Carne e motori

di
genere
etero

Scrivo storie erotiche su commissione. Se interessati/e, potete contattarmi al mio indirizzo e-mail: nicola.pavelli@gmail.com

Il garage di Cataldo puzzava di benzina, sudore e maschio.
Le pareti erano annerite da anni di fumo, le riviste porno ammucchiate su uno scaffale arrugginito accanto a un compressore difettoso. Sopra il banco da lavoro, due bottiglie di birra aperte e mezze calde. Una delle due gocciolava ancora, inclinata, come il collo molle della ragazza seduta sul cofano della moto.
Era una notte come tante, una delle tante che Cataldo passava a ingozzarsi di carne, birra e pornografia. Ma stavolta aveva fatto le cose in grande.
Due ragazze. Una bionda slavata e una mora col trucco colato. Le aveva rimorchiate al distributore, mentre aspettava che si liberasse il box per lavare la moto. Bastarono due frasi luride e una proposta indecente. Loro risero. E accettarono.
“Hai un posto?”
“Ne ho uno dove si scopa meglio che in paradiso.”
Ora erano lì.
Lui in canottiera nera e jeans sporchi d’olio. I capelli rasati, le vene sulle braccia tese come corde di acciaio. Le mani ruvide che sapevano solo stringere. I denti gialli da chi fuma senza tregua.
E un cazzo, diceva sempre lui, "che ha fatto più chilometri della mia moto."
Le ragazze erano giovani, ma consumate. Una tossiva ogni tanto, con la voce roca e l’alito di gin. L’altra si era tolta le scarpe e girava col piede nudo su una macchia d’olio secco. Ridevano senza convinzione, ma ridevano. Cercavano soldi, forse. O solo una notte in cui non doversi domandare chi fossero.
Cataldo stava in mezzo a loro come un cane in calore.
Le mani sulle cosce della mora, la lingua sporca infilata nella bocca della bionda. Una leccata, un morso. Poi uno sputo. Non per insulto. Per possesso.
“Siete due troie fortunate, sapete?” Disse con voce impastata.
La mora rise. “Perché? Hai vinto al Gratta e Vinci?”
“No, stronza. Perché state per farvi inculare da uno che vi fa dimenticare i vostri padri.”
La bionda rise più forte. Era già sbronza. “Ma va’. Ti si alza ancora?”
Cataldo rispose togliendosi i jeans.
Il suo cazzo era enorme. Nudo, scuro, venoso, mezzo eretto già solo per la vista delle due. Le ragazze si zittirono.
Poi una delle due sussurrò: “Merda...”
Cataldo si sedette su una sedia di plastica sfondata e allargò le gambe. “Fate il vostro dovere.”
Le ragazze si inginocchiarono. La bionda lo prese in bocca subito, con entusiasmo, quasi golosità. La mora si limitò a guardare, poi sputò sul glande e cominciò a masturbarlo con lentezza.
Cataldo gemette. Ma non era un gemito sensuale. Era un suono rauco, animalesco. Come un ringhio.
“Brave, brave cagnette... Così si fa. Ma una alla volta non mi basta. Voglio le due bocche. Insieme.”
Si sistemarono meglio, maldestramente. Le lingue si incrociavano. Le labbra si alternavano sul glande, sulla base, sulle palle. Cataldo afferrava le teste, le guidava, le spingeva.
“Tutti mi chiamano stronzo, ma vi sto trattando da regine.”
La bionda sollevò lo sguardo. Gli occhi le lacrimavano. “Posso sedermi sopra?”
Cataldo le diede una pacca sulla guancia. “Chiedilo meglio.”
Lei sorrise, provocante. “Ti prego, fammi sedere su quel cazzo, bestia.”
“Così va meglio.”
La sollevò come una bambola e la piazzò sopra di sé. Lei calò con un gemito acuto, spalancata, presa tutta in un colpo solo.
“Cristo santo…” sibilò.
La mora, intanto, si sfregava tra le gambe, accovacciata a guardare.
Cataldo cominciò a muoversi. Con forza. Con rabbia.
“È così che vi voglio. Così che dovete essere. Puttane felici. Bastoni nelle fessure. Niente chiacchiere. Solo carne.”
Ogni parola era un colpo. La bionda si aggrappava alle sue spalle, le unghie che gli rigavano la pelle.
“Sei un animale…” disse, ansimante.
“No. Gli animali si accoppiano per istinto. Io per gusto.”
Si girò verso l’altra. “Tu. Vieni. Voglio le tue tette in faccia.”
La mora si avvicinò, si chinò su di lui, le tette grandi e naturali che sbattevano sulla sua faccia a ogni scossa. Cataldo aprì la bocca e la morse. Forte. Lei urlò.
“Mi hai morso, stronzo!”
“E ti è piaciuto, vacca. Non fare la principessa adesso. Sei qui per godere.”
Le prese i capezzoli e li strinse tra le dita.
La bionda gemeva, ormai sfatta. Sudore ovunque. I capelli appiccicati alla fronte.
“Sto venendo…” balbettò.
“Non venire senza il mio permesso, stronza.”
Le diede uno schiaffo sul culo. Lei urlò. Ma non si fermò.
“Scopami, scopami più forte, bastardo. Voglio che mi spacchi.”
Cataldo ringhiò. La ribaltò sul pavimento unto. La prese da dietro, come un cane arrabbiato.
“Le puttane non chiedono. Le puttane prendono. E tu sei una puttana da record.”
Lei gemeva, urlava, si mordeva la mano per non svegliare il vicinato.
La mora si masturbava guardandoli, in ginocchio, con la bocca aperta. Le dita veloci, il respiro accelerato.
Cataldo venne con un urlo soffocato. Una scarica profonda, violenta, che lo fece stringere le mani sulle anche della bionda così forte da lasciarle i lividi.
Poi si lasciò cadere di schiena, sudato, ansimante.
“Cristo... siete state brave. Ma non è finita.”
Si girò verso la mora. “Adesso tocca a te. Ma prima fammi una sega con quei piedini sporchi.”
Lei lo guardò, un attimo confusa. Poi si mise in posizione. Eseguì.
La bionda si stese nuda accanto alla moto, con una birra in mano. Sotto il sedere un telo macchiato.
Rideva. Di niente. Di tutto.
Cataldo osservava le due con soddisfazione sporca, animale.
Il cazzo ancora mezzo duro. Il cuore che batteva. Il sudore che colava.
Aveva scopato. Aveva dominato. Aveva vinto.
Eppure…
Qualcosa restava fuori.
Non era la stessa cosa.
Non era la stessa carne.
Non era lei.
Alice.
Cataldo la immaginò lì. Che entrava per sbaglio nel garage. Che li vedeva così. Che lo guardava con disgusto.
E poi... con desiderio.
Sì, lo desiderava. Ne era certo. Fingere di ignorarlo era solo parte del gioco. Era una puttana come le altre. Solo più brava a nasconderlo.
Ma lui l’avrebbe avuta. Prima o poi.
E non come quelle lì.
No.
Alice avrebbe pianto sotto di lui. Avrebbe graffiato, morso, urlato.
E alla fine, si sarebbe arresa.
Cataldo si rialzò. Prese un'altra birra. Bevve a collo, senza asciugarsi.
Poi si voltò verso le due ragazze.
“Pronte per il secondo round, troiette?”
La mora alzò lo sguardo. Aveva i capelli scompigliati, le cosce bagnate.
“Se paghi, siamo sempre pronte.”
Cataldo rise.
“Non vi pago. Il regalo l’avete già avuto: vi ho fatto sentire vive.”
La bionda rise a sua volta. “Stronzo arrogante. Ma che cazzo… hai ragione.”
Cataldo si aggiustò i jeans, lasciandoli slacciati.
“C’è chi scopa col cuore. Io scopo col motore. Venti cavalli di rabbia tra le gambe. E voi, piccole cicche da bruciare.”
Le ragazze si alzarono. Si baciarono tra loro, spinte solo dall’alcol e dal bisogno di piacere. Cataldo si sedette a guardarli, accendendosi una sigaretta.
Aveva una sola certezza:
le donne, tutte, alla fine, si inginocchiavano.
Solo che alcune ci mettevano più tempo.
E Alice...
stava per arrivare il suo turno.

scritto il
2025-08-05
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