“Morire nella sua figa”
di
Angelo B
genere
sentimentali
Morire nella sua figa”
Una giornata senza ritorno con Lidia, la vicina insaziabile
Parte 1 – L’inizio del vizio
Il cancello cigolò piano mentre uscivo in veranda con il caffè bollente. La mattina era appena cominciata, ma il mio cazxo era già mezzo sveglio. Bastava poco, da quando lei si era trasferita lì accanto.
Lidia.
Cinquant’anni, minigonne che scoprivano più di quanto coprissero, canottiere senza reggiseno, capezzoli sempre accesi. Il marito elettricista? Mai a casa. Lei invece, sempre pronta a farsi vedere. O a farsi prendere.
«Ciao Angelo… stamattina fa caldo, eh?» disse, mentre stendeva il bucato con il culo all’insù.
Avevo sessant’anni e un cazxo che non sapeva stare fermo. Posai la tazzina e mi avvicinai.
«Sei sempre così… pronto?» mi chiese.
«Solo con te, Lidia.»
Entrò in casa senza dire altro. Appena dentro, si inginocchiò. Mi abbassò i pantaloni e cominciò a succhiarmelo. Senza fretta, senza vergogna. Sputava, leccava, gemeva.
«Mi fai impazzire… questo cazxo è una droga» sussurrò.
Quando venni, non le dissi nulla. Lei ingoiò tutto.
Mi guardò negli occhi.
«Domani? Mio marito non c’è. Prepara quel cazxo, perché questa figa non si sazia mai.»
Parte 2 – La fame non dorme mai
Non era passata nemmeno un’ora quando bussò di nuovo. Stessa minigonna. Nessuna canottiera. Solo un reggiseno di pizzo trasparente.
«Pensavi bastasse stamattina?» disse, guardando il cazxo già gonfio sotto i pantaloni.
«Tu sei una condanna, Lidia.»
Mi prese la mano, si voltò, si alzò la minigonna. La figa era già bagnata. Glielo infilai piano, ma lei spinse indietro con forza.
«Più forte. Fottimi come se fossi l’unica figa rimasta al mondo.»
La presi sul tavolo della cucina. Poi sul pavimento. Poi in piedi, con la schiena al muro.
Scoparla era come precipitare in un pozzo di piacere. Le sue urla erano miele e veleno.
«Ogni buco è tuo. Ogni gemito. Ogni goccia di me» sibilava mentre tremava tra le mie mani.
Parte 3 – Una giornata senza pietà
Ore 8:12
Mi svegliai col cazxo duro e il ricordo del suo culo nella mente. Bussò poco dopo. Nuda sotto la vestaglia, con una tazzina in mano.
«Voglio il tuo buongiorno… dentro.»
Mi scopò in piedi, contro la porta. Poi mi succhiò sul divano. Poi si fece prendere in doccia, offrendomi il culo.
«Spingi. Spaccami. Riempimi.»
E io lo feci. Con tutta la forza che avevo.
Ore 15:20
Distesi sul letto, le mani intrecciate.
«Sai che oggi potremmo anche morire?» le dissi.
Lei rise. «Allora fammi venire per l’ultima volta.»
La cavalcata fu un terremoto. Si piegò, tremò, mi graffiò, mi urlò contro. Il mio cazxo si perse nella sua figa. Di nuovo.
Parte 4 – Non ci sarà un domani
«Angelo… scopami come se non ci fosse un domani.»
Le parole uscirono dalla sua bocca come una preghiera maledetta.
Le aprii le gambe. Le entrai dentro piano. Ogni spinta era più profonda. Il cuore batteva forte. Troppo.
«Sto venendo… vieni anche tu… fammi esplodere…»
E esplodemmo.
Poi il buio.
Mi trovò con il viso sul suo seno. Il cazxo ancora dentro. Il cuore fermo.
Lidia pianse. Non urlò. Non chiamò aiuto.
Si rivestì lentamente. Si chiuse la porta alle spalle.
Sulla mia tomba, solo una frase:
“Qui giace Angelo. È morto dove ha vissuto: dentro una figa affamata.”
FINE
Una giornata senza ritorno con Lidia, la vicina insaziabile
Parte 1 – L’inizio del vizio
Il cancello cigolò piano mentre uscivo in veranda con il caffè bollente. La mattina era appena cominciata, ma il mio cazxo era già mezzo sveglio. Bastava poco, da quando lei si era trasferita lì accanto.
Lidia.
Cinquant’anni, minigonne che scoprivano più di quanto coprissero, canottiere senza reggiseno, capezzoli sempre accesi. Il marito elettricista? Mai a casa. Lei invece, sempre pronta a farsi vedere. O a farsi prendere.
«Ciao Angelo… stamattina fa caldo, eh?» disse, mentre stendeva il bucato con il culo all’insù.
Avevo sessant’anni e un cazxo che non sapeva stare fermo. Posai la tazzina e mi avvicinai.
«Sei sempre così… pronto?» mi chiese.
«Solo con te, Lidia.»
Entrò in casa senza dire altro. Appena dentro, si inginocchiò. Mi abbassò i pantaloni e cominciò a succhiarmelo. Senza fretta, senza vergogna. Sputava, leccava, gemeva.
«Mi fai impazzire… questo cazxo è una droga» sussurrò.
Quando venni, non le dissi nulla. Lei ingoiò tutto.
Mi guardò negli occhi.
«Domani? Mio marito non c’è. Prepara quel cazxo, perché questa figa non si sazia mai.»
Parte 2 – La fame non dorme mai
Non era passata nemmeno un’ora quando bussò di nuovo. Stessa minigonna. Nessuna canottiera. Solo un reggiseno di pizzo trasparente.
«Pensavi bastasse stamattina?» disse, guardando il cazxo già gonfio sotto i pantaloni.
«Tu sei una condanna, Lidia.»
Mi prese la mano, si voltò, si alzò la minigonna. La figa era già bagnata. Glielo infilai piano, ma lei spinse indietro con forza.
«Più forte. Fottimi come se fossi l’unica figa rimasta al mondo.»
La presi sul tavolo della cucina. Poi sul pavimento. Poi in piedi, con la schiena al muro.
Scoparla era come precipitare in un pozzo di piacere. Le sue urla erano miele e veleno.
«Ogni buco è tuo. Ogni gemito. Ogni goccia di me» sibilava mentre tremava tra le mie mani.
Parte 3 – Una giornata senza pietà
Ore 8:12
Mi svegliai col cazxo duro e il ricordo del suo culo nella mente. Bussò poco dopo. Nuda sotto la vestaglia, con una tazzina in mano.
«Voglio il tuo buongiorno… dentro.»
Mi scopò in piedi, contro la porta. Poi mi succhiò sul divano. Poi si fece prendere in doccia, offrendomi il culo.
«Spingi. Spaccami. Riempimi.»
E io lo feci. Con tutta la forza che avevo.
Ore 15:20
Distesi sul letto, le mani intrecciate.
«Sai che oggi potremmo anche morire?» le dissi.
Lei rise. «Allora fammi venire per l’ultima volta.»
La cavalcata fu un terremoto. Si piegò, tremò, mi graffiò, mi urlò contro. Il mio cazxo si perse nella sua figa. Di nuovo.
Parte 4 – Non ci sarà un domani
«Angelo… scopami come se non ci fosse un domani.»
Le parole uscirono dalla sua bocca come una preghiera maledetta.
Le aprii le gambe. Le entrai dentro piano. Ogni spinta era più profonda. Il cuore batteva forte. Troppo.
«Sto venendo… vieni anche tu… fammi esplodere…»
E esplodemmo.
Poi il buio.
Mi trovò con il viso sul suo seno. Il cazxo ancora dentro. Il cuore fermo.
Lidia pianse. Non urlò. Non chiamò aiuto.
Si rivestì lentamente. Si chiuse la porta alle spalle.
Sulla mia tomba, solo una frase:
“Qui giace Angelo. È morto dove ha vissuto: dentro una figa affamata.”
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