Daniela – Il ritorno
di
Angelo B
genere
prime esperienze
Prologo
Non ci pensavo più.
O meglio, avevo imparato a non cercarla.
Una ragazza così ti capita una volta sola. Ti travolge, ti marchia, e poi sparisce.
E tu resti con un ricordo sporco e dolcissimo incollato addosso.
Finché non succede di nuovo.
⸻
Il racconto
Sabato sera.
Altro locale, altra zona. Più piccolo. Più sporco.
Mi ci ha portato un amico, uno di quei posti “per pochi”, nascosti dietro una porta di metallo, senza insegna.
Mi aspettavo il solito: musica forte, alcol annacquato, gente che fa finta di divertirsi.
Poi la sento.
La voce. Una risata bassa, roca. Inconfondibile.
Mi giro.
È lei. Daniela.
Capelli legati in alto, senza trucco. Jeans strappati, canottiera bianca senza reggiseno.
Bellissima da far male.
Mi guarda.
Sorride. Come se non fosse passato neanche un minuto.
«Non credevo ti avrei rivisto.»
«Neanch’io. Ma guarda caso sono vestita… per danzare.»
Mi prende la mano.
Non c’è palco, non c’è palo.
Ma c’è lei.
E in mezzo alla gente, con la musica che batte, comincia a muoversi. Per me. Solo per me.
I fianchi che ondeggiano. Le mani che si infilano sotto la canottiera. Il seno che si intravede.
La gente attorno si accorge di lei. Ma a lei non importa.
Perché quegli occhi neri sono ancora solo miei.
Mi bacia. Piano. Poi mi morde.
«Vieni. Ma stavolta non sparisco dopo.»
Una porta sul retro. Una rampa. Un magazzino.
Buio, odore di polvere e fumo. Ma siamo soli.
Lei mi spinge contro una pila di casse.
«Ti ricordi come mi leccavi?»
Mi apre i jeans. Non ha bisogno di chiedere.
Mi prende in bocca. Ma senza scena. Solo fame. Vera.
Lo fa come se dovesse salvarsi la vita. O distruggermi la testa.
Mi viene da gemere. Ma stringo i denti.
Poi si alza, si toglie i jeans senza pudore.
Non indossa nulla sotto.
«Adesso siediti. E fammi volare.»
Mi siedo.
Lei si siede su di me. Calda. Tesa. Pronta.
Mi prende dentro come se fosse casa sua.
E si muove. Piano. Poi più forte.
Ogni respiro è un sussurro, una bestemmia, un “non fermarti”.
Le prendo i fianchi. La guardo negli occhi.
Lei chiude i suoi, si morde il labbro, si aggrappa alla mia nuca.
Siamo incollati. Veri. Vivi.
Non c’è spettacolo. Non c’è pubblico.
C’è solo il suono dei nostri corpi, il profumo della sua pelle, la sua bocca che mi dice:
«Ti ho cercato. Non mento. Ti volevo ancora.»
Il resto è un’onda. Veniamo insieme. Forti.
Sudati. Uniti. Veri.
⸻
Epilogo
Quella volta, Daniela non è sparita.
Mi ha preso la mano. Mi ha portato a casa sua.
Niente luci. Niente show.
Solo un letto sfatto. Una doccia condivisa. Un silenzio caldo.
E mentre dormiva, rannicchiata a me, ho capito.
Che forse, stavolta, l’inferno non se l’era portata via.
Me l’aveva solo restituita.
Perché era mia.
Non ci pensavo più.
O meglio, avevo imparato a non cercarla.
Una ragazza così ti capita una volta sola. Ti travolge, ti marchia, e poi sparisce.
E tu resti con un ricordo sporco e dolcissimo incollato addosso.
Finché non succede di nuovo.
⸻
Il racconto
Sabato sera.
Altro locale, altra zona. Più piccolo. Più sporco.
Mi ci ha portato un amico, uno di quei posti “per pochi”, nascosti dietro una porta di metallo, senza insegna.
Mi aspettavo il solito: musica forte, alcol annacquato, gente che fa finta di divertirsi.
Poi la sento.
La voce. Una risata bassa, roca. Inconfondibile.
Mi giro.
È lei. Daniela.
Capelli legati in alto, senza trucco. Jeans strappati, canottiera bianca senza reggiseno.
Bellissima da far male.
Mi guarda.
Sorride. Come se non fosse passato neanche un minuto.
«Non credevo ti avrei rivisto.»
«Neanch’io. Ma guarda caso sono vestita… per danzare.»
Mi prende la mano.
Non c’è palco, non c’è palo.
Ma c’è lei.
E in mezzo alla gente, con la musica che batte, comincia a muoversi. Per me. Solo per me.
I fianchi che ondeggiano. Le mani che si infilano sotto la canottiera. Il seno che si intravede.
La gente attorno si accorge di lei. Ma a lei non importa.
Perché quegli occhi neri sono ancora solo miei.
Mi bacia. Piano. Poi mi morde.
«Vieni. Ma stavolta non sparisco dopo.»
Una porta sul retro. Una rampa. Un magazzino.
Buio, odore di polvere e fumo. Ma siamo soli.
Lei mi spinge contro una pila di casse.
«Ti ricordi come mi leccavi?»
Mi apre i jeans. Non ha bisogno di chiedere.
Mi prende in bocca. Ma senza scena. Solo fame. Vera.
Lo fa come se dovesse salvarsi la vita. O distruggermi la testa.
Mi viene da gemere. Ma stringo i denti.
Poi si alza, si toglie i jeans senza pudore.
Non indossa nulla sotto.
«Adesso siediti. E fammi volare.»
Mi siedo.
Lei si siede su di me. Calda. Tesa. Pronta.
Mi prende dentro come se fosse casa sua.
E si muove. Piano. Poi più forte.
Ogni respiro è un sussurro, una bestemmia, un “non fermarti”.
Le prendo i fianchi. La guardo negli occhi.
Lei chiude i suoi, si morde il labbro, si aggrappa alla mia nuca.
Siamo incollati. Veri. Vivi.
Non c’è spettacolo. Non c’è pubblico.
C’è solo il suono dei nostri corpi, il profumo della sua pelle, la sua bocca che mi dice:
«Ti ho cercato. Non mento. Ti volevo ancora.»
Il resto è un’onda. Veniamo insieme. Forti.
Sudati. Uniti. Veri.
⸻
Epilogo
Quella volta, Daniela non è sparita.
Mi ha preso la mano. Mi ha portato a casa sua.
Niente luci. Niente show.
Solo un letto sfatto. Una doccia condivisa. Un silenzio caldo.
E mentre dormiva, rannicchiata a me, ho capito.
Che forse, stavolta, l’inferno non se l’era portata via.
Me l’aveva solo restituita.
Perché era mia.
6
voti
voti
valutazione
5
5
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Inferno Privato – Una notte con Danielaracconto sucessivo
Andrea Delogu – Una notte vera (o quasi)”
Commenti dei lettori al racconto erotico