Lucia #2
di
movement
genere
etero
Stiamo tornando dalle vacanze. Siamo a pochi chilometri dal restituire questo SUV che il padre di Lucia ci ha gentilmente concesso e che ci ha portato fin là e poi da là a qua.
È pieno pomeriggio d’agosto, lungo l’asfalto fa un caldo che ci si squaglia ma noi siamo abbronzati e al sicuro nell’aria condizionata. Un po’ sfatti dal viaggio, magari.
In questi venti giorni ho scoperto che a Lucia il sesso piace, parecchio; non sapevo bene cosa aspettarmi e quindi me ne sono reso conto con gioia. Ogni tanto le piace con una certa prepotenza - nel senso, arriva a pretenderlo. Ed è disinibita. Non una ninfomane, ma nemmeno una che si fa tanti problemi a fare questa o quell’altra cosa.
«Peccato siamo già qui».
La sua mi sembra una frase qualunque, molto vera e molto scontata, tra una canzone dall’autoradio e l’altra.
«Però siamo stati bene. Molto bene, direi... no?»
Io non rispondo, fa tutto da sola. Incalza e allude.
«Ora dovremo ricominciare a destreggiarci tra casa mia e casa tua per un po’ di intimità».
Le do corda sornione, quasi sovrappensiero, concentrato soprattutto su una strada lungo la quale, comunque, non c’è anima viva.
«Temo di sì, tra venti chilometri ci siamo proprio»
Mi allunga una mano sul pacco e intuisco che mi fissa da dietro gli occhiali oscurati.
«Rallentiamo e ci fermiamo un po’, che ne dici? Conosco un posto…»
Non chiedo nulla, né quale sia il posto né come lo conosca, seguo le indicazioni. Prendiamo un’uscita, poi svoltiamo subito a sinistra e arriviamo in un ampio sterrato. È praticamente una piazzola di sosta abbandonata, ma con una sola via d’accesso. A dividerlo dalla strada su cui stavamo sono il guard rail e una siepe spelacchiata, oltre che un albero imponente che è l’unica cosa che fa ombra nel raggio di un centinaio di metri. Sul lato opposto, al confine con i campi di colore bruciato, il cassone abbandonato di un tir.
«Là, dietro l’albero», mi indica Lucia mentre ammiro questa fotografia di desolazione e mentre lei s’è intrufolata dentro i bermuda ad accarezzarmi le palle con impazienza, per vincere le mie perplessità.
Fermo l’auto, non so se davvero dalla strada si possa vedere qualcosa ma sono pur sempre le quattro del pomeriggio. Almeno siamo all’ombra.
In un baleno lei tira giù tutti i finestrini, abbassa il sedile del passeggero, apre lo sportello, scende. Il mio sguardo interrogativo deve essere evidente.
«Mettiti al mio posto», e nel frattempo si toglie gli shorts, rimanendo là in piedi col pezzo sotto del costume, e si sfila il reggiseno senza togliersi il top. Se non altro per imitazione, mi tolgo la maglia; «dai, anche i pantaloni scemo!», mi fa ridacchiando prima di risalire in auto e montarmi sopra che ormai sono nudo come un verme e completamente in tiro.
«Sono stati – dice lei liberandosi anche del top e offrendomi i capezzoli – dei bei giorni interessanti, questi insieme».
Lucia ha delle tette così sode che non sembrano nemmeno vere, mi ci sono divertito molto durante la vacanza e mi ci sto divertendo ora in questi minuti supplementari. Le mordicchio un capezzolo e poi l’altro, lei ora finge ritrosia mentre mi si struscia sul cazzo.
Sento il suo calore attraverso il tessuto leggero dello slip, sento che è umidissima e sento che tutto si mescola con l’afa e con il canto surreale delle ciccale. Sono acciecato da sfumature di giallo - ocra - marrone, non vedo altro. Così sono i campi attorno, così è il fusto dell’albero, così è lo sbarluccichìo del sole intorno, biondi sono i capelli di Lucia che ormai mi avvolgono.
Un barlume di intempestiva lucidità mi coglie proprio mentre lei si solleva per snodare i laccetti dell’ultimo pezzo che le rimane addosso.
«Vuoi farlo… qui?»
«Beh, tu che dici?» mi risponde sarcastica, facendomi sentire direttamente le labbra della figa sull’asta. «Mi pare anche tu, no?», e nel dirlo scivola un po’ all’indietro per impugnarmi il cazzo e appoggiarselo al pube. «Guarda fin dove mi arriva su... però!».
«Ma se passa qualcuno, ci vede…». Lucia molla la presa e il cazzo mi ricade sulla pancia con un piccolo tonfo, da quanto è teso. S’appoggia sulle mie le spalle e solo in quel momento si solleva gli occhiali – che aveva ancora addosso per aggiungere un tocco di ulteriore surrealismo alle circostanze.
«Sta’ zitto, dammelo, chi vuoi mai che ci veda», mi fa, e con un movimento sottile se lo infila dentro.
È una galoppata rapida, lei in un attimo butta fuori un orgasmo dei suoi - brutale, improvviso, breve e liberatorio – e poi ricomincia ad agitarsi scomposta fino al mio.
«Prendimi un fazzoletto o qualcosa, non voglio colare sui sedili di papà».
È pieno pomeriggio d’agosto, lungo l’asfalto fa un caldo che ci si squaglia ma noi siamo abbronzati e al sicuro nell’aria condizionata. Un po’ sfatti dal viaggio, magari.
In questi venti giorni ho scoperto che a Lucia il sesso piace, parecchio; non sapevo bene cosa aspettarmi e quindi me ne sono reso conto con gioia. Ogni tanto le piace con una certa prepotenza - nel senso, arriva a pretenderlo. Ed è disinibita. Non una ninfomane, ma nemmeno una che si fa tanti problemi a fare questa o quell’altra cosa.
«Peccato siamo già qui».
La sua mi sembra una frase qualunque, molto vera e molto scontata, tra una canzone dall’autoradio e l’altra.
«Però siamo stati bene. Molto bene, direi... no?»
Io non rispondo, fa tutto da sola. Incalza e allude.
«Ora dovremo ricominciare a destreggiarci tra casa mia e casa tua per un po’ di intimità».
Le do corda sornione, quasi sovrappensiero, concentrato soprattutto su una strada lungo la quale, comunque, non c’è anima viva.
«Temo di sì, tra venti chilometri ci siamo proprio»
Mi allunga una mano sul pacco e intuisco che mi fissa da dietro gli occhiali oscurati.
«Rallentiamo e ci fermiamo un po’, che ne dici? Conosco un posto…»
Non chiedo nulla, né quale sia il posto né come lo conosca, seguo le indicazioni. Prendiamo un’uscita, poi svoltiamo subito a sinistra e arriviamo in un ampio sterrato. È praticamente una piazzola di sosta abbandonata, ma con una sola via d’accesso. A dividerlo dalla strada su cui stavamo sono il guard rail e una siepe spelacchiata, oltre che un albero imponente che è l’unica cosa che fa ombra nel raggio di un centinaio di metri. Sul lato opposto, al confine con i campi di colore bruciato, il cassone abbandonato di un tir.
«Là, dietro l’albero», mi indica Lucia mentre ammiro questa fotografia di desolazione e mentre lei s’è intrufolata dentro i bermuda ad accarezzarmi le palle con impazienza, per vincere le mie perplessità.
Fermo l’auto, non so se davvero dalla strada si possa vedere qualcosa ma sono pur sempre le quattro del pomeriggio. Almeno siamo all’ombra.
In un baleno lei tira giù tutti i finestrini, abbassa il sedile del passeggero, apre lo sportello, scende. Il mio sguardo interrogativo deve essere evidente.
«Mettiti al mio posto», e nel frattempo si toglie gli shorts, rimanendo là in piedi col pezzo sotto del costume, e si sfila il reggiseno senza togliersi il top. Se non altro per imitazione, mi tolgo la maglia; «dai, anche i pantaloni scemo!», mi fa ridacchiando prima di risalire in auto e montarmi sopra che ormai sono nudo come un verme e completamente in tiro.
«Sono stati – dice lei liberandosi anche del top e offrendomi i capezzoli – dei bei giorni interessanti, questi insieme».
Lucia ha delle tette così sode che non sembrano nemmeno vere, mi ci sono divertito molto durante la vacanza e mi ci sto divertendo ora in questi minuti supplementari. Le mordicchio un capezzolo e poi l’altro, lei ora finge ritrosia mentre mi si struscia sul cazzo.
Sento il suo calore attraverso il tessuto leggero dello slip, sento che è umidissima e sento che tutto si mescola con l’afa e con il canto surreale delle ciccale. Sono acciecato da sfumature di giallo - ocra - marrone, non vedo altro. Così sono i campi attorno, così è il fusto dell’albero, così è lo sbarluccichìo del sole intorno, biondi sono i capelli di Lucia che ormai mi avvolgono.
Un barlume di intempestiva lucidità mi coglie proprio mentre lei si solleva per snodare i laccetti dell’ultimo pezzo che le rimane addosso.
«Vuoi farlo… qui?»
«Beh, tu che dici?» mi risponde sarcastica, facendomi sentire direttamente le labbra della figa sull’asta. «Mi pare anche tu, no?», e nel dirlo scivola un po’ all’indietro per impugnarmi il cazzo e appoggiarselo al pube. «Guarda fin dove mi arriva su... però!».
«Ma se passa qualcuno, ci vede…». Lucia molla la presa e il cazzo mi ricade sulla pancia con un piccolo tonfo, da quanto è teso. S’appoggia sulle mie le spalle e solo in quel momento si solleva gli occhiali – che aveva ancora addosso per aggiungere un tocco di ulteriore surrealismo alle circostanze.
«Sta’ zitto, dammelo, chi vuoi mai che ci veda», mi fa, e con un movimento sottile se lo infila dentro.
È una galoppata rapida, lei in un attimo butta fuori un orgasmo dei suoi - brutale, improvviso, breve e liberatorio – e poi ricomincia ad agitarsi scomposta fino al mio.
«Prendimi un fazzoletto o qualcosa, non voglio colare sui sedili di papà».
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