“Giada – Il tesoro in mezzo alle gambe”

di
genere
prime esperienze

Prefazione
Ci sono donne che si fanno notare.
E poi c’è Giada.
Lei non entrava in una stanza: la conquistava.
Ma il vero segreto… non era negli occhi. Né nelle labbra.
Era nascosto più in basso. Dove la verità brucia.



Il racconto

Lavoravo in un coworking al terzo piano di un palazzo anonimo. In quelle giornate lunghe di riunioni e caffè annacquati, Giada era un miraggio che diventava realtà ogni mattina. Tacchi bassi, vestiti larghi, ma uno sguardo che sapeva spogliare.

Aveva un modo di sedersi sulla sedia che raccontava storie proibite senza aprire bocca. E quel giorno, per la prima volta, fu lei ad avvicinarsi.

«Hai mai scoperto un tesoro, senza cercarlo?» mi chiese.
La sua voce era miele scuro, colato sulle mie difese.
Non risposi. Solo il mio sguardo fece il passo.

Ci ritrovammo nel bagno più nascosto del piano. Lei chiuse la porta con decisione, poi si voltò. Si sollevò lentamente la gonna lunga che portava, rivelando nient’altro che pelle e desiderio.

«Non ti ho portato qui per parlare» sussurrò.

E io capii. Che quel posto, tra le sue gambe, non era solo sesso.
Era un tempio. Un richiamo primordiale.
La adorai con la bocca, con le mani, con la fame di chi ha atteso troppo.

Giada gemeva piano, come se il piacere fosse un segreto che non si poteva rivelare tutto in una volta. Il suo corpo tremava contro il mio, e quando le entrai dentro, fu come varcare una soglia che separava la normalità dalla follia.

Ero dentro il suo tesoro. Letteralmente.
E lei… lei non si fermò finché non mi aveva preso tutto.



La soglia più segreta

Ma fu quella notte, ore dopo, nel suo appartamento immerso nel silenzio, che mi mostrò qualcosa che nessun altro aveva mai toccato.

Giada prese la mia mano e la guidò verso il basso, verso l’intimo più profondo, fin dove nessuno era mai stato. Il suo sguardo era fermo, ma vibrava.

«Nessuno è mai arrivato fin qui…» disse, con un sussurro che mi trafisse più della carne.

La sua pelle si apriva, ma era l’anima che mi stava offrendo.
Lì, tra le sue cosce, c’era un segreto custodito troppo a lungo.
E io lo baciai. Lo venerai. Senza fretta, senza distrazione.
Lei gemeva come se il mondo si stesse disfacendo, e in quel gemito c’era ogni porta che si apriva, ogni limite che cadeva.

Non era solo piacere. Era dono. Era la sua verità più nascosta.
E io l’ho accolta. Fino in fondo.



Il momento epocale

Poi la vidi sopra di me, nuda, bellissima, con i capelli sparsi sul viso e la pelle arrossata dal desiderio.

«Stanotte non ci sarà un domani» disse. «Solo adesso. Solo noi.»

Ci amammo con ferocia e dolcezza, con fame e silenzio.
Ogni suo movimento era un colpo che mi cancellava il passato.
Ogni sua carezza un giuramento.

Mi prese dentro di sé come se volesse sciogliermi, come se volesse scolpirmi dentro. Mi cavalcò, mi baciò, mi morse. Urlò il mio nome con un’esplosione di piacere che fece vibrare il letto e il cuore.

E in quel momento, capii che non stavo solo scopando.
Stavo vivendo.
Una volta. Per sempre.



La protrazione epocale di Giada

Non finì con un singolo orgasmo. Non era quel tipo di notte.

Giada, nuda e sudata, mi guardò mentre ancora mi sentivo dentro di lei, ancora teso, ancora affamato. E senza dire una parola, si voltò, si piegò lentamente in avanti, appoggiando le mani sul materasso.

«Non è finita» disse con voce roca, «voglio sentirti ancora… dove fa più male. Dove brucia. Dove si resta impressi.»

Il suo corpo era un arco teso. La sua pelle un invito senza ritorno.
Mi avvicinai, tremante. Le presi i fianchi.
E quando la penetrai di nuovo, da dietro, più profondo, più pieno, lei gridò — non per dolore, ma per liberazione.

Ogni colpo era una preghiera blasfema. Ogni spinta, un addio al mondo.

Lei si voltava, mi guardava da sopra la spalla con quegli occhi che non avevano più pudore. Solo furore. Solo estasi.
Mi guidava con il bacino, con la voce, con le unghie che lasciavano graffi vivi sul mio petto.

Venne di nuovo. E poi ancora.
Il suo corpo tremava come attraversato da una tempesta.
Io mi persi dentro di lei, dimenticando il mio nome, la mia vita, tutto.

Quando venni, fu un’esplosione viscerale. Un urlo soffocato nel suo collo, mentre lei mi stringeva come a non volermi lasciare mai più.

Restammo così. Fusi. Bruciati.
Due anime sporche. Ma finalmente vere.



Epilogo – Da paura

La mattina dopo tornò a lavoro come se nulla fosse.
Io la guardai da lontano, ancora stordito, ancora dentro di lei.
Lei mi rivolse un sorriso rapido, imperscrutabile, e disse solo:

«Quello che hai visto… lo porterai addosso per sempre.
Perché io non sono una donna.
Io sono la cicatrice del tuo desiderio.»

E da quel giorno, nessun’altra è mai stata abbastanza.
Perché una volta che hai conosciuto il tesoro in mezzo alle gambe di Giada,
non cerchi altro.
Cerchi solo lei. Anche quando sai che non la troverai mai più.
scritto il
2025-05-09
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