Tra sabbia e sguardi
di
Nicola Pavelli
genere
etero
Scrivo racconti erotici su commissione. Se interessati/e, contattatemi al mio indirizzo e-mail: nicola.pavelli@gmail.com
Il sole scivolava lento oltre l’orizzonte, tingendo il cielo di arancio e rosa. La spiaggia era quasi vuota, salvo per poche anime che si attardavano, come lui.
Camminava scalzo sulla sabbia ancora calda, con la camicia aperta e i pantaloni leggeri che si muovevano al ritmo del vento. La brezza gli solleticava la pelle salata dal bagno fatto poco prima.
Poi la vide.
Era seduta su un asciugamano chiaro, i capelli raccolti in modo disordinato, con la pelle ambrata accarezzata dalla luce del tramonto. Non leggeva davvero il libro che teneva in mano. Stava osservando il mare, o forse qualcos’altro.
I loro sguardi si incrociarono. Un attimo soltanto. Ma sufficiente a far tremare qualcosa dentro.
Lui fece qualche passo, incerto, come se fosse guidato da qualcosa che non era più solo curiosità.
“Posso?” Chiese, indicando il posto accanto a lei.
Lei annuì. Non sorrideva, non ancora. Ma nei suoi occhi c’era quella sfumatura sottile tra interesse e desiderio, tra il gioco e la resa.
Si presentarono con nomi che parevano già familiari. Parlarono poco, ma ogni parola aveva il peso esatto del momento. Il tempo rallentava.
Quando le dita di lui sfiorarono casualmente la sua mano, lei non si ritrasse. Si guardarono di nuovo, e stavolta lei sorrise. Un sorriso lento, carico di promesse.
“Ti va di fare un bagno?” Chiese lei.
Non serviva risposta. Si alzarono insieme e corsero verso il mare, ridendo. Le onde li accolsero, avvolgendoli di freschezza e adrenalina.
Fu lì, tra spruzzi e pelle bagnata, che le mani si cercarono per davvero. Lui la attirò a sé. Lei lo guardò da vicino, i capelli incollati al viso, il respiro affannato.
Il primo bacio fu lento, salato, travolgente. Come se entrambi sapessero che non era un gioco.
Quando uscirono dall’acqua, le stelle avevano già preso possesso del cielo.
Lei prese la sua mano, senza dire nulla, e lo guidò verso la sua stanza, in quella pensioncina bianca affacciata sulla spiaggia.
Lui la seguì, sapendo che quella notte sarebbe iniziata molto prima di spogliarsi.
La porta si chiuse alle loro spalle con un clic lieve, come un respiro trattenuto troppo a lungo.
La camera era semplice, illuminata da una lampada bassa sul comodino e dal riflesso della luna che filtrava dalle tende leggere. Profumava di lino e sale.
Lei lo guardò in silenzio, ancora bagnata. Gli occhi brillavano. Si avvicinò lentamente, senza fretta. Nessuna maschera, nessuna fretta, nessun ruolo da recitare. Solo la naturalezza di due corpi che si erano cercati da subito, senza bisogno di parole.
Lui le tolse delicatamente il vestito bagnato, lasciandolo scivolare lungo il corpo come una carezza.
Sotto non c’era nulla.
Solo pelle. E verità.
Le sfiorò la spalla con le dita, poi il fianco, poi il ventre. Lei rabbrividì, non per il freddo. Era come se ogni tocco lasciasse una scia invisibile, un segno.
Lei lo spogliò con la stessa lentezza, osservandolo come se stesse scoprendo qualcosa di più del suo corpo. Ogni centimetro che si rivelava era accolto con le labbra, con le mani, con lo sguardo. Nessuna parte di lui era banale, nessun gesto era meccanico. Era tutto nuovo, eppure così familiare.
Si sdraiarono sul letto, senza fretta. Le lenzuola si appiccicavano leggermente alla pelle ancora umida, e il rumore del mare sembrava battere lo stesso ritmo del loro respiro.
Lui la baciò piano, poi più a fondo, come se volesse impararla a memoria. La lingua cercava la sua senza invaderla, ma accogliendola. Le mani scivolavano lungo la schiena, poi tra le cosce, aprendole lentamente, ascoltando i suoi sospiri crescere, diventare più profondi.
Lei lo tirò a sé con le gambe, lo guidò dentro con un movimento istintivo, naturale.
Lui entrò piano, tenendole lo sguardo negli occhi.
Era come fare l’amore con il mare: lento, potente, profondo.
I loro corpi si muovevano insieme, come se si conoscessero da sempre.
Nessun gemito forzato, nessuna posa. Solo il suono del piacere che cresceva, insieme al desiderio di non fermarsi mai.
A ogni carezza, ogni affondo, ogni bacio sulle labbra, sul collo, tra i seni, c’era una dichiarazione che non aveva bisogno di voce.
Quando vennero, fu insieme. Lungo. Caldo. Vero.
Si aggrapparono l’uno all’altra come naufraghi che finalmente hanno trovato la riva.
Poi rimasero lì, nudi, intrecciati, con il respiro che pian piano tornava calmo.
Lei poggiò la testa sul suo petto, e lui le accarezzò i capelli bagnati.
“Domani è un altro tramonto.” Disse lei, quasi in un sussurro.
“E io spero di guardarlo con te.” Rispose lui.
La notte era appena iniziata. E non avevano più fretta di nulla.
Il sole scivolava lento oltre l’orizzonte, tingendo il cielo di arancio e rosa. La spiaggia era quasi vuota, salvo per poche anime che si attardavano, come lui.
Camminava scalzo sulla sabbia ancora calda, con la camicia aperta e i pantaloni leggeri che si muovevano al ritmo del vento. La brezza gli solleticava la pelle salata dal bagno fatto poco prima.
Poi la vide.
Era seduta su un asciugamano chiaro, i capelli raccolti in modo disordinato, con la pelle ambrata accarezzata dalla luce del tramonto. Non leggeva davvero il libro che teneva in mano. Stava osservando il mare, o forse qualcos’altro.
I loro sguardi si incrociarono. Un attimo soltanto. Ma sufficiente a far tremare qualcosa dentro.
Lui fece qualche passo, incerto, come se fosse guidato da qualcosa che non era più solo curiosità.
“Posso?” Chiese, indicando il posto accanto a lei.
Lei annuì. Non sorrideva, non ancora. Ma nei suoi occhi c’era quella sfumatura sottile tra interesse e desiderio, tra il gioco e la resa.
Si presentarono con nomi che parevano già familiari. Parlarono poco, ma ogni parola aveva il peso esatto del momento. Il tempo rallentava.
Quando le dita di lui sfiorarono casualmente la sua mano, lei non si ritrasse. Si guardarono di nuovo, e stavolta lei sorrise. Un sorriso lento, carico di promesse.
“Ti va di fare un bagno?” Chiese lei.
Non serviva risposta. Si alzarono insieme e corsero verso il mare, ridendo. Le onde li accolsero, avvolgendoli di freschezza e adrenalina.
Fu lì, tra spruzzi e pelle bagnata, che le mani si cercarono per davvero. Lui la attirò a sé. Lei lo guardò da vicino, i capelli incollati al viso, il respiro affannato.
Il primo bacio fu lento, salato, travolgente. Come se entrambi sapessero che non era un gioco.
Quando uscirono dall’acqua, le stelle avevano già preso possesso del cielo.
Lei prese la sua mano, senza dire nulla, e lo guidò verso la sua stanza, in quella pensioncina bianca affacciata sulla spiaggia.
Lui la seguì, sapendo che quella notte sarebbe iniziata molto prima di spogliarsi.
La porta si chiuse alle loro spalle con un clic lieve, come un respiro trattenuto troppo a lungo.
La camera era semplice, illuminata da una lampada bassa sul comodino e dal riflesso della luna che filtrava dalle tende leggere. Profumava di lino e sale.
Lei lo guardò in silenzio, ancora bagnata. Gli occhi brillavano. Si avvicinò lentamente, senza fretta. Nessuna maschera, nessuna fretta, nessun ruolo da recitare. Solo la naturalezza di due corpi che si erano cercati da subito, senza bisogno di parole.
Lui le tolse delicatamente il vestito bagnato, lasciandolo scivolare lungo il corpo come una carezza.
Sotto non c’era nulla.
Solo pelle. E verità.
Le sfiorò la spalla con le dita, poi il fianco, poi il ventre. Lei rabbrividì, non per il freddo. Era come se ogni tocco lasciasse una scia invisibile, un segno.
Lei lo spogliò con la stessa lentezza, osservandolo come se stesse scoprendo qualcosa di più del suo corpo. Ogni centimetro che si rivelava era accolto con le labbra, con le mani, con lo sguardo. Nessuna parte di lui era banale, nessun gesto era meccanico. Era tutto nuovo, eppure così familiare.
Si sdraiarono sul letto, senza fretta. Le lenzuola si appiccicavano leggermente alla pelle ancora umida, e il rumore del mare sembrava battere lo stesso ritmo del loro respiro.
Lui la baciò piano, poi più a fondo, come se volesse impararla a memoria. La lingua cercava la sua senza invaderla, ma accogliendola. Le mani scivolavano lungo la schiena, poi tra le cosce, aprendole lentamente, ascoltando i suoi sospiri crescere, diventare più profondi.
Lei lo tirò a sé con le gambe, lo guidò dentro con un movimento istintivo, naturale.
Lui entrò piano, tenendole lo sguardo negli occhi.
Era come fare l’amore con il mare: lento, potente, profondo.
I loro corpi si muovevano insieme, come se si conoscessero da sempre.
Nessun gemito forzato, nessuna posa. Solo il suono del piacere che cresceva, insieme al desiderio di non fermarsi mai.
A ogni carezza, ogni affondo, ogni bacio sulle labbra, sul collo, tra i seni, c’era una dichiarazione che non aveva bisogno di voce.
Quando vennero, fu insieme. Lungo. Caldo. Vero.
Si aggrapparono l’uno all’altra come naufraghi che finalmente hanno trovato la riva.
Poi rimasero lì, nudi, intrecciati, con il respiro che pian piano tornava calmo.
Lei poggiò la testa sul suo petto, e lui le accarezzò i capelli bagnati.
“Domani è un altro tramonto.” Disse lei, quasi in un sussurro.
“E io spero di guardarlo con te.” Rispose lui.
La notte era appena iniziata. E non avevano più fretta di nulla.
1
7
voti
voti
valutazione
5
5
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Carne e motoriracconto sucessivo
La ferita e la febbre
Commenti dei lettori al racconto erotico