La cameriera Bernardet e il Lago d’Orta del Piacere
di
Angelo B
genere
prime esperienze
Prefazione – La bocca della belva
Avevo diciannove anni.
E non avevo paura di nulla.
Nemmeno di lui.
Antony.
Sessanta anni, barba bianca, mani grandi come pale, odore di cuoio, fumo e sperma.
Arrivò in motoscafo privato, sigaro in bocca, sguardo da lupo. Nessuno voleva servirlo.
Tutti lo temevano.
Io… lo volevo dentro.
⸻
Il Racconto – Piacere come veleno
Quando lo accompagnai alla suite 12, mi guardò dall’alto in basso. Mi spogliava con gli occhi.
«Hai l’età di mia nipote», disse, fissandomi il seno sotto la camicetta attillata.
Io non distolsi lo sguardo. Gli risposi solo:
«E io voglio sentire cosa ti fai con tua nipote nella testa.»
Bum.
Scattò.
Mi prese per il collo.
Mi sbatté contro la parete della camera, la mano sulla gola, le dita nella bocca.
«Porca… dici queste cose e poi tremi. Ti faccio venire come non sei mai venuta, ragazzina. Ti apro tutta.»
Mi squarciò la camicetta. Il reggiseno volò. Il suo volto si schiacciò sui miei capezzoli, li succhiava come un cane rabbioso.
Mi sollevò e mi portò in bagno.
Mi fece inginocchiare sul marmo.
Lo tirò fuori. Enorme. Pesante. Osceno.
Aveva vene e odore di maschio vissuto.
«Ingoia. Tutto.»
Lo presi in bocca, a fatica. Mi scopava la gola, tenendomi per i capelli, fino alle lacrime. Tossivo, sbavavo, gemevo. Lui godeva del mio soffocamento.
Poi si tirò fuori. Mi sputò in faccia.
E mi disse:
«Ora spalanca le gambe, piccola puttanella del lago.»
Mi sdraiò sulla panca del bagno. Mi slappò la figa con la lingua. Ruvida, profonda. Mi apriva come una ferita.
«Ti sta colando il succo, lo senti?»
Lo sentivo. Bruciavo. Gli tremavo in bocca.
Mi venne dentro con la lingua e con le dita.
Mi stavo già sciogliendo. Ma lui non aveva nemmeno iniziato.
Mi portò in camera, mi fece salire a cavalcioni.
Mi penetrò in un colpo solo.
Crudo. Senza niente. Solo cazzo e carne.
Mi spaccava dentro.
Mi urlava in faccia:
«Così si inculano le troiette giovani. Dimmi che sei la mia puttana personale!»
«Lo sono! La tua puttana! La tua bambola sporca!»
Ogni colpo era una sberla all’anima.
Mi venne dentro una prima volta. Non si fermò. Continuò. Duro. Pieno. Impossibile.
La sua esperienza, la sua forza, il suo desiderio di devastare una diciannovenne tutta bagnata solo per lui…
Mi venne addosso. Di nuovo. E poi ancora.
Tre volte. Tre esplosioni. Tutto dentro.
Mi lasciò tremante, con la figa aperta, gonfia, grondante di lui.
Mi guardò.
«Brava. Non sei più una cameriera. Sei la mia piccola puttana d’Orta. Ti voglio così ogni volta. Aperta. Senza regole.»
⸻
Epilogo – La puttana del lago
Mi lasciò nuda, sporca del suo seme, gambe ancora tremanti.
Ma io lo seguii fuori sul pontile, a piedi nudi.
Mi inginocchiai sul legno bagnato.
Gli tirai giù di nuovo la zip.
E lo succhiai mentre guardava il lago.
Venimmo entrambi un’ultima volta.
Io sulla lingua.
Lui in gola.
Poi disse:
«Ora sei mia. Ogni estate. Ogni volta che voglio. Niente amore, Bernardet. Solo voglia. Solo piacere.»
E io, con la bocca ancora piena, annuii.
Fiera.
Usata.
Felice.
Avevo diciannove anni.
E non avevo paura di nulla.
Nemmeno di lui.
Antony.
Sessanta anni, barba bianca, mani grandi come pale, odore di cuoio, fumo e sperma.
Arrivò in motoscafo privato, sigaro in bocca, sguardo da lupo. Nessuno voleva servirlo.
Tutti lo temevano.
Io… lo volevo dentro.
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Il Racconto – Piacere come veleno
Quando lo accompagnai alla suite 12, mi guardò dall’alto in basso. Mi spogliava con gli occhi.
«Hai l’età di mia nipote», disse, fissandomi il seno sotto la camicetta attillata.
Io non distolsi lo sguardo. Gli risposi solo:
«E io voglio sentire cosa ti fai con tua nipote nella testa.»
Bum.
Scattò.
Mi prese per il collo.
Mi sbatté contro la parete della camera, la mano sulla gola, le dita nella bocca.
«Porca… dici queste cose e poi tremi. Ti faccio venire come non sei mai venuta, ragazzina. Ti apro tutta.»
Mi squarciò la camicetta. Il reggiseno volò. Il suo volto si schiacciò sui miei capezzoli, li succhiava come un cane rabbioso.
Mi sollevò e mi portò in bagno.
Mi fece inginocchiare sul marmo.
Lo tirò fuori. Enorme. Pesante. Osceno.
Aveva vene e odore di maschio vissuto.
«Ingoia. Tutto.»
Lo presi in bocca, a fatica. Mi scopava la gola, tenendomi per i capelli, fino alle lacrime. Tossivo, sbavavo, gemevo. Lui godeva del mio soffocamento.
Poi si tirò fuori. Mi sputò in faccia.
E mi disse:
«Ora spalanca le gambe, piccola puttanella del lago.»
Mi sdraiò sulla panca del bagno. Mi slappò la figa con la lingua. Ruvida, profonda. Mi apriva come una ferita.
«Ti sta colando il succo, lo senti?»
Lo sentivo. Bruciavo. Gli tremavo in bocca.
Mi venne dentro con la lingua e con le dita.
Mi stavo già sciogliendo. Ma lui non aveva nemmeno iniziato.
Mi portò in camera, mi fece salire a cavalcioni.
Mi penetrò in un colpo solo.
Crudo. Senza niente. Solo cazzo e carne.
Mi spaccava dentro.
Mi urlava in faccia:
«Così si inculano le troiette giovani. Dimmi che sei la mia puttana personale!»
«Lo sono! La tua puttana! La tua bambola sporca!»
Ogni colpo era una sberla all’anima.
Mi venne dentro una prima volta. Non si fermò. Continuò. Duro. Pieno. Impossibile.
La sua esperienza, la sua forza, il suo desiderio di devastare una diciannovenne tutta bagnata solo per lui…
Mi venne addosso. Di nuovo. E poi ancora.
Tre volte. Tre esplosioni. Tutto dentro.
Mi lasciò tremante, con la figa aperta, gonfia, grondante di lui.
Mi guardò.
«Brava. Non sei più una cameriera. Sei la mia piccola puttana d’Orta. Ti voglio così ogni volta. Aperta. Senza regole.»
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Epilogo – La puttana del lago
Mi lasciò nuda, sporca del suo seme, gambe ancora tremanti.
Ma io lo seguii fuori sul pontile, a piedi nudi.
Mi inginocchiai sul legno bagnato.
Gli tirai giù di nuovo la zip.
E lo succhiai mentre guardava il lago.
Venimmo entrambi un’ultima volta.
Io sulla lingua.
Lui in gola.
Poi disse:
«Ora sei mia. Ogni estate. Ogni volta che voglio. Niente amore, Bernardet. Solo voglia. Solo piacere.»
E io, con la bocca ancora piena, annuii.
Fiera.
Usata.
Felice.
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