La fidanzata del mio amico…3

di
genere
corna

La mattina dopo sembrava uguale a tutte le altre.

Il sole già scaldava le pareti bianche dell’alloggio. Il mare si sentiva in sottofondo, calmo, indifferente. La mia ragazza dormiva ancora, il corpo nudo sotto il lenzuolo leggero, una gamba piegata, il profumo della sera prima ancora addosso.

Ma io no. Io ero sveglio da ore. In piedi, in silenzio, con il pensiero che non mollava. L’immagine di Marta, in ginocchio tra me e Luca, il culo aperto, la bocca piena, la pelle intrisa di voglia. I suoi occhi. Quel momento in cui mi aveva guardato e, senza dire nulla, mi aveva detto tutto.

Non era stato solo sesso. Era stato un crollo.

La scena era ancora viva nelle mie ossa. Ogni secondo mi tornava in mente come uno schiaffo: le sue labbra sulle mie, il suo culo che stringeva il mio cazzo, il modo in cui aveva chiesto di essere presa di nuovo, senza nemmeno un briciolo di esitazione.

Mi feci una doccia fredda. Non servì a nulla.

Uscito in veranda, con una tazza di caffè in mano, cercai di guardare verso l’alloggio accanto. Tenda chiusa. Persiane accostate. Silenzio. Nessun rumore.
Poi, un piccolo spostamento: una sagoma dietro il vetro. Marta.

Mi fissò per un secondo. Poi sparì.
Quel secondo mi bastò per capire che non era finita.



La mattina passò lenta, densa. In spiaggia, cercavamo tutti di comportarci normalmente. Chiacchiere leggere, battute scambiate. Luca sembrava tranquillo. Marta invece era silenziosa. Gli occhi coperti dagli occhiali da sole, il corpo disteso al sole, ma sempre in tensione. Ogni tanto mi lanciava sguardi brevi, rapidi. Ma carichi.
Non c’era bisogno di parole.

Io cercavo di evitare il contatto. Non volevo che la mia ragazza si accorgesse di nulla. Ma il cazzo non collaborava. Bastava una risata di Marta, o un movimento lento del suo culo sul lettino, per farmi sentire il sangue ribollire.

Verso le 15:00 decidemmo di tornare agli alloggi. Il caldo aveva preso il sopravvento.

La mia ragazza, ancora mezza intontita, si spogliò appena rientrati, e si stese sul letto per riposare. Io finsi di leggere. Ma ero irrequieto.
Dopo poco, sentii bussare.
Un colpo. Due. Silenziosi.

Aprii piano.

Era lei.

Vestita con un pareo trasparente e un reggiseno nero sotto. Nulla più. I capelli ancora umidi di mare, gli occhi coperti dagli occhiali. Parlò a voce bassa.

“Posso entrare?”

Mi scostai. Lei entrò senza dire altro.

“Dorme?” chiese indicando la camera.

“Sì…”

Marta chiuse la porta dietro di sé. Si voltò. Si tolse lentamente gli occhiali.
Aveva gli occhi lucidi. E famelici.

“Non riesco a pensare ad altro…” sussurrò. “A ieri. A te dentro di me. A come mi hai guardata. A come… mi hai scopata. Non ho mai… non ho mai fatto nulla del genere. Ma…”

Fece un passo verso di me.

“Ma lo voglio ancora.”

Mi scoppiò qualcosa dentro. L’ultima resistenza. L’ultimo dubbio.

La presi per i fianchi e la spinsi contro il muro. Marta gemette, sorpresa ma complice. La baciai con foga, le nostre lingue si incastrarono come lame. Le mani mi cercavano sotto la maglietta, mentre io le sollevavo il pareo e le infilavo la mano tra le cosce.

Era senza slip.
Bagnata. Fradicia.

“Mi sei rimasto dentro…” mi sussurrò mentre le leccavo il collo. “Non so che cazzo mi sta succedendo…”

La sollevai di peso. Lei si aggrappò a me. Le gambe intorno alla mia vita.
Mi portai in cucina, la misi sul tavolo. Le tirai giù il reggiseno. Le leccai i capezzoli duri, piccoli, perfetti. Lei mi teneva la testa contro il petto, ansimava.

Poi la spinsi all’indietro. La sua schiena nuda contro il tavolo. Le aprii le gambe e glielo infilai tutto in una sola spinta.

Un colpo secco.

Marta urlò. Di piacere, di sorpresa. Si mordette il dorso della mano per non far rumore.

“Scopami… ti prego… fammi male…”

Iniziai a muovermi dentro di lei con colpi violenti. Le tenevo le caviglie in aria, la figa era calda, zuppa, accogliente.
Le sbattevo il bacino addosso senza pietà, il tavolo scricchiolava. Lei si contorceva sotto di me, con il viso rovesciato e la bocca aperta.

Mi tirai fuori di colpo.

La feci girare, la piegai sul tavolo. Il culo perfetto, alto, stretto.
Lo puntai.

Le entrai nel culo con decisione. Marta urlò di nuovo. Si piegò in avanti, graffiando la superficie del tavolo.

“Mi fai impazzire…” sussurrava. “Non voglio smettere…”

La scopai nel culo per lunghi minuti, con lei che si muoveva a ritmo, senza opporsi, senza paura. Si girava ogni tanto, con gli occhi colmi di voglia, e mi diceva: “Ancora… ancora…”

Quando sentii che stavo per venire, la tirai per i capelli, la buttai a terra in ginocchio.
Lei capì.

Mi prese tutto in bocca. Mi guardava da sotto, con la lingua fuori, la bocca sporca. Mi leccava, mi succhiava con una voracità oscena. Poi mi guardò e disse:
“Vieni dentro la mia bocca. Voglio ingoiarti. Tutto.”

E così feci.

Le presi la testa, la tenni ferma. Sborravo in gola, pulsando, tremando, mentre lei non si muoveva. Mi teneva dentro, ferma, con le labbra chiuse e la lingua sotto al mio cazzo.
Ingoiò tutto.

Quando finii, si staccò piano, leccandosi le labbra.
Poi si alzò, si sistemò il pareo, senza guardarmi.
Si voltò solo sulla porta.

“Non è finita.”

E se ne andò.
di
scritto il
2025-07-24
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