Tour del Piacere: Sara e Angelo tra palco, figa e cazzo

di
genere
esibizionismo

Capitolo 1 – Budapest di vetro

La notte su Budapest era calda e immobile, come sospesa nel desiderio.
Le luci della città rimbalzavano sulle finestre alte della suite.
E in quella stanza, tra il velluto e il respiro, c’eravamo solo noi due.

Lei si girò verso di me, occhi di brace e voce roca:

— “Lecchiamela. Aprimela. E poi distruggimi. Fammi sbattere contro Budapest. Con il culo contro il vetro. Che tutta la città senta le mie urla.”

E così feci.

Le aprii le cosce.
La sua figa era già umida, calda, viva.
La leccai a lungo, lentamente, assaporandola tutta, mentre lei gemeva profondo, le mani aggrappate alle lenzuola come artigli.
Poi scesi ancora. Le aprii il culo con le dita.
Ci passai la lingua.
Lei si piegò, si offrì, ansimava forte.

La sollevai e la sbattei contro il vetro.
I suoi seni si appiattirono sul freddo della vetrata, i capezzoli durissimi, la pelle d’oca ovunque.
Le infilai il cazzo dentro con forza, affondo profondo, deciso.

— “Così! Fammi godere! Spaccami la figa! Voglio sentirtelo in pancia!”

Ogni colpo era una carezza brutale.
Lei venne una volta. Poi ancora.
La figa le tremava attorno al mio cazzo. Io non mi fermavo.

La voltai, la inginocchiai.
Le presi la testa e glielo infilai in bocca.
Lo prese tutto, con fame, con coraggio.
Le sbattevo il cazzo in gola mentre mi guardava.
Finché venni. In bocca. Tutto. Fino all’ultima goccia.

Ci sdraiammo sudati, appiccicati, stremati.

— “Domani il palco,” sussurrò lei.
— “Ma stanotte… è stata solo cazzo, figa e noi.”
— “E il bis… lo faremo in silenzio. Dove nessuno ci vede.”

Sorrisi. Lei era Sara.
Mia moglie. Il mio fuoco. La mia rovina e la mia salvezza.



Capitolo 2 – Il secondo round

Il concerto fu un trionfo.
Sara sul palco era una dea.
Ma solo io sapevo quanto fosse figa, vera, mia.

Dopo lo show, rientrammo nella suite.
Si tolse tutto con lentezza: stivali, pantaloncini, la maglia bagnata di applausi.
Restò nuda, con quel culo rotondo, la figa rasata e lucida, gli occhi accesi.

— “Ho bisogno del tuo cazzo. Ancora.”

Mi baciò. Poi si inginocchiò davanti a me.
Prese il cazzo in bocca con dolcezza. Lo leccava come se lo stesse pregando.
Movimenti lenti, profondi.
— “Mi piace quando non hai fretta.”
— “Perché poi ti scopo meglio.”

Quando salì su di me, si calò con lentezza sulla mia asta dura.
Si muoveva con sensualità, i suoi movimenti erano una danza.
La sua figa mi stringeva perfetta. Il suo culo ondeggiava come un invito.

Poi la stesi a terra. Le aprii le gambe.
Le entrai dentro da sotto, lento, profondo.
— “Voglio guardarti godere.”

E lei venne. Figa stretta, occhi persi, urla spezzate.
Io la seguii poco dopo, venendo dentro di lei, restando unito fino in fondo.

— “Domani un’altra città,” dissi.
— “Ma io sarò ancora in te.”



Capitolo 3 – Varsavia sottopelle

Varsavia ci accolse con freddo fuori e calore dentro.
Sara dominò anche lì.
Dopo il live, bastò uno sguardo.

In camera, la spogliai con gli occhi.
— “Ho la tua sborra ancora dentro,” mi disse.
— “E la tua figa mi manca già,” risposi.

Si abbassò. Me lo prese in bocca.
Le sue labbra morbide, la lingua umida, il ritmo perfetto.
Mi eccitava solo a guardarla.
Poi la sollevai e la posai sulla scrivania.
La figa era gonfia, aperta, bagnata.

La presi lì. Forte. A fondo.
Le gambe sulle mie spalle, il culo che batteva sul legno.
Ogni colpo un colpo di tamburo.

Poi la piegai sul letto.
Le aprii il culo. Le passai la lingua.
Lei ansimava. Si offriva. Me lo chiese.

— “Entrami anche lì. A Varsavia voglio tutto.”

E così fu.
La presi con forza, la figa piena, il culo teso.
Venimmo insieme, urlando. Uniti. Appiccicati.

— “Domani Kiev?”
— “Sì. Ma io voglio solo te.”



Capitolo 4 – Kiev, nel cuore del gelo

Kiev ci aspettava con il vento che tagliava la pelle e un cielo bianco come una promessa.
Ma dentro di noi c’era ancora il fuoco.

Sara era silenziosa durante il soundcheck.
Concentrata, tesa.
Sapevo cosa voleva. Non applausi. Non luci.
Il mio cazzo. La mia bocca. Le mie mani.

Dopo il concerto, l’hotel era gelido. Ma nella stanza, bastò chiudere la porta per accendere l’inferno.

Lei si spogliò subito.
Rimase solo con gli stivali. La figa rasata, già gonfia. Gli occhi accesi.
Si mise a quattro zampe sul letto e mi guardò da dietro.

— “Fammi il culo. Voglio sentirmi Kiev addosso, dentro.”

Mi avvicinai. Le baciai il collo, poi scesi piano.
Le leccai la figa da dietro.
Poi le aprii il culo con calma, e ci passai la lingua.
La sentivo fremere, gemere, spingere indietro.

— “Dammi tutto. Fammi tua. Con la tua bocca. Con il tuo cazzo. Con tutto.”

Le entrai in figa prima, con lentezza.
Poi la presi in culo. Profondo, lento, deciso.
Ogni colpo era un brivido che ci attraversava.
Ogni gemito, una parola d’amore sporca.

Venimmo insieme, ancora.
La bocca di lei sul mio cazzo subito dopo.
Lo succhiava ancora, affamata. Mi finì tra le labbra.
Lo prese tutto. E non lasciò nulla.

Ci sdraiammo. Lei con la testa sul mio petto.
La sua figa umida sulle mie cosce. Il suo culo ancora pulsante.

— “Kiev… sarà difficile da dimenticare,” dissi.
— “Ogni città è un morso in più. Ma io voglio restare segnata. Ovunque. Da te.”

Chiuse gli occhi.
Fuori il gelo.
Dentro, il nostro inferno privato.



Capitolo 5 – Principato di Monaco: Troia in prima fila

Monte Carlo era una vetrina di pelle lucida e denaro sporco.
Limousine, flash, occhi ovunque.
Ma quella sera, nessuno brillava più di Sara.

Il palco era alto, rovente.
Lei salì vestita con un body nero trasparente, capezzoli in evidenza, figa rasata solo velata da un triangolo di tulle.
Tacchi altissimi, sguardo da troia consapevole.

Non cantava: scopava con la voce.
Ogni movimento d’anca era un invito.
Ogni accenno di lingua sulle labbra era una promessa non detta.

— “Questa canzone è per chi mi ha presa tutta. Dentro. In ogni figa, in ogni buco. Per chi mi ha fatto urlare contro Budapest, Varsavia… e stasera contro questo cielo dorato.”

Io la guardavo da dietro il palco.
E mi sentivo esplodere.

Dopo il bis, la presi per mano.
Non tornammo in hotel.
Presi una suite nella torre con vista sul porto.
La buttai sul divano.
Non le tolsi niente. La presi vestita da troia, come era uscita dal palco.

— “Così ti voglio. Ancora calda. Ancora umida. Ancora mia.”

Le aprii le gambe.
La figa colava.
Il cazzo mi pulsava in mano.

Entrai dentro con forza, con rabbia.
Lei urlò. Il suo culo si sollevò, si tese.
Ogni affondo era il seguito perfetto del concerto.
Le strappai via il body, lo strinsi in mano.
Glielo infilai in bocca mentre la scopavo, forte.

— “Succhiati le tue urla, troia mia. Sei perfetta così.”

La girai. Le infilai il cazzo in culo.
Lei si offrì. Spalancata. Desiderosa.

Poi si voltò. Mi prese in bocca.
Senza fiato. Senza limiti.
Si spinse fino in gola.
— “Voglio la tua sborra. Ovunque. Fammela colare addosso.”

Venni. Le riempii
Capitolo 6 – Parigi: Pioggia di piacere

La notte parigina era calda, carica di elettricità.
Il teatro era pieno, l’atmosfera tesa, il pubblico in attesa.

Sara uscì sul palco con un body nero trasparente, niente sotto.
Solo una giacca di pelle aperta che lasciava intravedere i capezzoli duri, la figa rasata lucida di olio, i tacchi altissimi e lo sguardo sfacciato da troia consapevole.

Non cantava, gemeva in sincronia con la musica.
Ogni movimento di bacino era una promessa.
Le mani tra le gambe, il petto alto, i capelli sciolti sulle spalle.

— “Parigi, siete pronti a farmi venire?” sussurrò, con voce roca.

Il pubblico urlò.
Lei si stese su un divano al centro del palco, aprì le gambe e si mostrò senza veli.

Io uscii dall’ombra.

Leccai la sua figa bagnata davanti a tutti, assaporandola lenta e profonda.
Lei gemeva forte, il corpo teso e offerto come un rito sacro.
Poi la presi, la sbattei dolcemente contro il divano, le infilai il cazzo dentro con forza, ogni colpo scandiva il ritmo di una pioggia di piacere.

Lei squirtò davanti a migliaia di occhi, senza vergogna, con orgoglio e voglia.
Gli applausi esplosero mentre lei veniva, urlava, si contorceva.

Poi la voltai, la inginocchiai, le infilai il cazzo in bocca.
Lo prese tutto, lo succhiò fino all’ultima goccia, poi si rialzò, sorridendo come una regina.

— “Parigi… ora siete dentro di me.”

Dietro le quinte, ci abbracciammo, sudati e complici.

— “Domani Marsiglia. Dove chiuderemo il tour,” sussurrai.
— “E chiuderemo in bellezza,” rispose lei, occhi pieni di fuoco.
Capitolo 7 – Marsiglia: Il finale del tour e la scopata epocale

Il cielo di Marsiglia era un dipinto di stelle e salsedine, e noi eravamo lì, a pochi passi dal mare, pronti a chiudere il tour con un’ultima notte di fuoco.

Salimmo sul tetto dell’hotel, il vento che accarezzava la pelle nuda di Sara, il suo corpo lucido sotto la luna piena.
Lei si inginocchiò sulle tegole, offrendomi il suo culo teso e caldo, la figa già umida che pregava il mio tocco.

Le leccai il buco con lentezza e devozione, aprendo quella porta segreta del piacere che solo lei mi sapeva donare.
Poi infilai il cazzo nel suo culo, piano all’inizio, fino a entrare completamente, sentendo il suo corpo che si apriva e si offriva senza riserve.

Ogni colpo era un richiamo, un urlo silenzioso contro il cielo notturno.
Lei gemeva forte, le mani strette sul bordo del tetto, il respiro affannato e il cuore che batteva in sintonia col mio.

La girai, le aprii le gambe larghe, e le entrai in figa con forza, sentendo il suo calore avvolgermi completamente.
Lei urlava, si contorceva, faceva tremare tutto, una tempesta di piacere e voglia senza freni.

Poi si inginocchiò di nuovo, prese il mio cazzo in bocca con fame, succhiandolo fino all’ultima goccia, mentre io le battevo il culo con furia.

Venimmo insieme, in un’esplosione di gemiti, sborra e sudore.
Il suo corpo si rilassò, appoggiato al mio petto, mentre guardavamo la luna.

— “Questo è il nostro finale,” disse lei.
— “Ma anche il nostro inizio.”

Sorrisi.
Perché con Sara, ogni notte è un tour infinito di passione.



Capitolo 8 – Nizza: Più troia, più vita

A Nizza il caldo era opprimente, ma Sara ardeva ancora di più.
Il suo corpo era cambiato, e io lo sapevo bene: era incinta.
La sua pancia rotonda era il segno della nostra unione, del nostro amore e del desiderio che non si era mai spento.

Sul palco era più troia che mai, più selvaggia, più consapevole.
Le dita tra le gambe sfioravano il ventre mentre cantava, le labbra umide e il sudore sulla pelle.
Il pubblico non sapeva, ma io sì: quella pancia era la prova che eravamo noi, più uniti e carnali che mai.

Dopo il concerto, la presi tra le braccia in camerino.
Le baciai la pancia, poi scesi lentamente.
Leccai la figa gonfia e umida, sentendo il battito del nostro futuro in ogni sua vibrazione.

Lei gemeva, si contorceva, voleva più.

Le infilai il cazzo piano, per non farle male, ma con tutta la voglia e la fame che avevo.
Sentivo il suo corpo caldo, la sua voglia, il suo amore.

— “Più troia che mai,” sussurrò con un sorriso malizioso.
— “E sarò così, finché non nascerà il nostro bambino.”

Venimmo insieme, il piacere che si mescolava all’emozione, al sogno, alla vita.

— “Questo tour non finirà mai,” dissi, accarezzandole il ventre.
— “No,” rispose lei.
— “Perché ora siamo più forti. Più noi.”
scritto il
2025-07-10
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