L’animatrice 1
di
Eros.
genere
etero
Non andavo in vacanza con i miei da anni. Le solite scuse: esami, amici, fidanzate. Ma quell’estate, avevo poco più di vent’anni e nessun programma. Quando mi proposero una settimana in un villaggio turistico in Calabria, all’inizio storcii il naso, ma poi mi mostrarono le foto del posto: bungalow nella zona VIP, spiaggia privata, piscina, animazione… Accettai.
Non sapevo che mi sarei trovato dentro una delle esperienze più intense della mia vita.
Arrivammo di pomeriggio. Faceva un caldo assurdo, l’aria vibrava di sole e salsedine. Il mio bungalow era staccato da quello dei miei, in una zona riservata agli ospiti “premium” — un piccolo lusso che avrei presto imparato ad apprezzare. Il posto era pieno di gente, tanti ragazzi, ma fu la prima sera, allo spettacolo di presentazione, che la vidi.
Denise.
La presentatrice delle attività fitness. Un metro e sessantacinque di fisico scolpito, capelli castano scuro, mossi, lasciati cadere sulle spalle con una finta disinvoltura. Aveva una voce inconfondibile, l’accento milanese classico, ma con un linguaggio che tradiva una malizia sottile. Lanciava doppi sensi mentre parlava delle attività sportive, ma con quella naturalezza da lasciarti il dubbio: lo sta facendo apposta?
Io lo speravo.
Il dettaglio che mi inchiodò lo sguardo fu il suo culo. Perfetto. Alto, sodo, contenuto dentro un paio di pantaloncini neri e un top rosso che sembrava disegnato per lei. Non c’erano dubbi, era una che sapeva di piacere. E io, come tanti, me la mangiavo con gli occhi da dietro le prime file dello spettacolo.
Passarono due giorni di routine: spiaggia, piscina, qualche partita a beach volley. Ogni tanto la incrociavo, ci scambiavamo sguardi, un sorriso, qualche battuta. Io facevo il brillante, ma dentro bollivo.
Il terzo giorno successe qualcosa che cambiò le carte in tavola.
Verso le cinque del pomeriggio, mentre uscivo dal bar a bordo piscina, mi fermò il capo animatore. “Senti, stasera nello spettacolo abbiamo bisogno di uno che dia una mano per una scenetta, ti va?”
Accettai subito.
Lo spettacolo era una roba semplice, sketch comici tra gli animatori, battute leggere. Io avevo una parte marginale, ma stavo spesso dietro le quinte. E lì la rividi: Denise, vestita con un abitino bianco cortissimo, aderente, quasi trasparente. Non serviva la fantasia: sotto si intuiva il perizoma. Ogni volta che si girava, ogni volta che si muoveva, era come ricevere un colpo secco allo stomaco.
Verso la fine dello spettacolo, dietro le quinte, mentre tutti si salutavano, mi si avvicinò.
«Me lo sbottoni?» disse indicando il vestito dietro la schiena. Poi, come se fosse normale, fece un passo indietro e mi spinse il culo contro il bacino, a cercare un contatto.
Il mio cazzo rispose da solo, si indurì in un attimo.
Lei se ne accorse. Si girò, un sorriso di quelli che sanno. «Mmmh, interessante…» sussurrò. Poi, come se nulla fosse, afferrò la bottiglietta d’acqua e aggiunse: «Fumiamo una sigaretta in spiaggia?»
Annuii. La seguì come un cane al guinzaglio.
Ma sulla spiaggia c’erano altri animatori e qualche ospite del villaggio. Stavano giocando a obbligo o verità, ridendo e urlando. Ci sedemmo con loro, ma Denise non sembrava troppo interessata al gioco. Si avvicinò al mio orecchio e mi morse il lobo, piano, calda.
«Seguimi», sussurrò.
Ma non si diresse verso gli alloggi degli animatori.
Andò dritta verso la zona VIP. Verso il mio bungalow.
Mi girai a guardarla. Lei sorrise. «So benissimo che sei da solo.»
La porta si chiuse dietro di noi con un rumore secco. Dentro, c’era fresco, odore di legno e doposole.
Si voltò verso di me. Si sciolse i capelli, poi mi spinse dolcemente contro il letto. Salì sopra di me e iniziò a baciarmi. La bocca sapeva di menta e sigaretta. Le sue mani erano ovunque. Mi slacciò la camicia, poi i pantaloncini. Senza dire una parola, scese giù e iniziò a succhiarmelo con una lentezza disarmante.
La lingua era morbida, esperta. Il preservativo me lo infilò con la bocca, senza mani. Ogni tanto si fermava, mi guardava dal basso, occhi lucidi, poi tornava ad affondare la gola fino a farmi tremare le cosce.
Si alzò, si tolse le mutandine di quel perizoma bianco quasi invisibile e si buttò sul letto, gambe divaricate, il vestito ancora su, ma sollevato sui fianchi.
«Vieni qui, bello. Fammi sentire quanto sei in forma.»
Iniziai a scoparla piano, mentre lei mi stringeva le cosce contro i fianchi e gemeva in quel modo sporco e sincero che mi faceva impazzire. Ogni volta che mi muovevo, il suo culo sodo sbatteva contro il bacino con un suono secco, ritmico. Si girò a pecora, me lo spinse addosso, con le mani aperte sul letto.
«Dai, fammi male, ma fallo bene…»
E io le diedi dentro.
Per ore.
Cambiammo posizioni, luoghi del bungalow, ritmo. Le piaceva sottomettersi e comandare. Le piaceva mordermi il collo mentre mi cavalcava e tirarmi i capelli quando la prendevo da dietro.
Alla fine ci sdraiammo stremati, sudati, ancora accaldati. Lei si rannicchiò contro di me, nuda, e si addormentò con una mano sul mio petto e il sorriso sulle labbra.
Io rimasi sveglio. Col cuore che batteva forte.
Non sapevo che mi sarei trovato dentro una delle esperienze più intense della mia vita.
Arrivammo di pomeriggio. Faceva un caldo assurdo, l’aria vibrava di sole e salsedine. Il mio bungalow era staccato da quello dei miei, in una zona riservata agli ospiti “premium” — un piccolo lusso che avrei presto imparato ad apprezzare. Il posto era pieno di gente, tanti ragazzi, ma fu la prima sera, allo spettacolo di presentazione, che la vidi.
Denise.
La presentatrice delle attività fitness. Un metro e sessantacinque di fisico scolpito, capelli castano scuro, mossi, lasciati cadere sulle spalle con una finta disinvoltura. Aveva una voce inconfondibile, l’accento milanese classico, ma con un linguaggio che tradiva una malizia sottile. Lanciava doppi sensi mentre parlava delle attività sportive, ma con quella naturalezza da lasciarti il dubbio: lo sta facendo apposta?
Io lo speravo.
Il dettaglio che mi inchiodò lo sguardo fu il suo culo. Perfetto. Alto, sodo, contenuto dentro un paio di pantaloncini neri e un top rosso che sembrava disegnato per lei. Non c’erano dubbi, era una che sapeva di piacere. E io, come tanti, me la mangiavo con gli occhi da dietro le prime file dello spettacolo.
Passarono due giorni di routine: spiaggia, piscina, qualche partita a beach volley. Ogni tanto la incrociavo, ci scambiavamo sguardi, un sorriso, qualche battuta. Io facevo il brillante, ma dentro bollivo.
Il terzo giorno successe qualcosa che cambiò le carte in tavola.
Verso le cinque del pomeriggio, mentre uscivo dal bar a bordo piscina, mi fermò il capo animatore. “Senti, stasera nello spettacolo abbiamo bisogno di uno che dia una mano per una scenetta, ti va?”
Accettai subito.
Lo spettacolo era una roba semplice, sketch comici tra gli animatori, battute leggere. Io avevo una parte marginale, ma stavo spesso dietro le quinte. E lì la rividi: Denise, vestita con un abitino bianco cortissimo, aderente, quasi trasparente. Non serviva la fantasia: sotto si intuiva il perizoma. Ogni volta che si girava, ogni volta che si muoveva, era come ricevere un colpo secco allo stomaco.
Verso la fine dello spettacolo, dietro le quinte, mentre tutti si salutavano, mi si avvicinò.
«Me lo sbottoni?» disse indicando il vestito dietro la schiena. Poi, come se fosse normale, fece un passo indietro e mi spinse il culo contro il bacino, a cercare un contatto.
Il mio cazzo rispose da solo, si indurì in un attimo.
Lei se ne accorse. Si girò, un sorriso di quelli che sanno. «Mmmh, interessante…» sussurrò. Poi, come se nulla fosse, afferrò la bottiglietta d’acqua e aggiunse: «Fumiamo una sigaretta in spiaggia?»
Annuii. La seguì come un cane al guinzaglio.
Ma sulla spiaggia c’erano altri animatori e qualche ospite del villaggio. Stavano giocando a obbligo o verità, ridendo e urlando. Ci sedemmo con loro, ma Denise non sembrava troppo interessata al gioco. Si avvicinò al mio orecchio e mi morse il lobo, piano, calda.
«Seguimi», sussurrò.
Ma non si diresse verso gli alloggi degli animatori.
Andò dritta verso la zona VIP. Verso il mio bungalow.
Mi girai a guardarla. Lei sorrise. «So benissimo che sei da solo.»
La porta si chiuse dietro di noi con un rumore secco. Dentro, c’era fresco, odore di legno e doposole.
Si voltò verso di me. Si sciolse i capelli, poi mi spinse dolcemente contro il letto. Salì sopra di me e iniziò a baciarmi. La bocca sapeva di menta e sigaretta. Le sue mani erano ovunque. Mi slacciò la camicia, poi i pantaloncini. Senza dire una parola, scese giù e iniziò a succhiarmelo con una lentezza disarmante.
La lingua era morbida, esperta. Il preservativo me lo infilò con la bocca, senza mani. Ogni tanto si fermava, mi guardava dal basso, occhi lucidi, poi tornava ad affondare la gola fino a farmi tremare le cosce.
Si alzò, si tolse le mutandine di quel perizoma bianco quasi invisibile e si buttò sul letto, gambe divaricate, il vestito ancora su, ma sollevato sui fianchi.
«Vieni qui, bello. Fammi sentire quanto sei in forma.»
Iniziai a scoparla piano, mentre lei mi stringeva le cosce contro i fianchi e gemeva in quel modo sporco e sincero che mi faceva impazzire. Ogni volta che mi muovevo, il suo culo sodo sbatteva contro il bacino con un suono secco, ritmico. Si girò a pecora, me lo spinse addosso, con le mani aperte sul letto.
«Dai, fammi male, ma fallo bene…»
E io le diedi dentro.
Per ore.
Cambiammo posizioni, luoghi del bungalow, ritmo. Le piaceva sottomettersi e comandare. Le piaceva mordermi il collo mentre mi cavalcava e tirarmi i capelli quando la prendevo da dietro.
Alla fine ci sdraiammo stremati, sudati, ancora accaldati. Lei si rannicchiò contro di me, nuda, e si addormentò con una mano sul mio petto e il sorriso sulle labbra.
Io rimasi sveglio. Col cuore che batteva forte.
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