Angy 2
di
Eros.
genere
etero
Appena rientro a casa, mi arriva un messaggio:
“Hai un sapore buonissimo.”
E subito dopo:
“Chissà se riuscirò a sentirti dentro così come in gola… ho ancora il tuo sapore sulle labbra.”
Mi chiudo in bagno. Ho 18 anni. L’erezione non mi è nemmeno passata del tutto. Mi masturbo pensando a lei, a quella bocca, a quel commento sul mio cazzo, al sapore che diceva di avere ancora in bocca.
Da quel giorno iniziamo a sentirci ogni giorno.
Messaggi sempre più spinti, vocali sussurrati, confessioni erotiche. Lei si masturba e me lo racconta. Dice che non riesce a trovare nulla da infilarsi nel culo che le ricordi il mio cazzo, che lo vuole dentro, vero, duro, reale.
Non passa molto tempo prima che venga a casa mia.
In bici, da un paese all’altro. Venti minuti di pedalata con quella gonnellina cortissima che si solleva ad ogni sobbalzo. Scendo per salutarla, indicarle dove mettere la bici. La osservo salire di sella, quel culo alto, tondo, che ballonzola ad ogni movimento. Lì capisco che non sta portando nulla sotto.
Appena scende, mi bacia e mi mette la mano sul pacco, sfacciata.
“Giusto per vedere se te lo ricordi ancora di me.”
Poi sale in casa come se fosse normale. Sono passati due anni dall’ultima volta che era venuta. Entra, guarda in giro, mi dice:
“Fai il caffè, io vado un attimo in bagno.”
Si fa una doccia. Esce dopo qualche minuto con addosso solo un reggiseno bianco di pizzo che tiene appena contenuta una seconda piena e la stessa gonnellina, nulla sotto. Nessuna maglia, nessuna mutandina.
Si siede a bere il caffè ormai freddo. Parliamo un po’. Quando si alza, noto l’alone sulla sedia. Perfetto. La sagoma del culo, della figa e anche il buchetto del culo. Chiaro. Netta. Umida. Un’opera d’arte lasciata lì da quella goccia che l’eccitazione aveva fatto colare.
Mi viene dietro, mi mette le mani sulle spalle come per iniziare un trenino.
“Fammi vedere se è cambiata la tua camera.”
Entriamo. Si lancia a pecora sul letto, prende una borsetta e tira fuori un olio da massaggi profumato alla fragola.
“Ti facevo più audace… pensavo che aprivi la doccia per guardarmi o… per scoparmi.”
Io rimango fermo, bloccato. Lei si rialza, si siede, mi tira verso di sé, apre il flacone e mi spalma il gel sul cazzo.
“Tanto dopo me lo lavi… e poi me lo fai assaporare al naturale, questo bel cazzone.”
…Era lì, sul letto, col culo perfettamente in vista, la gonnella sollevata che scopriva due chiappe alte e toniche, ben distanziate, con quella piega sensuale che separava la carne e invitava a infilarmi dentro. Il profumo dell’olio alla fragola si mescolava all’odore del suo corpo caldo, fresco di doccia, ma già bagnato di voglia.
Mi avvicinai piano, con una fame che si leggeva nei miei occhi e si sentiva nel respiro. Appoggiai una mano sulla sua schiena, sentendola rabbrividire. Le altre due sul culo, lo accarezzai, poi lo strinsi, aprendole leggermente le natiche per ammirare quella vista da capogiro. Il buchino rosa era lucido, probabilmente ancora un po’ unto da qualche esperimento personale. Lo guardai con desiderio, ricordando la sera prima, quando mi aveva scritto di averlo ancora sensibile.
Mi chinai istintivamente, e con la lingua sfiorai quella fessura. Lei sobbalzò.
«Mamma mia… non ci credo che lo stai facendo…» sussurrò con la voce spezzata dal piacere.
«Non sai quanto lo desidero…» risposi, leccandola più a fondo, affondando la lingua tra le pieghe calde del culo e poi più giù, sulla fica già gonfia e lucida. Il gusto era misto tra l’olio dolce e il sapore naturale del suo corpo, che mi eccitava da impazzire.
Lei gemeva piano, la faccia schiacciata nel cuscino, una mano che si aggrappava alle lenzuola. Quando sentii le sue cosce tremare, mi rialzai, afferrai il mio cazzo unto e lo puntai dritto nella sua figa.
Entrai tutto d’un colpo, facendola ansimare forte. «Oh cazzo… sì… così… così…» si lamentò, con la voce gutturale.
Iniziai a scoparla con colpi lenti e profondi, guardando il mio cazzo scomparire e riapparire da quella fessura grondante. Il rumore dei nostri corpi che si schiaffeggiavano riempiva la stanza, mentre lei si spingeva indietro con il culo per sentirsi dentro tutto.
Mi piegai su di lei, afferrandole i seni da sotto il corpo, facendola sentire stretta, piena, dominata.
«Sai cosa pensavo mentre venivo in bici?» sussurrò, voltando il viso per cercare il mio. «Che se ci fosse stato un modo per farmi scopare da te mentre pedalavo, lo avrei fatto. Non mi reggo più senza averti dentro.»
Le afferrai i fianchi e la girai di lato, poi la sollevai a cavalcioni. Si sedette sul mio cazzo con una naturalezza disarmante e cominciò a muoversi in avanti e indietro, premendomi con la fica calda e stretta fin dentro le viscere.
Era un’estasi lenta, bagnata, ipnotica. Mi guardava negli occhi, con quelle iridi verdi che sembravano esplodere nel contrasto con la luce che entrava dalla finestra. Si mordicchiava le labbra, poi si abbassava per baciarmi, sussurrando frasi sporche e gemiti soffocati.
Le venni dentro con un’esplosione che mi fece tremare tutto il corpo. E lei restò lì, ferma, appoggiata su di me, baciandomi piano, sorridendo come se fosse appena tornata da un viaggio interplanetario.
Restammo abbracciati qualche minuto, i nostri respiri si sincronizzarono, e poi lei si alzò, infilò le mutandine (che aveva tirato fuori dalla borsa solo dopo), sistemò la gonnella e si mise il reggiseno al contrario per allacciarlo.
«Andiamo a prendere un po’ d’aria?» mi chiese. «Ma senza smettere di pensare a quello che potremmo rifare… magari in un posto dove potremmo anche essere scoperti.»
Presi la bici, lei la sua, e iniziammo a pedalare, salendo la strada che portava verso il campo in montagna. Il pomeriggio era limpido, l’aria profumava di resina e piante selvatiche. Gli alberi alti e fitti offrivano ombra e freschezza, e il posto sembrava fuori dal tempo.
Trovammo un tavolo da picnic in legno, un po’ nascosto. Lei si sedette sopra, le gambe lunghe incrociate, e mi guardò con quel sorriso che ormai avevo imparato a leggere: stava già architettando la prossima mossa.
Mi avvicinai e lei mi attirò a sé, si sollevò leggermente la gonna e mi prese la mano, portandola sulle sue cosce nude, poi più su, fino alla fica.
Era ancora calda, umida.
«Dovremmo farlo anche qui,» mi sussurrò, leccandomi il lobo dell’orecchio. «In un posto dove potremmo essere sentiti, visti… così ti ricordi di me ogni volta che passi di qui.»
La mia mente era un turbine. Quell’esperienza con Angy era esplosa nella mia vita come un fuoco d’artificio, e dentro me sapevo che nulla sarebbe più stato come prima.
Ci sedemmo al tavolo, il sole filtrava tra le foglie e un leggero vento fresco accarezzava la pelle. La mia mano scivolò lentamente tra le sue cosce, iniziando un massaggio delicato ma deciso. Lei chiuse gli occhi, si appoggiò a me e cominciò a baciarmi il collo con una dolcezza che accendeva ogni singola fibra del mio corpo.
Con la mano libera le accarezzavo la vulva, entrando con un dito, lentamente, per farla godere, un ditalino sapiente e lento che la fece rabbrividire. Il suo respiro divenne più rapido, il corpo si irrigidì appena, e un gemito soffocato annunciò il suo primo orgasmo, caldo e intenso.
Appena si rilassò, scese dal tavolo con un sorriso malizioso, inginocchiandosi davanti a me come una preghiera. Senza esitazione, mi scostò i pantaloni e mi prese in bocca, con una voracità che mi fece impazzire. Il sapore dolce del lubrificante era ormai svanito, lasciando spazio al gusto naturale, che lei assaporava come fosse la cosa più buona mai provata.
Il suo modo di leccarmi le palle con la lingua, di succhiare fino a farmi sentire il cazzo scendere in gola, era pura magia. Non c’era fretta, non c’era alcuna tensione, solo lei e il mio piacere. Ero completamente suo in quel momento.
Dopo che finii, si alzò, mi spinse delicatamente contro il tavolo e con un sorriso da diavola tirò giù le mutande, lasciando il suo culo ben in vista. «Fammi sentire il buco aperto,» mi disse, un filo di voce carico di desiderio e sfida.
Ci provai. Lentamente, con tutta la dolcezza di cui ero capace, infilai un dito nel suo buco. Lei chiuse gli occhi e trattenne il respiro, ma purtroppo non riuscivo a entrare più di tanto. Il suo corpo non era ancora pronto, il muscolo non abbastanza rilassato per lasciarmi passare. Provai e riprovai, ma niente: era ancora troppo stretto.
«Non oggi,» sospirò lei, con un sorriso di chi sa che presto ci riusciremo.
Allora la presi di nuovo, questa volta nella sua fica calda e accogliente, muovendomi con dolcezza ma anche con passione, mentre lei si abbandonava completamente, rannicchiata contro di me. Quando sentii di non poter più trattenere il piacere, le arrivai in bocca, con lei che mi accolse come un dono prezioso.
“Hai un sapore buonissimo.”
E subito dopo:
“Chissà se riuscirò a sentirti dentro così come in gola… ho ancora il tuo sapore sulle labbra.”
Mi chiudo in bagno. Ho 18 anni. L’erezione non mi è nemmeno passata del tutto. Mi masturbo pensando a lei, a quella bocca, a quel commento sul mio cazzo, al sapore che diceva di avere ancora in bocca.
Da quel giorno iniziamo a sentirci ogni giorno.
Messaggi sempre più spinti, vocali sussurrati, confessioni erotiche. Lei si masturba e me lo racconta. Dice che non riesce a trovare nulla da infilarsi nel culo che le ricordi il mio cazzo, che lo vuole dentro, vero, duro, reale.
Non passa molto tempo prima che venga a casa mia.
In bici, da un paese all’altro. Venti minuti di pedalata con quella gonnellina cortissima che si solleva ad ogni sobbalzo. Scendo per salutarla, indicarle dove mettere la bici. La osservo salire di sella, quel culo alto, tondo, che ballonzola ad ogni movimento. Lì capisco che non sta portando nulla sotto.
Appena scende, mi bacia e mi mette la mano sul pacco, sfacciata.
“Giusto per vedere se te lo ricordi ancora di me.”
Poi sale in casa come se fosse normale. Sono passati due anni dall’ultima volta che era venuta. Entra, guarda in giro, mi dice:
“Fai il caffè, io vado un attimo in bagno.”
Si fa una doccia. Esce dopo qualche minuto con addosso solo un reggiseno bianco di pizzo che tiene appena contenuta una seconda piena e la stessa gonnellina, nulla sotto. Nessuna maglia, nessuna mutandina.
Si siede a bere il caffè ormai freddo. Parliamo un po’. Quando si alza, noto l’alone sulla sedia. Perfetto. La sagoma del culo, della figa e anche il buchetto del culo. Chiaro. Netta. Umida. Un’opera d’arte lasciata lì da quella goccia che l’eccitazione aveva fatto colare.
Mi viene dietro, mi mette le mani sulle spalle come per iniziare un trenino.
“Fammi vedere se è cambiata la tua camera.”
Entriamo. Si lancia a pecora sul letto, prende una borsetta e tira fuori un olio da massaggi profumato alla fragola.
“Ti facevo più audace… pensavo che aprivi la doccia per guardarmi o… per scoparmi.”
Io rimango fermo, bloccato. Lei si rialza, si siede, mi tira verso di sé, apre il flacone e mi spalma il gel sul cazzo.
“Tanto dopo me lo lavi… e poi me lo fai assaporare al naturale, questo bel cazzone.”
…Era lì, sul letto, col culo perfettamente in vista, la gonnella sollevata che scopriva due chiappe alte e toniche, ben distanziate, con quella piega sensuale che separava la carne e invitava a infilarmi dentro. Il profumo dell’olio alla fragola si mescolava all’odore del suo corpo caldo, fresco di doccia, ma già bagnato di voglia.
Mi avvicinai piano, con una fame che si leggeva nei miei occhi e si sentiva nel respiro. Appoggiai una mano sulla sua schiena, sentendola rabbrividire. Le altre due sul culo, lo accarezzai, poi lo strinsi, aprendole leggermente le natiche per ammirare quella vista da capogiro. Il buchino rosa era lucido, probabilmente ancora un po’ unto da qualche esperimento personale. Lo guardai con desiderio, ricordando la sera prima, quando mi aveva scritto di averlo ancora sensibile.
Mi chinai istintivamente, e con la lingua sfiorai quella fessura. Lei sobbalzò.
«Mamma mia… non ci credo che lo stai facendo…» sussurrò con la voce spezzata dal piacere.
«Non sai quanto lo desidero…» risposi, leccandola più a fondo, affondando la lingua tra le pieghe calde del culo e poi più giù, sulla fica già gonfia e lucida. Il gusto era misto tra l’olio dolce e il sapore naturale del suo corpo, che mi eccitava da impazzire.
Lei gemeva piano, la faccia schiacciata nel cuscino, una mano che si aggrappava alle lenzuola. Quando sentii le sue cosce tremare, mi rialzai, afferrai il mio cazzo unto e lo puntai dritto nella sua figa.
Entrai tutto d’un colpo, facendola ansimare forte. «Oh cazzo… sì… così… così…» si lamentò, con la voce gutturale.
Iniziai a scoparla con colpi lenti e profondi, guardando il mio cazzo scomparire e riapparire da quella fessura grondante. Il rumore dei nostri corpi che si schiaffeggiavano riempiva la stanza, mentre lei si spingeva indietro con il culo per sentirsi dentro tutto.
Mi piegai su di lei, afferrandole i seni da sotto il corpo, facendola sentire stretta, piena, dominata.
«Sai cosa pensavo mentre venivo in bici?» sussurrò, voltando il viso per cercare il mio. «Che se ci fosse stato un modo per farmi scopare da te mentre pedalavo, lo avrei fatto. Non mi reggo più senza averti dentro.»
Le afferrai i fianchi e la girai di lato, poi la sollevai a cavalcioni. Si sedette sul mio cazzo con una naturalezza disarmante e cominciò a muoversi in avanti e indietro, premendomi con la fica calda e stretta fin dentro le viscere.
Era un’estasi lenta, bagnata, ipnotica. Mi guardava negli occhi, con quelle iridi verdi che sembravano esplodere nel contrasto con la luce che entrava dalla finestra. Si mordicchiava le labbra, poi si abbassava per baciarmi, sussurrando frasi sporche e gemiti soffocati.
Le venni dentro con un’esplosione che mi fece tremare tutto il corpo. E lei restò lì, ferma, appoggiata su di me, baciandomi piano, sorridendo come se fosse appena tornata da un viaggio interplanetario.
Restammo abbracciati qualche minuto, i nostri respiri si sincronizzarono, e poi lei si alzò, infilò le mutandine (che aveva tirato fuori dalla borsa solo dopo), sistemò la gonnella e si mise il reggiseno al contrario per allacciarlo.
«Andiamo a prendere un po’ d’aria?» mi chiese. «Ma senza smettere di pensare a quello che potremmo rifare… magari in un posto dove potremmo anche essere scoperti.»
Presi la bici, lei la sua, e iniziammo a pedalare, salendo la strada che portava verso il campo in montagna. Il pomeriggio era limpido, l’aria profumava di resina e piante selvatiche. Gli alberi alti e fitti offrivano ombra e freschezza, e il posto sembrava fuori dal tempo.
Trovammo un tavolo da picnic in legno, un po’ nascosto. Lei si sedette sopra, le gambe lunghe incrociate, e mi guardò con quel sorriso che ormai avevo imparato a leggere: stava già architettando la prossima mossa.
Mi avvicinai e lei mi attirò a sé, si sollevò leggermente la gonna e mi prese la mano, portandola sulle sue cosce nude, poi più su, fino alla fica.
Era ancora calda, umida.
«Dovremmo farlo anche qui,» mi sussurrò, leccandomi il lobo dell’orecchio. «In un posto dove potremmo essere sentiti, visti… così ti ricordi di me ogni volta che passi di qui.»
La mia mente era un turbine. Quell’esperienza con Angy era esplosa nella mia vita come un fuoco d’artificio, e dentro me sapevo che nulla sarebbe più stato come prima.
Ci sedemmo al tavolo, il sole filtrava tra le foglie e un leggero vento fresco accarezzava la pelle. La mia mano scivolò lentamente tra le sue cosce, iniziando un massaggio delicato ma deciso. Lei chiuse gli occhi, si appoggiò a me e cominciò a baciarmi il collo con una dolcezza che accendeva ogni singola fibra del mio corpo.
Con la mano libera le accarezzavo la vulva, entrando con un dito, lentamente, per farla godere, un ditalino sapiente e lento che la fece rabbrividire. Il suo respiro divenne più rapido, il corpo si irrigidì appena, e un gemito soffocato annunciò il suo primo orgasmo, caldo e intenso.
Appena si rilassò, scese dal tavolo con un sorriso malizioso, inginocchiandosi davanti a me come una preghiera. Senza esitazione, mi scostò i pantaloni e mi prese in bocca, con una voracità che mi fece impazzire. Il sapore dolce del lubrificante era ormai svanito, lasciando spazio al gusto naturale, che lei assaporava come fosse la cosa più buona mai provata.
Il suo modo di leccarmi le palle con la lingua, di succhiare fino a farmi sentire il cazzo scendere in gola, era pura magia. Non c’era fretta, non c’era alcuna tensione, solo lei e il mio piacere. Ero completamente suo in quel momento.
Dopo che finii, si alzò, mi spinse delicatamente contro il tavolo e con un sorriso da diavola tirò giù le mutande, lasciando il suo culo ben in vista. «Fammi sentire il buco aperto,» mi disse, un filo di voce carico di desiderio e sfida.
Ci provai. Lentamente, con tutta la dolcezza di cui ero capace, infilai un dito nel suo buco. Lei chiuse gli occhi e trattenne il respiro, ma purtroppo non riuscivo a entrare più di tanto. Il suo corpo non era ancora pronto, il muscolo non abbastanza rilassato per lasciarmi passare. Provai e riprovai, ma niente: era ancora troppo stretto.
«Non oggi,» sospirò lei, con un sorriso di chi sa che presto ci riusciremo.
Allora la presi di nuovo, questa volta nella sua fica calda e accogliente, muovendomi con dolcezza ma anche con passione, mentre lei si abbandonava completamente, rannicchiata contro di me. Quando sentii di non poter più trattenere il piacere, le arrivai in bocca, con lei che mi accolse come un dono prezioso.
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