La chiave di Laura

di
genere
corna

PREFEZIONE

Certe chiavi aprono solo una porta.

Una volta varcata, non torni indietro.
Non puoi.
Non vuoi.
Perché dentro c’è qualcosa che ti mangia vivo,
ma ti fa sentire finalmente vero.

Lei era la porta.
Io la chiave.
E la sua figa, la serratura più malata del mondo.



PARTE I – L’INIZIO

Ore 21:08.

Mi scrive:

“Vieni. Porta il cazzo duro. Il marito è sul divano. Non parlare.”

Non ho risposto.
Ho solo preso le chiavi di casa.
Il portone era aperto.
La porta di casa sua socchiusa.
Dentro, la luce della TV tremolava sul muro.

Lui era lì.
In salotto.
Cuffie nelle orecchie. Occhi fissi su un film d’azione.

E Laura, la troia più malata del mondo, mi aspettava in cucina.
A piedi nudi. Senza mutande.
Vestita solo con la sua vestaglia da casa, aperta sul davanti.

Appena mi vide, si inginocchiò.
Senza una parola.
Mi abbassò i pantaloni, mi prese in bocca con foga assassina,
ingoiandomi senza fiato, senza rispetto, come se avesse fame solo di me.

Sopra di noi, si sentiva il volume del film.

— Se fa rumore, mi fermi. Ma devi venirmi dentro. Capito? Mi stai sentendo? Mi devi riempire. Dentro. Voglio andare a dormire con la tua sborra addosso.

Mi guidò in camera da letto.
Ma non chiuse la porta.
Si sdraiò a pancia in giù, tirò su il culo e lo aprì con le mani:

— Scegli tu: figa o culo. Basta che mi spacchi.

Scelsi entrambi.

Cominciai con la figa.
Calda. Fradicia. Succhiosa.
La prendeva come una drogata. Si mordeva le lenzuola.
Mi graffiava le gambe.

Ma quando infilai un dito nel culo, godette di colpo.
Urlò piano. Un suono spezzato.

— Più forte… Se ci scopre… voglio che ci trovi così… col tuo cazzo nel mio culo.

Le sputai addosso.
Le presi la testa, gliela schiacciai sul materasso.
E glielo ficcai nel culo con un colpo secco.

Il respiro le si fermò.
Si sollevò di scatto, poi si piegò come una bestia impalata.

— Dio! Così! Fammi la troia, sfondami… e fammi godere!

I colpi erano pazzi.
Violenti.
Il mio bacino esplodeva contro il suo culo.
Sbattevo le palle contro la sua figa gocciolante.
Ogni botta era un peccato gridato nel silenzio.

A un certo punto la porta si è socchiusa.
Era il marito?
Non lo so.
Laura non smise.
Anzi. Strinse le chiappe.
Come a dire: “Vieni. Vieni adesso. Riempimi.”

E io lo feci.
Le venni dentro. Nel culo.
Spingendo forte.
Tenendole la bocca chiusa con la mano.
Mentre lei tremava, bagnava il letto, godeva come una condannata.



PARTE II – PECCATO CONSUMATO

Poi si alzò.
Si infilò le mutandine.
Si sedette sul bordo del letto e sussurrò:

— Domani farò colazione con lui, col tuo sperma che mi cola ancora dal culo.

Ti guardò.
E disse:

— Sei la mia rovina. Ma anche la mia verità. Torna quando vuoi. La mia figa non mente.



PARTE III – IL RITORNO

Ore 02:49.

Citofono.
Una sola parola:

“Vieni.”

Salgo.
Trovo la porta già aperta.
Laura è in ginocchio nel corridoio.
Un plug rosa nel culo.
Nuda. In silenzio.

Sul muro ha scritto col rossetto:
“Scopami davanti a lui.”

Passiamo accanto al marito.
Dormiva sul divano.
La TV accesa. Rumore bianco.

In camera, Laura si sdraia di schiena.
Mi infila il cazzo in bocca come fosse un dovere.
Poi si gira, spalanca il culo, e mi dice:

— “Voglio svenire mentre mi vieni dentro.”

E io lo faccio.
Lenta.
Poi sempre più forte.
Fino a spegnerle la voce con la mia mano.
Fino a non distinguere il suo respiro dai suoi gemiti.

Viene tre volte.
Si bagna tutta.
Mi supplica:

— “Scopami anche se dormo. Tienimi tua, sempre.”

La marchio con la mia sborra sulla schiena.
Scrivo il mio nome con le dita.
Poi sparisco.



PARTE IV – ESTREMO

Ore 03:12.

Mi arriva un video.
È Laura.
Nuda, inginocchiata in soggiorno.
Con un guinzaglio al collo.
In mano, la sua ciotola del gatto.

“Stasera mi servi a terra. Vieni, padrone. Portami come vuoi.”

Entro.
La trovo lì.
A quattro zampe.
Con un plug a forma di cuore nel culo.
E una parola scritta sul ventre:
PUTTANA TUA.

Mi porge una pallina trasparente.

— “È la tua sborra di ieri. L’ho tenuta dentro tutta la giornata. Ora rimettila.”

Lo faccio.
Gliela spingo dentro.
Poi le levo il guinzaglio e glielo lego alle caviglie.
Le infilo due dita in gola e sussurro:

— “Adesso implori, cagna.”

Mi scopa con il culo.
Mi lecca le scarpe.
Mi prende in bocca e geme:

— “Vieni nei miei occhi. Fammi cieca di te.”

Glielo sparo in faccia.
Le inondo la lingua.
Poi la riempio di nuovo.

Lei cade a terra.
Ride.
È finita.

— “Basta. Mi hai svuotata. Sono tua. Completamente.”



EPILOGO – LA FINE DI LAURA

Laura non esiste più.
Solo la cosa che apre la porta quando arrivo.
Che aspetta.
Che implora.
Che vive solo per essere riempita.

Un giorno sparirò.
Le lascerò solo la chiave.
Un dildo col mio nome.
E l’odore della mia ultima venuta, sotto la lingua.

Lei capirà.
Si sdraierà nel letto, da sola.
E aspetterà.

Con la bocca aperta.
Come le troie vere.
scritto il
2025-06-09
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