Rachele #2.2
di
movement
genere
etero
Steso qui, noto
il rosa antico delle tende e
mi urta.
Non fosse
lei così accogliente
e stretta e
non fosse la
sorpresa della sua agilità
e poi,
il suo dirty talking
spavaldo, io mi sarei già ammosciato.
Credo.
*
La cucina è ordinata e pulita al limite dell’irreale, Rachele estrae dal forno la teglia di biscotti allo zenzero, lenta e cauta a non scottarsi. Ne riempie un piattino, me lo posa davanti, infine siede anche lei. Sono eccezionali. Risponde al mio apprezzamento con un «lo so» sornione e sorridente. Non che io sia qui per questo. Non che lei mi abbia invitato per i biscotti e il caffè.
«un minuto!»
«addirittura…?»
«anche qualche secondo di più»
«di quand’è?»
«ieri pomeriggio mi ha detto»
«…»
«confesso, l’ho visto appena arrivato»
«scherzi? Hai fatto bene»
«lo so», sornione e sorridente.
*
Sarebbe da ipocriti, arrivati fin qui, schivare l’aggressione delle sue labbra - me ne rendo conto e mi rendo conto di quanto, comunque, baciarla mi sia ancora innaturale. Ma i suoi baci non hanno nulla che non va. Davvero. Ed è opportuno che mi ci abitui.
È una cavalcata post-prandiale, immacolata. Quando Rachele, indomita al trotto, si china alla ricerca della mia bocca, quindi, la trova. Ci guizza avida la lingua e io faccio lo stesso, assaggiandomi, andando finalmente a sfilarle il reggiseno.
«volevi queste vero?»
«cazzo, si»
Raddrizzandosi me le mostra con giusto orgoglio, accelera reggendosi alla testata del lettone e al mio petto. Torturo i capezzoli, accarezzo questi grandi e gioiosi seni mentre lei mi coccola più in basso e nel cervello.
«che bel cazzo hai - mugugna - mi apri bene»
Carne su
carne, mi
monta
costruendosi un orgasmo
contorto e io
seguo a ruota.
*
Irreale, eppure.
L’inquadratura è semplice, efficiente: il cazzo di Mattia, lucido e nodoso, martella la fica liscia di Chiara come uno stantuffo, sgusciando dentro e fuori - ingordo, fino in fondo e ritorno - e lei sbuffa, s’agita, si dimena colando a cosce spalancate finché lui non le spruzza sulla pancia. La lascia tremolante e inzaccherata fin’oltre l’ombelico, fin’oltre fuori la visuale.
Un minuto e sette secondi.
Ce l’ho così duro, e senza nemmeno toccarmi né essere toccato, che è
irreale, eppure.
«Da qui mi sa che ti sta piacendo molto?», ghigna Rachele accucciata in ginocchio tra le mie gambe
«prendilo in bocca», le faccio seduto in penombra sul bordo del letto,
«riguardalo se vuoi nel frattempo», ribatte
porca - premo play - puttana
mentre quella s’avventa su di me, risalendo in un’unica ampia leccata da sotto lo scroto fino alla punta e
inghiottendomi per una buona metà, senza mani, e poi lo fa scomparire tutto senza sforzo.
Pompa, stringe, risucchia e – così non resisto granché, mi sa.
Per fortuna mi dà un attimo di tregua, o qualcosa del genere, credo, ma
mi pianta gli occhi addosso e mentre mi tortura la cappella con la lingua e sbava, sibilando
«ha un gran bel palo Mattia, non vedo l'ora» e si ricaccia il mio fino in gola.
Sono gli ultimi
colpi, gli ultimi
sobbalzi, gli ultimi
sprazzi della fica di Chiara che si contrae tra
i miei occhi e i ricci di Rachele,
Mattia che imbianca la pancia di Chiara
col suo gran palo, getto
là il telefono e premo giù la testa di Rachele,
giù,
stai giù Rachele,
giù bene,
che ti riempio questa boccuccia calda,
e questo orgasmo fa
un minuto e quindici secondi.
Rachele deglutisce, fa
«ora è il mio turno, vero?»
Irreale, eppure.
il rosa antico delle tende e
mi urta.
Non fosse
lei così accogliente
e stretta e
non fosse la
sorpresa della sua agilità
e poi,
il suo dirty talking
spavaldo, io mi sarei già ammosciato.
Credo.
*
La cucina è ordinata e pulita al limite dell’irreale, Rachele estrae dal forno la teglia di biscotti allo zenzero, lenta e cauta a non scottarsi. Ne riempie un piattino, me lo posa davanti, infine siede anche lei. Sono eccezionali. Risponde al mio apprezzamento con un «lo so» sornione e sorridente. Non che io sia qui per questo. Non che lei mi abbia invitato per i biscotti e il caffè.
«un minuto!»
«addirittura…?»
«anche qualche secondo di più»
«di quand’è?»
«ieri pomeriggio mi ha detto»
«…»
«confesso, l’ho visto appena arrivato»
«scherzi? Hai fatto bene»
«lo so», sornione e sorridente.
*
Sarebbe da ipocriti, arrivati fin qui, schivare l’aggressione delle sue labbra - me ne rendo conto e mi rendo conto di quanto, comunque, baciarla mi sia ancora innaturale. Ma i suoi baci non hanno nulla che non va. Davvero. Ed è opportuno che mi ci abitui.
È una cavalcata post-prandiale, immacolata. Quando Rachele, indomita al trotto, si china alla ricerca della mia bocca, quindi, la trova. Ci guizza avida la lingua e io faccio lo stesso, assaggiandomi, andando finalmente a sfilarle il reggiseno.
«volevi queste vero?»
«cazzo, si»
Raddrizzandosi me le mostra con giusto orgoglio, accelera reggendosi alla testata del lettone e al mio petto. Torturo i capezzoli, accarezzo questi grandi e gioiosi seni mentre lei mi coccola più in basso e nel cervello.
«che bel cazzo hai - mugugna - mi apri bene»
Carne su
carne, mi
monta
costruendosi un orgasmo
contorto e io
seguo a ruota.
*
Irreale, eppure.
L’inquadratura è semplice, efficiente: il cazzo di Mattia, lucido e nodoso, martella la fica liscia di Chiara come uno stantuffo, sgusciando dentro e fuori - ingordo, fino in fondo e ritorno - e lei sbuffa, s’agita, si dimena colando a cosce spalancate finché lui non le spruzza sulla pancia. La lascia tremolante e inzaccherata fin’oltre l’ombelico, fin’oltre fuori la visuale.
Un minuto e sette secondi.
Ce l’ho così duro, e senza nemmeno toccarmi né essere toccato, che è
irreale, eppure.
«Da qui mi sa che ti sta piacendo molto?», ghigna Rachele accucciata in ginocchio tra le mie gambe
«prendilo in bocca», le faccio seduto in penombra sul bordo del letto,
«riguardalo se vuoi nel frattempo», ribatte
porca - premo play - puttana
mentre quella s’avventa su di me, risalendo in un’unica ampia leccata da sotto lo scroto fino alla punta e
inghiottendomi per una buona metà, senza mani, e poi lo fa scomparire tutto senza sforzo.
Pompa, stringe, risucchia e – così non resisto granché, mi sa.
Per fortuna mi dà un attimo di tregua, o qualcosa del genere, credo, ma
mi pianta gli occhi addosso e mentre mi tortura la cappella con la lingua e sbava, sibilando
«ha un gran bel palo Mattia, non vedo l'ora» e si ricaccia il mio fino in gola.
Sono gli ultimi
colpi, gli ultimi
sobbalzi, gli ultimi
sprazzi della fica di Chiara che si contrae tra
i miei occhi e i ricci di Rachele,
Mattia che imbianca la pancia di Chiara
col suo gran palo, getto
là il telefono e premo giù la testa di Rachele,
giù,
stai giù Rachele,
giù bene,
che ti riempio questa boccuccia calda,
e questo orgasmo fa
un minuto e quindici secondi.
Rachele deglutisce, fa
«ora è il mio turno, vero?»
Irreale, eppure.
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