Angy 1

di
genere
etero

Avevo appena compiuto diciott’anni.

Ultimo del gruppo per età e pure il più basso: 165 centimetri scarsi, sempre preso in giro per quello. Ma con il tempo avevo imparato che in certe situazioni… l’altezza è l’ultimo dei problemi.
Quel giorno tutto è iniziato con un messaggio. Angy.
L’ex di Francesco, uno dei miei amici più stretti.
Stavamo sempre insieme ai tempi, e loro due erano stati una coppia storica. Si erano lasciati da due anni ormai, ognuno per la sua strada.
Non sentivo più Angy da un pezzo. Ma quel giorno, con la scusa degli auguri, riemerse all’improvviso.

Dopo i convenevoli, mi scrisse:
“Quando ci beviamo un caffè? O anche solo una sigaretta come ai vecchi tempi?”

Io lì per lì rifiutai. Lo feci per rispetto a Francesco, anche se dentro di me… un brivido si era già acceso.
Quando gliene parlai, pensavo si incazzasse. Invece si mise a ridere.

“Ma sei scemo? Se non vai sei proprio un coglione! È lì che te la sta servendo su un piatto d’argento…”

All’inizio non volevo crederci. Poi, col passare dei giorni, e i suoi messaggi sempre più frequenti, sempre più allusivi, iniziai a vacillare.
Dieci giorni. A rifiutare. Sempre col dubbio in testa. Sempre con la voce di Francesco che mi martellava: “Vai, che ci scopi.”

Fino a quando ho ceduto.



Quel pomeriggio d’estate era caldo da far sciogliere anche i pensieri.
Ci vedemmo in una zona tranquilla, vicino alla stazione. L’unico punto un po’ appartato in mezzo al nulla.
Lei era già lì ad aspettarmi.
Alta. Un metro e ottanta. Snella, fianchi scolpiti, culo alto e perfetto. I capelli neri lunghissimi le scivolavano sulla schiena, mossi dal vento. Labbra carnose, occhi verdi enormi, un collo lungo e sensuale che sembrava chiedere solo di essere morso.

Mi sorrise da lontano. Quella specie di sorriso che ti fa capire che non sei lì solo per parlare.

Parlammo, certo. Del più e del meno.
Ma piano piano lei iniziò a virare. A parlare di sesso, esperienze, giochi.
Mi raccontò che stava “allenando la gola”. Che riusciva a ingoiare sempre più in fondo. Che stava scoprendo il piacere del suo culo, a volte anche usando oggetti a caso in bagno.
Lo diceva con la naturalezza di chi ti chiede se preferisci un’aranciata o una birra.
E io lì, impacciato. Caldo. Con l’erezione che cercavo di nascondere incrociando le gambe.

Lei parlava. Io ridevo nervosamente. Non sapevo se rispondere, o se scappare. Ma dentro stavo esplodendo.



Poi, il momento.
Mi alzai per salutarla, cercando di salvare la dignità.
Ero in piedi, lei ancora seduta sul muretto, con la faccia all’altezza del mio bacino.

Abbassò lo sguardo.
E lo vide.

Quel rigonfiamento evidente nei miei pantaloni.

Mi fissò un secondo, poi disse:

“Sì, ma prima che vai via… voglio darti un bacio.”

Io rimasi immobile.
Mi chinai verso di lei, pronto a darle un bacio sulle labbra.
Ma lei mi fermò.

“No. Baci bene… ma non voglio dartelo sulla bocca.”

E senza esitare, mi slacciò il pantalone.
Con delicatezza, tirò fuori il cazzo.
Lo guardò, lo prese in mano, se lo avvicinò alle labbra, e sussurrò:

“Un ragazzo piccolo come te… non può avere un cazzo così grande nei pantaloni.”

Le sue dita sottili scorrevano sul mio cazzo ancora umido del caldo che avevo accumulato tutto il pomeriggio.
Lo accarezzava come fosse qualcosa che non vedeva da tempo. Qualcosa di proibito.
Mi guardava fisso negli occhi, poi di nuovo giù, e lo annusò piano. Una lingua curiosa ne lambì la punta, mentre le sue labbra si schiudevano appena per assaggiarlo.

“Non me l’aspettavo così… porca puttana…” sussurrò quasi fra sé.

Poi si fermò di colpo.
Mi fissò con uno sguardo serio, come se le fosse appena scattata in testa una verità che non poteva più ignorare.

“Ma cazzo…” fece, passandosi le dita sulle labbra, “se te lo vedessero le ragazze con cui è stato — o sta — Francesco… non ci sarebbe più gara per lui. Sei spesso il doppio di lui. E anche abbastanza lungo.”

Io sgranai gli occhi.
Non sapevo se essere imbarazzato o esaltato.
Ma quando lei tornò giù con la bocca, smisi di pensare.
Completamente.

Le sue labbra si richiusero attorno alla punta. Calde, avide, precise. La sua lingua iniziò a roteare, a massaggiarmi la base del glande mentre la bocca scendeva, centimetro dopo centimetro.
Si fermò solo quando ebbe i primi conati.

Poi si rialzò.

“Ti avevo detto che stavo imparando a usare la gola… vuoi vedere fin dove arrivo?”

Io stavo per perdere il controllo già solo con quelle parole.

Lei afferrò il cazzo alla base, prese fiato dal naso e tornò giù, stavolta decisa.
Si infilò tutto. Fino a farmi sparire dentro di lei.

Sentivo il mio cazzo premere contro il fondo della sua gola.
Lei tremava, lacrimava appena, ma non si fermava.
Risaliva, sputava, ansimava, poi lo prendeva di nuovo. Ogni volta più profonda.

Fra un affondo e l’altro, sussurrava:

“È il tuo regalo di compleanno… se riesco a prendertelo tutto in gola, puoi venirmi in bocca. Anche adesso.”

Io non ce la facevo più.
Il cazzo era talmente gonfio che mi sembrava stesse per scoppiare.
Le prendevo la testa con entrambe le mani, seguivo il ritmo dei suoi colpi.
Sentivo la lingua, le labbra, la gola… tutto attorno a me.
Un inferno perfetto.

“Fai quello che vuoi,” le dissi a denti stretti, “ma non fermarti.”

E lei non si fermò.

Scese fino in fondo, fino a sentirmi esplodere dentro la sua gola.

Un getto, due, tre…
Lei non si mosse.
Rimase ferma, immobile, a prendersi tutto.

Solo dopo si tirò su lentamente, ingoiando ogni goccia, e sorridendomi con gli occhi umidi e le labbra gonfie.

“Auguri, porcone.”
di
scritto il
2025-07-24
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