La notte che immaginai di scopare Belen – Il sogno proibito
di
Angelo B
genere
confessioni
Prefazione
Ci sono fantasie che restano lì, nascoste tra i pensieri quotidiani, pronte a riemergere quando cala il silenzio. Alcune nascono dal nulla, altre da un volto preciso, da un corpo che ha segnato l’immaginario collettivo. Per me, quella figura ha sempre avuto un nome: Belen. Non era solo la sua bellezza, ma il modo in cui si muoveva, il modo in cui guardava, come se sapesse tutto ciò che un uomo può desiderare.
Quella notte, in un sogno che pareva troppo vivido per essere finto, la immaginai come mia. Ma non solo mia: sottomessa, libera, esplosa nel piacere. E io con lei, dominato e dominante. Un viaggio nei sensi da cui non volevo più svegliarmi.
⸻
Il sogno
Era una notte di vento caldo, in una villa affacciata sul mare. Le tende bianche ondeggiavano come veli su corpi nudi. Tutto era in penombra, ma il suo profumo era chiaro, familiare, inebriante.
Belen era lì. Nuda sotto un kimono di seta nero che lasciava intravedere curve da adorare. Si muoveva lenta, come se sapesse già tutto.
Mi guardò, inclinando appena la testa.
«Mi vuoi davvero? O vuoi solo provarmi?»
La voce era roca, bassa, fatta per comandare e arrendersi allo stesso tempo.
Le andai incontro. Le slacciai il kimono, lasciando che scivolasse sulle sue spalle. Il suo corpo apparve come un’opera sacra e carnale. Seno pieno, ventre scolpito, cosce forti e morbide. Era bellezza, erotismo, potere. E io ero pronto a inchinarmi.
Le presi il volto fra le mani, e le baciai la bocca con fame. Lei rispose col corpo, premendo il bacino contro il mio. Le mani mi slacciarono i pantaloni con urgenza, con voglia.
«Fammi tua», mi sussurrò, «ma non avere pietà.»
La presi in braccio e la stesi sul tavolo della sala. Le gambe si aprirono accogliendomi, il suo respiro accelerava come se fosse già a metà strada verso l’abisso del piacere. La penetrai con lentezza all’inizio, sentendo ogni millimetro del suo calore, poi con sempre più forza.
La sua bocca gemeva parole sporche, piene di desiderio. Mi graffiava le spalle, mi stringeva dentro, mi guidava e si lasciava guidare.
La voltai, inginocchiandola sul divano. Il suo lato B era perfetto, rotondo, sodo. Lo accarezzai, lo baciai, poi lo presi. Lei urlò il mio nome, perdendosi. La presi da dietro mentre il suo corpo tremava sotto di me, i capelli che le cadevano sul volto, il culo che tornava indietro ad ogni colpo.
Finimmo sdraiati a terra, sudati, esausti, appiccicati l’uno all’altra come se la pelle non volesse più separarsi.
Ci guardammo, occhi negli occhi.
«E ora?» chiesi.
«Ora mi sognerai ancora», disse lei, «ma sarà sempre peggio. Perché ti mancherà.»
⸻
Epilogo
Mi svegliai di colpo. Il cuscino bagnato di sudore. Il battito a mille.
Il sole iniziava a filtrare dalla finestra.
Ma dentro di me c’era ancora il suo odore. Le sue parole. Il suo corpo.
E quella voglia.
Quella voglia che non passa.
Quella voglia che ti condanna.
Perché la notte che ho immaginato di scopare Belen…
…non fu un sogno. Fu una dipendenza.
Ci sono fantasie che restano lì, nascoste tra i pensieri quotidiani, pronte a riemergere quando cala il silenzio. Alcune nascono dal nulla, altre da un volto preciso, da un corpo che ha segnato l’immaginario collettivo. Per me, quella figura ha sempre avuto un nome: Belen. Non era solo la sua bellezza, ma il modo in cui si muoveva, il modo in cui guardava, come se sapesse tutto ciò che un uomo può desiderare.
Quella notte, in un sogno che pareva troppo vivido per essere finto, la immaginai come mia. Ma non solo mia: sottomessa, libera, esplosa nel piacere. E io con lei, dominato e dominante. Un viaggio nei sensi da cui non volevo più svegliarmi.
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Il sogno
Era una notte di vento caldo, in una villa affacciata sul mare. Le tende bianche ondeggiavano come veli su corpi nudi. Tutto era in penombra, ma il suo profumo era chiaro, familiare, inebriante.
Belen era lì. Nuda sotto un kimono di seta nero che lasciava intravedere curve da adorare. Si muoveva lenta, come se sapesse già tutto.
Mi guardò, inclinando appena la testa.
«Mi vuoi davvero? O vuoi solo provarmi?»
La voce era roca, bassa, fatta per comandare e arrendersi allo stesso tempo.
Le andai incontro. Le slacciai il kimono, lasciando che scivolasse sulle sue spalle. Il suo corpo apparve come un’opera sacra e carnale. Seno pieno, ventre scolpito, cosce forti e morbide. Era bellezza, erotismo, potere. E io ero pronto a inchinarmi.
Le presi il volto fra le mani, e le baciai la bocca con fame. Lei rispose col corpo, premendo il bacino contro il mio. Le mani mi slacciarono i pantaloni con urgenza, con voglia.
«Fammi tua», mi sussurrò, «ma non avere pietà.»
La presi in braccio e la stesi sul tavolo della sala. Le gambe si aprirono accogliendomi, il suo respiro accelerava come se fosse già a metà strada verso l’abisso del piacere. La penetrai con lentezza all’inizio, sentendo ogni millimetro del suo calore, poi con sempre più forza.
La sua bocca gemeva parole sporche, piene di desiderio. Mi graffiava le spalle, mi stringeva dentro, mi guidava e si lasciava guidare.
La voltai, inginocchiandola sul divano. Il suo lato B era perfetto, rotondo, sodo. Lo accarezzai, lo baciai, poi lo presi. Lei urlò il mio nome, perdendosi. La presi da dietro mentre il suo corpo tremava sotto di me, i capelli che le cadevano sul volto, il culo che tornava indietro ad ogni colpo.
Finimmo sdraiati a terra, sudati, esausti, appiccicati l’uno all’altra come se la pelle non volesse più separarsi.
Ci guardammo, occhi negli occhi.
«E ora?» chiesi.
«Ora mi sognerai ancora», disse lei, «ma sarà sempre peggio. Perché ti mancherà.»
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Epilogo
Mi svegliai di colpo. Il cuscino bagnato di sudore. Il battito a mille.
Il sole iniziava a filtrare dalla finestra.
Ma dentro di me c’era ancora il suo odore. Le sue parole. Il suo corpo.
E quella voglia.
Quella voglia che non passa.
Quella voglia che ti condanna.
Perché la notte che ho immaginato di scopare Belen…
…non fu un sogno. Fu una dipendenza.
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