e-mail: nicola.pavelli@gmail.com
Non avrei mai dovuto farlo.
Ogni volta che chiudo la porta della cabina, mi ripeto che devo restare professionale: solo movimenti precisi, mani sicure, niente di più. Ma quando lui entrò quella sera, con la camicia sbottonata sul collo e lo sguardo stanco, qualcosa in me cambiò. Lo riconobbi subito. Ci volle davvero poco. Sapevo che mio figlio Davide aveva questo vizio dei massaggi, ma mai avrei immaginato di ritrovarmelo proprio sotto le mie stesse mani.
“Buonasera”, dissi con il mio solito tono morbido, controllando che la mascherina mi coprisse bene il viso. Lui mi rispose con un sorriso appena accennato, mentre si sdraiava sul lettino. La luce era soffusa, l’olio già caldo nella boccetta di vetro.
Posai le mani sulle sue spalle e sentii subito il calore della pelle sotto i polpastrelli. Muscoli tesi, un respiro profondo. “È molto contratto” mormorai camuffando al meglio la mia voce. Lui fece un cenno senza parlare, ma il suo corpo raccontava già tutto.
Scivolai più in basso, lungo la schiena. Le mani seguivano i gesti appresi in anni di corsi e routine… ma dentro di me c’era altro: la voglia di indugiare un attimo di più, di lasciarmi guidare non dal manuale ma dall’istinto. Ogni volta che sfioravo la pelle, era come se lui rispondesse con un impercettibile tremito.
Mi accorsi che il respiro mi stava sfuggendo dal controllo.
E lì, con l’olio che brillava sotto la luce calda, capii che quella seduta non sarebbe stata come le altre.
Le dita scorrevano lungo la sua colonna vertebrale, lente, come se stessi tracciando un segreto che solo io potevo leggere. Sentivo il suo respiro cambiare: all’inizio breve e trattenuto, poi sempre più profondo, quasi un invito silenzioso.
“Troppa pressione?” Chiesi, anche se sapevo già la risposta.
“No… va benissimo” mormorò, con una voce roca che mi fece vibrare dentro.
Proseguii, lasciando che l’olio mi colasse tra le mani e scivolasse sulla sua pelle, fino a incontrare le curve dei fianchi. Non avrei dovuto fermarmi lì, ma lo feci: le mani rimasero sospese, a un passo dal limite. Lui si mosse appena, e quell’impercettibile gesto mi sembrò un sì.
Mi chinai più vicino, abbastanza da sentire il profumo della sua pelle mescolato all’olio caldo. Conoscevo ogni centimetro di quel corpo che avevo visto diventare uomo con tanto amore. Le labbra sfiorarono il suo orecchio prima che me ne rendessi conto.
“Si rilassi” sussurrai, ma in realtà stavo parlando più a me stessa.
Poi, lentamente, scivolai più in basso con i palmi, oltre la linea sicura. Il suo corpo ebbe un sussulto, non di rifiuto ma di sorpresa. Sentii il sangue scorrermi veloce nelle vene: avevo varcato la soglia.
Il massaggio era diventato altro.
Ed era lui, con i suoi gemiti trattenuti e il suo silenzio complice, a guidarmi senza dire una parola.
Il suo respiro era diventato irregolare, e ogni volta che le mie mani scivolavano più giù, lo sentivo trattenere l’aria, come se avesse paura di lasciarsi sfuggire un gemito. Io stessa tremavo: sapevo che ormai non stavo più facendo un massaggio, stavo accarezzando un desiderio che avevo nascosto per troppo tempo. Per troppi anni avevo desiderato il corpo di quell’unico figlio.
Spinsi appena la stoffa dell’asciugamano che lo copriva, scoprendo un po’ di più. Le mie dita scivolarono sul bordo, e lui si irrigidì, ma non fece nulla per fermarmi. Al contrario, sollevò appena i fianchi, come a darmi il permesso.
Il cuore mi batteva forte. Mi chinai su di lui e lasciai che i miei seni, nascosti solo dalla divisa leggera, sfiorassero la sua schiena lucida d’olio. Sentii un brivido attraversarmi tutta, e fu chiaro che non avrei più retto a lungo quel gioco.
Decisi di girarlo con un gesto lento, professionale solo in apparenza. I suoi occhi incontrarono i miei, identici nella forma e nella fame nascosta: scuri, ardenti, carichi di un desiderio muto. Non avevo mai visto un uomo guardarmi così sul lettino.
Il telo cadde. Lo fissai un istante, sorpresa e attratta dalla sua durezza evidente. Avrei dovuto fermarmi. Ma le mie mani andarono da sole, accarezzandolo con delicatezza, studiandone le reazioni. Lui gemette piano, e io mi sentii padrona e prigioniera nello stesso tempo.
Mi chinai ancora di più. Le mie labbra sfiorarono appena la sua pelle calda, prima sul petto, poi più giù, dove la sua erezione pulsava sotto le mie dita.
“Vuole che continui?” Sussurrai, con la voce che tremava più del dovuto.
Non rispose con le parole. Mi prese la mano e la strinse, guidandomi con fermezza.
E in quell’attimo capii che il massaggio non era più un servizio: era diventato un segreto condiviso, un piacere che ci avrebbe legati per sempre al ricordo di quella stanza illuminata solo da una lampada soffusa.
Le sue dita strinsero le mie, quasi a chiedermi più coraggio. Io mi piegai piano in avanti, lasciando che il mio respiro caldo gli accarezzasse la pelle. La sua erezione era ormai nuda davanti a me, pulsante, intrisa della sua attesa.
Lo sfiorai con la punta delle dita, prima lenta, poi più decisa. Volevo assaporare la potenza del suo corpo che reagiva ad ogni minimo movimento. Ogni volta che lo stringevo, il suo respiro diventava più corto, i muscoli del ventre si irrigidivano.
Non resistetti più. Le labbra lo raggiunsero, morbide, avide. All’inizio lo accarezzai appena, un bacio timido, poi lo accolsi più a fondo nella mia bocca, lasciando che la lingua lo avvolgesse. Lui gemette forte, e quel suono mi fece vibrare tutta.
Alternavo il ritmo: lenta, profonda, poi rapida, con la mano che seguiva i miei movimenti, fino a sentire il suo corpo fremere sotto di me. Ogni colpo della lingua era un gioco, un comando silenzioso, e lui non poteva che obbedire al piacere.
“Continua così…” mormorò, ma non lo lasciai finire la frase. Aumentai il ritmo, stringendolo bene, fino a che non lo sentii cedere del tutto.
Un fremito mi riempì la bocca: caldo, abbondante, il suo piacere che sgorgava senza più freni. Era lo stesso seme che un giorno avrebbe riempito anche la mia vulva. Non distolsi le labbra, lo accolsi fino all’ultima goccia, bevendolo come fosse un segreto da custodire.
Quando sollevai lo sguardo, le labbra ancora lucide, lo vidi esausto, abbandonato sul lettino. Sorrisi, pulendomi piano con la lingua. “Seduta terminata” dissi, con un filo di voce.
Lui mi riconobbe solo allora. Entrambi realizzammo che quella era stata solo la prima lezione di un lungo corso proibito.
Non avrei mai dovuto farlo.
Ogni volta che chiudo la porta della cabina, mi ripeto che devo restare professionale: solo movimenti precisi, mani sicure, niente di più. Ma quando lui entrò quella sera, con la camicia sbottonata sul collo e lo sguardo stanco, qualcosa in me cambiò. Lo riconobbi subito. Ci volle davvero poco. Sapevo che mio figlio Davide aveva questo vizio dei massaggi, ma mai avrei immaginato di ritrovarmelo proprio sotto le mie stesse mani.
“Buonasera”, dissi con il mio solito tono morbido, controllando che la mascherina mi coprisse bene il viso. Lui mi rispose con un sorriso appena accennato, mentre si sdraiava sul lettino. La luce era soffusa, l’olio già caldo nella boccetta di vetro.
Posai le mani sulle sue spalle e sentii subito il calore della pelle sotto i polpastrelli. Muscoli tesi, un respiro profondo. “È molto contratto” mormorai camuffando al meglio la mia voce. Lui fece un cenno senza parlare, ma il suo corpo raccontava già tutto.
Scivolai più in basso, lungo la schiena. Le mani seguivano i gesti appresi in anni di corsi e routine… ma dentro di me c’era altro: la voglia di indugiare un attimo di più, di lasciarmi guidare non dal manuale ma dall’istinto. Ogni volta che sfioravo la pelle, era come se lui rispondesse con un impercettibile tremito.
Mi accorsi che il respiro mi stava sfuggendo dal controllo.
E lì, con l’olio che brillava sotto la luce calda, capii che quella seduta non sarebbe stata come le altre.
Le dita scorrevano lungo la sua colonna vertebrale, lente, come se stessi tracciando un segreto che solo io potevo leggere. Sentivo il suo respiro cambiare: all’inizio breve e trattenuto, poi sempre più profondo, quasi un invito silenzioso.
“Troppa pressione?” Chiesi, anche se sapevo già la risposta.
“No… va benissimo” mormorò, con una voce roca che mi fece vibrare dentro.
Proseguii, lasciando che l’olio mi colasse tra le mani e scivolasse sulla sua pelle, fino a incontrare le curve dei fianchi. Non avrei dovuto fermarmi lì, ma lo feci: le mani rimasero sospese, a un passo dal limite. Lui si mosse appena, e quell’impercettibile gesto mi sembrò un sì.
Mi chinai più vicino, abbastanza da sentire il profumo della sua pelle mescolato all’olio caldo. Conoscevo ogni centimetro di quel corpo che avevo visto diventare uomo con tanto amore. Le labbra sfiorarono il suo orecchio prima che me ne rendessi conto.
“Si rilassi” sussurrai, ma in realtà stavo parlando più a me stessa.
Poi, lentamente, scivolai più in basso con i palmi, oltre la linea sicura. Il suo corpo ebbe un sussulto, non di rifiuto ma di sorpresa. Sentii il sangue scorrermi veloce nelle vene: avevo varcato la soglia.
Il massaggio era diventato altro.
Ed era lui, con i suoi gemiti trattenuti e il suo silenzio complice, a guidarmi senza dire una parola.
Il suo respiro era diventato irregolare, e ogni volta che le mie mani scivolavano più giù, lo sentivo trattenere l’aria, come se avesse paura di lasciarsi sfuggire un gemito. Io stessa tremavo: sapevo che ormai non stavo più facendo un massaggio, stavo accarezzando un desiderio che avevo nascosto per troppo tempo. Per troppi anni avevo desiderato il corpo di quell’unico figlio.
Spinsi appena la stoffa dell’asciugamano che lo copriva, scoprendo un po’ di più. Le mie dita scivolarono sul bordo, e lui si irrigidì, ma non fece nulla per fermarmi. Al contrario, sollevò appena i fianchi, come a darmi il permesso.
Il cuore mi batteva forte. Mi chinai su di lui e lasciai che i miei seni, nascosti solo dalla divisa leggera, sfiorassero la sua schiena lucida d’olio. Sentii un brivido attraversarmi tutta, e fu chiaro che non avrei più retto a lungo quel gioco.
Decisi di girarlo con un gesto lento, professionale solo in apparenza. I suoi occhi incontrarono i miei, identici nella forma e nella fame nascosta: scuri, ardenti, carichi di un desiderio muto. Non avevo mai visto un uomo guardarmi così sul lettino.
Il telo cadde. Lo fissai un istante, sorpresa e attratta dalla sua durezza evidente. Avrei dovuto fermarmi. Ma le mie mani andarono da sole, accarezzandolo con delicatezza, studiandone le reazioni. Lui gemette piano, e io mi sentii padrona e prigioniera nello stesso tempo.
Mi chinai ancora di più. Le mie labbra sfiorarono appena la sua pelle calda, prima sul petto, poi più giù, dove la sua erezione pulsava sotto le mie dita.
“Vuole che continui?” Sussurrai, con la voce che tremava più del dovuto.
Non rispose con le parole. Mi prese la mano e la strinse, guidandomi con fermezza.
E in quell’attimo capii che il massaggio non era più un servizio: era diventato un segreto condiviso, un piacere che ci avrebbe legati per sempre al ricordo di quella stanza illuminata solo da una lampada soffusa.
Le sue dita strinsero le mie, quasi a chiedermi più coraggio. Io mi piegai piano in avanti, lasciando che il mio respiro caldo gli accarezzasse la pelle. La sua erezione era ormai nuda davanti a me, pulsante, intrisa della sua attesa.
Lo sfiorai con la punta delle dita, prima lenta, poi più decisa. Volevo assaporare la potenza del suo corpo che reagiva ad ogni minimo movimento. Ogni volta che lo stringevo, il suo respiro diventava più corto, i muscoli del ventre si irrigidivano.
Non resistetti più. Le labbra lo raggiunsero, morbide, avide. All’inizio lo accarezzai appena, un bacio timido, poi lo accolsi più a fondo nella mia bocca, lasciando che la lingua lo avvolgesse. Lui gemette forte, e quel suono mi fece vibrare tutta.
Alternavo il ritmo: lenta, profonda, poi rapida, con la mano che seguiva i miei movimenti, fino a sentire il suo corpo fremere sotto di me. Ogni colpo della lingua era un gioco, un comando silenzioso, e lui non poteva che obbedire al piacere.
“Continua così…” mormorò, ma non lo lasciai finire la frase. Aumentai il ritmo, stringendolo bene, fino a che non lo sentii cedere del tutto.
Un fremito mi riempì la bocca: caldo, abbondante, il suo piacere che sgorgava senza più freni. Era lo stesso seme che un giorno avrebbe riempito anche la mia vulva. Non distolsi le labbra, lo accolsi fino all’ultima goccia, bevendolo come fosse un segreto da custodire.
Quando sollevai lo sguardo, le labbra ancora lucide, lo vidi esausto, abbandonato sul lettino. Sorrisi, pulendomi piano con la lingua. “Seduta terminata” dissi, con un filo di voce.
Lui mi riconobbe solo allora. Entrambi realizzammo che quella era stata solo la prima lezione di un lungo corso proibito.
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