Troia allo specchio

di
genere
tradimenti

Le ex compagne di classe si erano riunite per una rimpatriata in una località di mare non troppo distante dalla loro città. Si era optato per il pranzo invece della piú impegnativa cena per andare incontro alle esigenze di molte. Finito di pranzare, dopo le chiacchiere di rito la compagnia si era sciolta e frazionata in gruppetti e ora Sandra e le due amiche Lilly e Anna si godevano la brezza marina nel bel locale affacciato sulla spiaggia che risuonava di musica, del confuso brusio di voci intervallato da risate. Sandra, giocherellava distrattamente con il calice tra le mani, facendo tintinnare i cubetti di ghiaccio, mentre le due, elettrizzate, conversavano animatamente fitto fitto.
— Allora ragazze, si è fatta l’ora di tornare in albergo, che ne dite? Le due, complici la guardarono divertite.
— Veramente l’esserci trovate qui è un’occasione che vorremmo sfruttare adeguatamente.
— Spiegatevi meglio.
— Abbiamo organizzato con dei tipi una serata molto interessante in una villa nelle vicinanze e potresti unirti a noi. Sarà una serata spensierata e ne varrà la pena.
— Ma no ragazze, non mi sembra il caso e poi che tipi sono?
— Che problemi ti poni? L’importante è che ci facciano divertire. Smetti per una volta di fare la santarellina e “carpe diem”.
— Non me la sento proprio…con degli sconosciuti…forse un’altra volta.
Un telefono squillò. Lilly non perse tempo.
— Anna son loro, andiamo, — e rivolgendosi a Sandra — sei proprio sicura? E al diniego dell’amica, guardandola con commiserazione, si allontanarono ridendo.
— Ci vediamo domattina, non aspettarci, faremo tardi. Sandra rimasta sola, si intristì e si provò una rabbia sorda per il suo essere perennemente in controllo, per un comportamento sempre prevedibile, quello che tutti si aspettavano da lei. Si vide virtuosa ma irrimediabilmente noiosa. Fissò ipnotizzata il flusso e riflusso instancabile del mare scuro. Un desiderio, crescente, iniziò a prenderla: una voglia di rottura, di caos, di un atto di irrazionale ribellione che la scuotesse nel profondo. Tornata in albergo, si osservò nuda allo specchio, compiaciuta dell’immagine riflessa: i seni erano pieni, sodi, belle gambe tornite. Optò per un abito leggero, con spalline sottili che lasciavano scoperte le spalle. Il cuore galoppava mentre si dirigeva verso un locale poco distante dove poteva confondersi, sconosciuta, fra la folla.
Si aggirava tra la gente nel locale affollato, la musica faceva risuonare con le tonalità basse le sue viscere, il battito del cuore accelerava la sua frequenza. Si sentiva audace, fuori dagli schemi in cui si era sempre rifugiata. Qualcosa di primitivo si faceva spazio in lei, un bisogno profondo, incontrollabile, che non aveva mai osato assecondare. Si avvicinò al bancone e ordinò un drink, cercando di rilassarsi. Intorno a lei, coppie si sfioravano, gruppi di amici ridevano, sguardi si incrociavano. Lei era miele e le mosche non tardarono a ronzarle attorno. Lo notò: alto, spalle larghe, una camicia sbottonata sul petto villoso, abbronzato. Non era raffinato, anzi, piuttosto grezzo. La guardava sfacciato, senza imbarazzo, con un sorriso di sguincio, molto sicuro di sé.
— Che ci fa una bella figa come te, tutta sola? —
Questo attacco così zotico intrigò Sandra che scoccò un bel sorriso, divertita dall'approccio diretto e privo di fronzoli. Non le dispiaceva essere trattata così; apprezzò quelle parole grevi ma pregnanti dí sensualità e prive di censure formali.
— Magari aspetto qualcuno che mi sappia dare una scossa, — rispose con un guizzo malizioso negli occhi.
— E allora mi sa che l’hai trovato. — Si appoggiò al bancone con aria spavalda, il braccio vicino al suo. Il suo profumo era ruvido e maschile ma non sgradevole. — Ti posso offrire da bere? O sei una di quelle che se la tira?
Lui abbassò lo sguardo, indugiando sulle sue scarpe col tacco vertiginoso. Il piede affusolato, le dita appena visibili, l’arco accennato gli accesero qualcosa di istintivo, viscerale. Il suo desiderio era primordiale, brutale. — Cazzo, che piedini sexy, — disse senza vergogna, la voce roca di desiderio. — Ti leccherei tutta a partire proprio da quelli.
Sandra rise, sorseggiando il drink con aria giocosa. — Un bel tipo ruspante, non c’è che dire,— fra sé e sé, e poi a voce alta — Ti accontenti di poco, vedo.
— Sarebbe solo l’inizio, poi ti farei impazzire come tu non immagini.
-Oh oh! Accidenti!
Sandra sentì l’atmosfera diventare elettrica in un gioco che si preannunciava bollente.
Era una notte diversa. Una notte senza limiti. Sandra voleva sentirsi libera, spregiudicata, sentirsi troia, insomma. Il pensiero la eccitava più di quanto volesse ammettere. Sorrise, divertita da quella intraprendenza, si alzò dal suo sgabello, il ticchettio dei tacchi sul pavimento del locale era ipnotico, evocativo. Lui la seguì con lo sguardo, affascinato dalla sua sicurezza e dall'eleganza, dalla morbidezza dei suoi movimenti. Uscirono insieme nella notte tiepida, soffi salmastri accarezzavano la pelle. Le luci della città si riflettevano sul mare scuro, creando un'atmosfera magica. Camminarono fianco a fianco, scrutandosi, valutandosi mentre il rumore ritmico delle onde accompagnava i loro passi. La tensione in Sandra era alle stelle. Chi era in fondo quello sconosciuto? L’inquietudine si mescolava all’eccitazione, al senso del proibito, in un vortice inebriante che non voleva più fermare. La morale, i valori, la razionalità – tutto era accantonato, perché ora esisteva solo l’urgenza del corpo, il brivido della trasgressione, il sapore del proibito. Era una vertigine, un baratro e delizioso lasciarsi cadere.
Il gruppo di ragazzi sul marciapiede opposto la notò all’istante: occhi lucidi di desiderio, sorrisi sfrontati, e poi il fischio, lungo, insistente.
— Vieni con noi, lascia quel tamarro, — esclamò uno, con un sorriso beffardo, mentre gli altri ridevano, sentendosi padroni della notte.
Sandra si divertì a sfidarli, civettando ambiguamente con un sorriso e uno sguardo languido. Ma Ubaldo, senza una parola, le afferrò la vita con decisione, in un abbraccio possessivo che la scosse. I loro corpi stretti in un calore avvolgente.
Già in ascensore, la mani dell’uomo, impazienti, esplorarono la sua pelle con foga, come se ogni centimetro del suo corpo fosse un territorio da rivendicare, affondando nella morbidezza della sua pelle, scivolando sul vestito, cortina fragile ed effimera a difesa delle sue forme così desiderabili.
Lei lo lasciò fare e intanto considerò che mai si sarebbe presentata in società, di fronte ai suoi amici, ai colleghi con quell’uomo al fianco: rozzo, volgare con un linguaggio improbabile che mescolava all’italiano sgrammaticato frasi dialettali. Ma questa notte… Sandra si sentiva come un abito di seta pregiata, impeccabile, intonso, ma ora sentiva il bisogno che fosse sgualcito, il suo nitore macchiato di sudore, di sperma e dei suoi umori di donna.
Ubaldo non era il tipo soggetto a esitazioni. Era fatto per prendere, senza scrupoli, senza ripensamenti, senza il tormento di pensieri malinconici o doveri morali. Quando la guardava, i suoi occhi non cercavano conferme, non chiedevano permesso. La possedevano già, prima ancora di averla sfiorata.
Lei lo voleva così, voleva quel grosso cazzo che aveva intravisto sotto i jeans, spudorato nella sua virilità. Sapeva che l’avrebbe aperta come una cozza, spalancandola al piacere con una brutalità che le sarebbe esplosa tra le gambe come un’onda calda e devastante.
Era stanca di essere trattata con delicatezza. Voleva sentirsi femmina, un mammifero che geme, urla e si concede sotto la presa irrispettosa del maschio dominante.
— Una come te non l’avevo mai incontrata, — disse incredulo con una risata roca, la voce piena di un’emozione primitiva. — Sei proprio un’altra cosa… Una fortuna così, proprio a me!
La sua mano scivolò sotto il reggiseno di Sandra, la stoffa che si allontanò rapidamente dalla sua pelle; le sue dita ruvide toccarono la pelle liscia delle tette, sgusciate dal reggiseno e palpeggiate, sprimacciate con foga belluina.
— Sei già fradicia… — mormorò, il suo respiro caldo che la sfiorava, mentre sentiva la reazione immediata di Sandra sotto il suo tocco; le abbassò le mutandine, rivelando completamente la sua intimità indifesa, frutto delizioso.


Quando Ubaldo si spogliò, Sandra ebbe la conferma di ciò che aveva solo intuito. Il bagliore soffuso della stanza disegnava ombre sulle sue spalle larghe, sulle vene in evidenza lungo gli avambracci possenti, ma soprattutto metteva in evidenza l’erezione imponente che torreggiava davanti a lei.
Rimase senza fiato. Mai aveva visto qualcosa di simile. La sua educazione, i suoi principi, il pudore stesso con cui aveva sempre filtrato il sesso, si sgretolarono di colpo, ridotti in polvere sottile di fronte a quella manifestazione sontuosa di mascolinità. Nessuna lettura, nessuna conversazione tra amiche, nessuna esperienza precedente l’aveva preparata allo spettacolo ai suoi occhi.
La sua bocca si dischiuse quasi da sola, un richiamo istintivo più rapido della ragione. Lo sfiorò con le labbra, adorandolo, sentendosi finalmente libera dal peso delle inibizioni. La lingua tracciò il perimetro di quell’arma possente, bagnandone la pelle tesa, calda, vibrante di sangue. Non c’era più vergogna, più moralismo. Solo lei, in ginocchio, a rendere omaggio alla carne che l’avrebbe dominata.
Si sentì una creatura guidata da un bisogno viscerale, una femmina pronta a essere presa, piegata, scopata. Era fragile, un giocattolo di carne nelle mani di quell’uomo che sembrava forgiato per il solo scopo di fare sesso. Non c’era spazio per la dolcezza, per parole struggenti. Solo un incendio tra le sue cosce, il respiro affannato di lui, il gemito involontario che le sfuggì quando la prese con violenza, schiacciandola contro il materasso con tutto il peso della sua fisicità imponente.

La sua pelle era bollente, le mani ruvide scivolavano ovunque, affondavano, stringevano, reclamavano. Lui non la stava solo possedendo, la stava piegando al suo volere, la stava forgiando a immagine del suo desiderio. Ogni colpo era un atto di dominio, ogni spinta un sigillo impresso nel profondo del suo ventre. Sandra urlò, non più per il dolore, non più per la sorpresa, ma per il puro, brutale piacere che le stava dilaniando il corpo.

Non era mai stata presa così, mai aveva sentito il proprio corpo rispondere in quel modo: si inarcava da solo, si apriva di più, chiedeva senza vergogna di essere riempito, maltrattato, usato. Le sue unghie graffiavano la schiena di lui, la bocca schiusa in un rantolo, mentre le ondate di piacere si rincorrevano in un vortice inarrestabile.
— Meraviglioso….ancora…continua
Lui rideva, soddisfatto, sapeva esattamente cosa stava facendo a quella signora elegante, a quella moglie impeccabile, a quella donna che mai avrebbe pensato di farsi ridurre così: un corpo vibrante, annientato dalla potenza di un uomo che non conosceva altro linguaggio se non quello del puro istinto. Ubaldo framezzando spezzoni di frasi, mugugnava, muggiva.
Sandra non capiva ogni parola, di quello che l'uomo le diceva, ma il senso era chiaro. E annuì, senza fiato, senza più pensieri, solo corpo, solo carne, solo un desiderio che non si spegneva, che cresceva invece, che la portava sempre più in alto, in una spirale senza fine.

E quando pensava di aver raggiunto il limite, lui le afferrò le gambe, le sollevò senza sforzo, la girò, la prese ancora più a fondo, senza pietà. E allora il mondo esplose. Ancora, ancora e ancora.
La bocca di lui lasciò la sua pelle solo per spostarsi più in basso, tracciando una scia di baci che bruciavano come marchi sulla carne sensibile. Le labbra sfiorarono il ventre ancora contratto dagli spasmi del piacere, poi le cosce, risalendo lungo l’interno con lentezza esasperante. Sandra tremò, abbandonandosi a quel tocco adorante che contrastava con la brutalità con cui l’aveva fatta sua poco prima.
— Leccami ancora la figa! Il clitoride…per favore.
scritto il
2025-04-03
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