Samira – L’appetito non ha fedeltà
di
Angelo B
genere
tradimenti
Mi chiamo Samira. Ho ventisette anni, un matrimonio perfetto e un marito che mi adora: Kent. È l’uomo ideale. Mi guarda come se fossi la sua regina, mi accarezza come se avesse paura di rompermi, mi ama con una devozione che commuoverebbe chiunque.
Ma io… io non sono fatta per la perfezione.
C’è qualcosa dentro di me che brucia, un’energia costante, una fame che si muove sotto la pelle e non si spegne mai. È lì, silenziosa, ma pronta ad esplodere. Anche quando Kent mi stringe e mi ama, anche quando fa tutto nel modo giusto… io voglio di più. Desidero altro.
Non è colpa sua. Sono io. La mia natura. Sono fatta di impulsi, di sguardi trattenuti, di fantasie taciute. E quando Noah entrò nella nostra vita, tutto diventò più chiaro.
Era il nuovo collega di Kent. Venne a cena da noi, una sera qualsiasi. Ma bastò uno sguardo per capire. Era più giovane, più sicuro, più diretto. I suoi occhi mi percorsero lentamente, con attenzione chirurgica: il collo, la scollatura, le gambe accavallate. Ogni suo sguardo era una carezza che non osava diventare gesto. Non ancora.
Durante la cena, mentre Kent parlava, io e Noah giocavamo a un gioco muto. Il modo in cui mi passava il vino, come sfiorava le mie dita di proposito, la lentezza con cui mi guardava bere… Tutto era un messaggio. Tutto era un invito.
Quando Kent uscì per una telefonata, Noah si avvicinò. Il suo sussurro mi scivolò dentro come un serpente caldo:
— Hai una fame che si sente a metri di distanza.
— E tu pensi di poterla saziarmi? — sussurrai, senza guardarlo.
— Io penso che tu stia solo aspettando qualcuno che abbia il coraggio di farlo.
Non aggiunse altro. Ma quella notte, nel letto accanto a Kent, io non dormii. Avevo le mani tra le cosce e la mente altrove. Non pensavo più. Sognavo. Di lui. Del suo corpo. Di quello che avrebbe potuto farmi, se solo avesse avuto il permesso.
E quel permesso, glielo diedi io. Qualche sera dopo.
Kent era fuori per lavoro. La casa era vuota, silenziosa. Indossai solo una vestaglia leggera di seta nera, senza niente sotto. Lasciva. Invitante. Sapevo che Noah sarebbe passato “per lavoro”. E io ero pronta.
Quando aprii la porta, lui non disse nulla. Mi guardò. Il suo sguardo era già possesso. Entrò, chiuse la porta lentamente, come se avesse già vinto.
Mi prese al collo e mi baciò con forza, senza preamboli. Le sue mani mi aprirono la vestaglia e mi sollevarono come una piuma. Il tavolo della cucina fu il nostro altare. Le sue labbra percorsero ogni curva, le mani affondarono nei fianchi, nelle cosce, nei capelli. Mi strinse, mi divorò.
I miei gemiti si persero tra le pareti. Il mio corpo si muoveva con lui, come se non aspettasse altro. La mia pelle ardeva, le gambe tremavano, il piacere saliva con una violenza che mi fece perdere ogni freno. Lo volevo. Ovunque. In tutti i modi.
Quando tutto finì, rimasi stesa sul tavolo, ancora aperta, sudata, con il battito impazzito. Non mi sentivo in colpa. Mi sentivo finalmente viva.
⸻
Ma il vero colpo di scena arrivò una settimana dopo.
Tornai a casa, aprii la porta… e li trovai entrambi. Kent e Noah. Seduti in salotto. Silenziosi.
— Lo so da tempo, Samira — disse Kent, guardandomi negli occhi. — L’ho visto nei tuoi occhi, sulla tua pelle. Ma ora… voglio vedere tutto. Voglio sapere fin dove sei capace di arrivare.
Noah si alzò. Mi guardava con quel sorriso sporco che conoscevo ormai bene. Il silenzio era denso. Io non dissi nulla. Solo mi tolsi lentamente la camicetta. Poi i pantaloni. Rimasi nuda. Offerta. Vera.
Kent non si voltò. Mi guardava come se fosse la prima volta.
E io, in quel momento, ero nuda per entrambi.
Noah si avvicinò. Le sue mani tornarono su di me. Ma stavolta, Kent restava lì. E mi osservava. E respirava. E desiderava.
Mi spogliarono di tutto, anche dell’ultimo pudore. Le loro mani mi attraversavano, le bocche si alternavano, i corpi mi stringevano. Mi prendevano. Mi godevano. Mi vivevano.
Io non ero più solo moglie. Ero Samira. Fatta di desiderio, senza filtri, senza vergogna.
⸻
E fu lì, nel momento più acceso, che accadde quello che tutti avevano sempre sognato, ma che io avevo sempre negato.
Noah si fermò un istante. Mi prese per i fianchi. Mi guardò negli occhi.
— C’è una cosa che ancora non abbiamo avuto — disse con voce roca.
Kent lo capì subito. Era evidente.
— Il tuo segreto — sussurrò. — Il tuo lato più desiderato.
Il mio lato B.
Sempre provocato. Sempre mostrato tra vestiti stretti, gonne alte, camminate lente. Ma mai… concesso.
Tutti l’avevano sognato. Nessuno lo aveva avuto. Fino ad allora.
Mi voltai lentamente. E senza dire una parola, mi piegai in avanti. Le mani appoggiate al divano. I capelli sciolti sulla schiena nuda. Le gambe aperte, tese, pronte. Li lasciai entrare. Finalmente. Tutto. Senza più nulla da negare.
E in quell’attimo, mentre il piacere saliva come un urlo eterno, mentre i loro corpi mi travolgevano come una tempesta, io sapevo:
Non c’era più ritorno.
Quello era il mio dono. Il mio trionfo. Il mio vizio.
Il momento che tutti avevano sognato.
Il momento in cui Samira smise di negare.
Nemmeno il suo lato più proibito.
Ma io… io non sono fatta per la perfezione.
C’è qualcosa dentro di me che brucia, un’energia costante, una fame che si muove sotto la pelle e non si spegne mai. È lì, silenziosa, ma pronta ad esplodere. Anche quando Kent mi stringe e mi ama, anche quando fa tutto nel modo giusto… io voglio di più. Desidero altro.
Non è colpa sua. Sono io. La mia natura. Sono fatta di impulsi, di sguardi trattenuti, di fantasie taciute. E quando Noah entrò nella nostra vita, tutto diventò più chiaro.
Era il nuovo collega di Kent. Venne a cena da noi, una sera qualsiasi. Ma bastò uno sguardo per capire. Era più giovane, più sicuro, più diretto. I suoi occhi mi percorsero lentamente, con attenzione chirurgica: il collo, la scollatura, le gambe accavallate. Ogni suo sguardo era una carezza che non osava diventare gesto. Non ancora.
Durante la cena, mentre Kent parlava, io e Noah giocavamo a un gioco muto. Il modo in cui mi passava il vino, come sfiorava le mie dita di proposito, la lentezza con cui mi guardava bere… Tutto era un messaggio. Tutto era un invito.
Quando Kent uscì per una telefonata, Noah si avvicinò. Il suo sussurro mi scivolò dentro come un serpente caldo:
— Hai una fame che si sente a metri di distanza.
— E tu pensi di poterla saziarmi? — sussurrai, senza guardarlo.
— Io penso che tu stia solo aspettando qualcuno che abbia il coraggio di farlo.
Non aggiunse altro. Ma quella notte, nel letto accanto a Kent, io non dormii. Avevo le mani tra le cosce e la mente altrove. Non pensavo più. Sognavo. Di lui. Del suo corpo. Di quello che avrebbe potuto farmi, se solo avesse avuto il permesso.
E quel permesso, glielo diedi io. Qualche sera dopo.
Kent era fuori per lavoro. La casa era vuota, silenziosa. Indossai solo una vestaglia leggera di seta nera, senza niente sotto. Lasciva. Invitante. Sapevo che Noah sarebbe passato “per lavoro”. E io ero pronta.
Quando aprii la porta, lui non disse nulla. Mi guardò. Il suo sguardo era già possesso. Entrò, chiuse la porta lentamente, come se avesse già vinto.
Mi prese al collo e mi baciò con forza, senza preamboli. Le sue mani mi aprirono la vestaglia e mi sollevarono come una piuma. Il tavolo della cucina fu il nostro altare. Le sue labbra percorsero ogni curva, le mani affondarono nei fianchi, nelle cosce, nei capelli. Mi strinse, mi divorò.
I miei gemiti si persero tra le pareti. Il mio corpo si muoveva con lui, come se non aspettasse altro. La mia pelle ardeva, le gambe tremavano, il piacere saliva con una violenza che mi fece perdere ogni freno. Lo volevo. Ovunque. In tutti i modi.
Quando tutto finì, rimasi stesa sul tavolo, ancora aperta, sudata, con il battito impazzito. Non mi sentivo in colpa. Mi sentivo finalmente viva.
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Ma il vero colpo di scena arrivò una settimana dopo.
Tornai a casa, aprii la porta… e li trovai entrambi. Kent e Noah. Seduti in salotto. Silenziosi.
— Lo so da tempo, Samira — disse Kent, guardandomi negli occhi. — L’ho visto nei tuoi occhi, sulla tua pelle. Ma ora… voglio vedere tutto. Voglio sapere fin dove sei capace di arrivare.
Noah si alzò. Mi guardava con quel sorriso sporco che conoscevo ormai bene. Il silenzio era denso. Io non dissi nulla. Solo mi tolsi lentamente la camicetta. Poi i pantaloni. Rimasi nuda. Offerta. Vera.
Kent non si voltò. Mi guardava come se fosse la prima volta.
E io, in quel momento, ero nuda per entrambi.
Noah si avvicinò. Le sue mani tornarono su di me. Ma stavolta, Kent restava lì. E mi osservava. E respirava. E desiderava.
Mi spogliarono di tutto, anche dell’ultimo pudore. Le loro mani mi attraversavano, le bocche si alternavano, i corpi mi stringevano. Mi prendevano. Mi godevano. Mi vivevano.
Io non ero più solo moglie. Ero Samira. Fatta di desiderio, senza filtri, senza vergogna.
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E fu lì, nel momento più acceso, che accadde quello che tutti avevano sempre sognato, ma che io avevo sempre negato.
Noah si fermò un istante. Mi prese per i fianchi. Mi guardò negli occhi.
— C’è una cosa che ancora non abbiamo avuto — disse con voce roca.
Kent lo capì subito. Era evidente.
— Il tuo segreto — sussurrò. — Il tuo lato più desiderato.
Il mio lato B.
Sempre provocato. Sempre mostrato tra vestiti stretti, gonne alte, camminate lente. Ma mai… concesso.
Tutti l’avevano sognato. Nessuno lo aveva avuto. Fino ad allora.
Mi voltai lentamente. E senza dire una parola, mi piegai in avanti. Le mani appoggiate al divano. I capelli sciolti sulla schiena nuda. Le gambe aperte, tese, pronte. Li lasciai entrare. Finalmente. Tutto. Senza più nulla da negare.
E in quell’attimo, mentre il piacere saliva come un urlo eterno, mentre i loro corpi mi travolgevano come una tempesta, io sapevo:
Non c’era più ritorno.
Quello era il mio dono. Il mio trionfo. Il mio vizio.
Il momento che tutti avevano sognato.
Il momento in cui Samira smise di negare.
Nemmeno il suo lato più proibito.
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