Lo svezzamento

di
genere
incesti

Scrivo racconti erotici su commissione. Se interessati/e, scrivetemi sul mio indirizzo e-mail: nicola.pavelli@gmail.com o su Instagram: nicola_pavelli

Luca si fermò davanti alla porta socchiusa della cucina. Il profumo di caffè si mescolava a un aroma più sottile, familiare: il suo profumo. Marta era seduta al tavolo, una camicia di seta che lasciava intravedere la curva morbida della spalla.
«Ti sei alzato presto, amore.» La sua voce era calda, quasi un invito.
«Non riuscivo a dormire.» Luca distolse lo sguardo, afferrando un bicchiere solo per avere qualcosa tra le mani. Era sempre stato così con lei: sentiva un peso allo stomaco e una strana tensione nelle dita, come se il suo corpo volesse confessare qualcosa che la mente si rifiutava di dire.
Marta lo studiò un momento, sorseggiando lentamente. «Hai ancora quell’aria da ragazzino spaventato… ma non lo sei più, vero?»
La domanda lo colpì come un filo elettrico sotto la pelle. Si voltò verso di lei, e si accorse che Marta non distoglieva lo sguardo. Non stava sorridendo: lo stava sfidando.
«Mamma…» iniziò, ma la voce gli morì in gola.
Lei si alzò, passando accanto a lui con un movimento lento, quasi felino. La seta della camicia sfiorò appena il suo braccio. «Sai, quando sei partito eri ancora un bambino. Ora…» Si fermò alle sue spalle, e lui sentì il suo respiro vicino all’orecchio. «…sei diverso.»
Luca chiuse gli occhi. Il cuore batteva veloce, e si odiava un po’ per quello che stava pensando. La cucina sembrava troppo piccola, l’aria troppo calda.
Marta posò la tazza sul piano, poi si chinò leggermente. «Tuo padre non torna prima di stasera.»
Quelle parole gli rimasero addosso come una macchia impossibile da lavare. Si voltò appena, e vide il suo viso a pochi centimetri dal suo. Gli occhi di Marta erano scuri, lucidi, e c’era qualcosa di pericoloso nel modo in cui lo guardava.
Non ci fu un bacio. Solo un attimo sospeso, in cui tutto quello che non avevano mai detto si fece carne, respiro, calore.
Il silenzio tra loro si fece denso, quasi fisico. Luca aveva l’impressione che se si fosse mosso anche solo di un centimetro, avrebbe oltrepassato un confine invisibile da cui non si torna indietro.
Marta non arretrò. Anzi, inclinò appena la testa, e il suo profumo lo avvolse del tutto. «Ti ho visto guardarmi…» mormorò, con un tono che non sapeva se fosse un’accusa o una confessione.
Luca sentì il calore salirgli alle orecchie. «Io… non volevo…mamma.»
«Oh, certo che volevi.» La sua mano si sollevò e sfiorò il bordo del colletto della sua felpa, un gesto minimo ma sufficiente a fargli trattenere il respiro. «Non c’è niente di male nel desiderare, Luca.»
Lui non sapeva dove guardare. Gli occhi di sua mamma erano troppo intensi, le labbra troppo vicine. Fece un passo indietro, ma lei avanzò nello stesso istante, come se non volesse lasciargli scampo.
La sua schiena toccò il bordo del piano cucina. Marta posò una mano accanto al suo fianco, piegandosi quel tanto che bastava a intrappolarlo tra il legno e il suo corpo. «Sei così teso…» sussurrò, e le sue dita gli sfiorarono il polso, scivolando poi lentamente verso la mano.
Luca sentì un brivido attraversargli la schiena. «Mamma…»
Lei gli sfiorò la guancia con il dorso delle dita, tenendogli lo sguardo inchiodato. «Non ti sto facendo paura, vero?»
Lui scosse appena la testa, ma sapeva che non era del tutto vero. Lo spaventava, eccome. Lo spaventava il modo in cui lei riusciva a fargli dimenticare tutto: il resto della casa, la pioggia fuori, persino l’idea di suo padre.
Marta sorrise, lenta, come se avesse appena vinto una scommessa. «Allora dimmelo…» Si avvicinò ancora, la seta della camicia che gli sfiorava l’avambraccio. «…cosa vuoi da me?»
Le parole rimasero sospese tra loro, e Luca si rese conto che l’aria era talmente carica di elettricità che bastava un gesto minimo perché tutto esplodesse.
Luca non rispose. Non ne era capace. Ogni parola che gli passava per la mente sembrava troppo piccola per quello che provava in quel momento.
Marta, invece, non aveva fretta. Lo fissava come se stesse leggendo ogni pensiero che cercava di nascondere.
«Non lo dici?» mormorò, avvicinando appena le labbra al suo orecchio.
Il calore del suo respiro gli incendiò la pelle.
Luca si ritrovò a inspirare piano, trattenendo quell’odore di caffè e seta, e quando le sue dita sfiorarono il fianco di lei, quasi senza rendersene conto, sentì il corpo irrigidirsi e, subito dopo, rilassarsi sotto il tocco.
Marta non si mosse. Gli lasciò la libertà di decidere, e quella libertà era più pericolosa di qualsiasi ordine.
Lui fece scivolare la mano più in alto, trovando la curva morbida della sua vita, e in quell’istante lei si avvicinò ancora, finché i loro petti si sfiorarono.
«Vedi?» Sussurrò, con un mezzo sorriso. «Non è così difficile.»
Luca sentì il battito accelerare, e quasi senza pensarci inclinò il viso verso il suo. Le labbra si incontrarono, leggere all’inizio, come se nessuno dei due volesse ammettere quello che stava succedendo. Poi il bacio divenne più deciso, e fu Marta a prendergli il viso tra le mani, guidandolo.
Il tempo perse consistenza. L’acqua della pioggia, il ticchettio dell’orologio, tutto si dissolse. C’erano solo il sapore di lei e il calore che gli saliva alla testa.
Quando si staccarono, Marta lo guardò con un’espressione che univa soddisfazione e sfida. «Adesso sì che sembri un uomo.»
Luca abbassò lo sguardo, il respiro irregolare, e si rese conto che quella frase lo aveva trafitto più del bacio stesso.
Il silenzio fu spezzato dal rumore di una macchina che si fermava davanti al cancello.
Luca si irrigidì immediatamente, il cuore che gli schizzò in gola.
Marta, invece, sorrise. «Tranquillo…» mormorò, accarezzandogli la guancia con il pollice. «È il corriere. Tuo padre non torna prima di stasera.»
Nonostante le parole, Luca si sentì come un ladro colto sul fatto. Sapeva che bastava un imprevisto, un vicino, un amico di famiglia, chiunque, per rendere quell’istante irreparabile.
Marta lo guardava divertita, come se il pericolo le piacesse. «Ti eccita, vero?»
Luca spalancò appena gli occhi. «Cosa?»
«Sapere che potremmo essere scoperti.» La sua voce si abbassò, diventando un sussurro denso. «A me sì.»
Prima che lui potesse replicare, Marta si chinò e gli baciò l’angolo della bocca, lenta, con una precisione chirurgica che lo lasciò senza fiato. Poi si voltò verso il bancone, afferrando una mela dal cesto.
«Mangia qualcosa. Hai bisogno di energie, amore di mamma.» Lo disse come se stesse parlando di colazione, ma lo sguardo che gli lanciò mentre addentava il frutto diceva tutt’altro.
Luca sentì un brivido salire lungo la schiena. Sapeva che se fosse rimasto ancora lì, sarebbe successo qualcosa che non avrebbe potuto dimenticare.
Eppure, ogni passo verso la porta sembrava pesare il doppio.
Marta posò la mela, si avvicinò di nuovo e, sfiorandogli appena il polso, sussurrò: «Più tardi voglio vederti.»
Il pomeriggio sembrava non finire mai. Luca aveva passato ore chiuso in camera, cercando di leggere, di ascoltare musica, di fare qualsiasi cosa per distrarsi. Ma ogni pagina, ogni nota, finiva per riportarlo a lei. A sua mamma. Alla donna che lo aveva cresciuto. A quell’odore di caffè e seta. A quel bacio che ancora gli bruciava sulle labbra.
Quando il sole cominciò a calare dietro le tende, un messaggio illuminò il telefono:
Vieni in salotto.
Luca sentì il cuore accelerare. Uscì dalla stanza cercando di non fare rumore, come se qualcuno potesse sorprenderlo, anche se sapeva che la casa era vuota.
Sua madre era lì, seduta sul divano, le gambe accavallate. Aveva cambiato abito: un vestito nero leggero che lasciava scoperte le spalle e una parte delle cosce. Una lampada accesa alle sue spalle creava un’aura calda attorno alla figura.
«Chiudi la porta.» La sua voce era bassa, ferma.
Luca obbedì. Fece qualche passo, ma lei lo fermò alzando una mano. «Resta lì.»
Lo guardò dall’alto in basso, come se lo stesse studiando, poi accennò un sorriso. «Hai pensato a me, oggi?»
Lui deglutì. «Sì.»
«Quanto?»
La domanda lo lasciò senza fiato. «Tutto il giorno.»
Marta si alzò. I suoi tacchi sfioravano il tappeto senza fare rumore. Gli girò intorno, lenta, fino a fermarsi alle sue spalle. Sentì il calore delle sue mani sfiorargli appena la nuca, poi scivolare sulle spalle.
«Non c’è nessuno, Luca.» La sua voce si fece un sussurro, vicino all’orecchio. «Possiamo smettere di fingere.»
Si voltò e la trovò a pochi centimetri dal suo viso. Questa volta non ci fu esitazione: la prese tra le braccia e la baciò, e lei rispose con un’intensità che gli fece dimenticare ogni paura.
Il vestito nero si increspò tra le sue dita, mentre le mani di Marta si infilavano tra i suoi capelli, tirandolo a sé.
La stanza sembrava girare, il mondo ridursi a quel contatto, a quel respiro affannato che si mescolava tra loro.
Il bacio si fece più profondo, quasi urgente. Marta gli afferrò la camicia e la tirò verso il basso, facendogli capire che non c’era più spazio per esitazioni.
Luca sentì le mani di lei muoversi sicure, come se stessero tracciando una mappa che conoscevano già a memoria.
«Lasciati andare Luca.» Mormorò contro le sue labbra, prima di baciarlo di nuovo.
Il vestito nero scivolò lentamente lungo i fianchi di Marta, rivelando il calore della sua pelle sotto la luce soffusa della lampada. Luca la guardò, trattenendo il fiato, come se stesse osservando qualcosa che non avrebbe mai più potuto dimenticare.
Lei sorrise appena. «Adesso tocca a te.»
Gli slacciò i primi bottoni della camicia, le dita lente, deliberatamente lente, come per prolungare quell’attesa.
Ogni tocco era un’onda che gli attraversava il corpo. Marta non lo stava solo sfiorando: lo stava guidando, insegnandogli come lasciarsi trascinare.
Lui posò le mani sui suoi fianchi, sentendo il calore crescere sotto le dita.
La spinse piano contro il divano, e lei vi si lasciò cadere con un gesto fluido, invitante. Le gambe si aprirono quel tanto che bastava a farlo avvicinare, e le mani di Marta lo attiravano sempre più vicino.
Il respiro di entrambi si fece irregolare. Non c’erano più parole, solo movimenti, sfioramenti e il battito veloce nei polsi.
Ogni centimetro di pelle scoperta diventava un segreto condiviso, ogni sguardo un patto silenzioso che li legava ancora di più.
In quel momento, Luca capì che qualsiasi cosa fosse successa dopo, non sarebbero mai più tornati indietro.
Luca si chinò su di lei, il viso a pochi centimetri dal suo, e per un istante restarono fermi, respirando l’uno l’aria dell’altra. Marta lo guardava con un’intensità che gli ancorava i piedi al pavimento e, allo stesso tempo, lo spingeva a gettarsi nel vuoto.
«Adesso… fammi vedere chi sei davvero» sussurrò, stringendogli il polso con dolce fermezza.
Fu come un via libera. Luca la baciò con più forza, e Marta rispose senza alcuna resistenza, anzi guidandolo, piegandosi sotto di lui ma senza perdere il controllo.
Le mani di lui percorrevano la sua pelle calda, scivolando dalle spalle lungo i fianchi, imprimendo nella memoria ogni curva, ogni respiro tremante.
La luce della lampada disegnava ombre morbide sul corpo di lei, e Luca si rese conto di star fissando il punto in cui le sue dita sfioravano la pelle nuda, quasi incredulo di quello che stava facendo.
Marta, invece, lo fissava dritto negli occhi, come se volesse che lui ricordasse quel momento in ogni dettaglio.
Il ritmo dei movimenti divenne più veloce, più urgente, come se entrambi temessero che da un momento all’altro il mondo potesse irrompere a dividerli.
Ogni suono, ogni respiro, si mescolava in un unico crescendo.


«Ora ti mostro quello che quel coglione di tuo padre ha sempre desiderato.»
Con un gesto lento, Marta raccolse i capelli ambrati in una coda alta, lasciando scoprire il collo e le spalle. Il movimento, semplice e sicuro, aveva in sé qualcosa di deliberatamente seducente.
Poi si abbassò davanti a lui, posando le mani sulle sue gambe e accostando il seno ai lati delle cosce che tremavano appena. Il suo sguardo, fisso su di lui, non lasciava scampo.
«Hai mai avuto una ragazza che ti facesse sentire così?» Chiese, con la voce bassa, quasi un soffio.
«No… mamma.» La risposta gli uscì incerta, come se non appartenesse del tutto alla sua volontà.
Marta sorrise, compiaciuta. Le sue mani iniziarono a muoversi con una lentezza misurata, alternando pressione e sfioramento, e ogni gesto sembrava studiato per fargli perdere il controllo. L’aria tra loro si fece più calda, densa di un’intimità che andava oltre qualsiasi parola.
Luca sentiva tutta il peso della saliva colare dalla cappella. Quella sensazione di bagnato era per lui un territorio inesplorato. Le labbra avvolgevano avidamente il suo pene in perfetta erezione mentre i testicoli erano divenuti serbatoi pronti a esplodere da lì all’istante. Non aveva mai ricevuto un pompino in tutta la sua vita e per la prima volta si sentiva in paradiso. Una sola certezza gli attraversò la mente: nulla, in futuro, avrebbe potuto eguagliare quel momento. Nessuna donna avrebbe mai potuto fargli toccare quella vetta di piacere.
«Ti voglio bene mamma.»
Non servì alcuna risposta. Bastò una carezza lenta lungo le sue cosce, un gesto intriso di una dolcezza materna, che per lui si trasformò in un varco inatteso verso un’estasi nuova e sconosciuta.
Pochi istanti dopo, Marta sollevò appena il petto, avvicinandosi finché il pene di suo figlio non si trovò avvolto dalla morbidezza dei suoi seni. Iniziò a masturbarlo facendo pressione con gli indici sui capezzoli oramai turgidi di piacere. Alternava movimenti lenti e verticali a gesti mirati, umidificando con dovizia la cappella, finché la luce della stanza non fece brillare ogni suo dettaglio.
«Hai visto la tua mamma che regalo ti ha fatto?!»
Luca avvertì un’onda di piacere salire rapida, come una marea calda e incontenibile. Il primo gettito arrivò senza preavviso. Fu potente e arrivò diritto nella faccia di Marta, all’altezza della fronte. Ce ne furono altri sei che furono succhiati prima di essere ingoiati.
«Scusami tanto, mamma»
«Non devi scusarti di nulla. È la natura, amore. Finalmente ti ho svezzato.» Marta lo fissò negli occhi mentre, con un gesto lento e sensuale, si passava la lingua sulle dita, assaporando ogni traccia rimasta.
E quando raggiunsero insieme quel culmine, fisico e mentale, il silenzio che seguì fu quasi assordante.
Restarono vicini, i fronti unite, il respiro ancora irregolare.
Marta sorrise appena, con quel sorriso che significava che aveva ancora il controllo, anche adesso. «Adesso sì, Luca. Adesso sei mio.»
Lui chiuse gli occhi, sapendo che non c’era più ritorno.

scritto il
2025-08-15
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