Marta #5.1
di
movement
genere
etero
«A questo punto tanto vale convertire il weekend di relax e chiacchiere tra amiche in un weekend di relax e scopate, no?»
Per buone ragioni, forse avrei dovuto declinare. Ma evidentemente le mie buone ragioni non così buone, o almeno non sono quelle di Marta, e mica sono fesso. La sua amica ha paccato e l’occasione di un’intera villetta con piscina a disposizione per tre giorni, lontano dalla città, con lei, la colgo io e amen. Un po’ diverso da una situazione da scopamici, ma appunto: così sia.
I libri e gli appunti sono rimasti a casa, la spesa è fatta perché non abbiamo intenzione di scendere in paese per nessuna ragione al mondo e in questi giorni di luglio non si vede una nuvola in cielo.
Attorno al giardino solo campi, al centro una piscina lungo la quale Marta fa su e giù, convinta come se si trovasse agli allenamenti in vasca.
Due sdraio, due teli, un tavolino, due caffè lunghi, uno intonso e l’altro evidentemente no, fumo tabacco cercando di intuirla attraverso gli schizzi d’acqua, fantasticando. Nonostante i buoni propositi, ieri sera non abbiamo combinato niente, stanchi dal viaggio e dalla settimana di studio. Sonno ristoratore, reset.
Poi stamattina, come ogni rara volta che capita di dormire insieme, al risveglio c’è stato un po’ di imbarazzo - quello di due che si sono lasciati andare ad un’intimità inconsueta, per quanto dolce.
«da qua sei osceno sai?», mi fa divertita Marta in pausa sul bordo della piscina
«ah si?», ribatto io sollevandomi sui gomiti
«ti vedo le palle!»
«se guardi vuol dire che ti piace!»
«dai, levati il costume!»
«ma te? rimani lì?»
«vediamo!»
È una conversazione urlata di quelle che per fortuna non c’è nessuno nel raggio di chilometri.
Mi sfilo i bermuda azzurri e risistemandomi li lancio nella sua direzione. Atterrano in un tonfo umido a meno di mezzo metro da lei.
«scemo!»
«facciamo così…»
«che vuoi propormi, pervertito?»
«esatto, una roba da pervertiti»
«...»
«vieni qui, fatti vedere bene con quel costume»
«vuoi solo guardarmi?»
«no no, voglio farmi una sega mentre ti guardo»
Marta sguscia fuori dall’acqua e si avvicina a passi lenti, manifestandosi come una visione annebbiata tra il prato e il sole. Prendo a toccarmi mentre posso solo intuire il suo caschetto fradicio e sperare nei suoi occhi sorridenti.
Pian piano metto a fuoco il tessuto giallo canarino del costume intero, sgambato e imperlato d’acqua, poi i capezzoli puntuti che pare vogliano bucarlo, ma il dettaglio che cerco sta più in basso - lo sguardo ci arriva da solo, seguendo la linea delle spalle, le braccia e le mani sue che si posano fianchi come in un improvvisato défilé.
Cerco proprio il modo in cui il costume la fascia lì sotto, sul monte di Venere prima di scomparire alla vista, definendo l’impronta del suo sesso - è ciò che voglio ammirare ed è ciò che dà il là definitivo al mio turgore.
«così mi volevi vedere?»
«hm-hm»
«e io che ci guadagno?»
«quello che vuoi - le rispondo mentre sento la cappella farsi ancora più gonfia - però dopo»
«… non so se sono d’accordo»
E allora me la ritrovo sopra, in piedi a cavallo della sdraio che mi sgocciola addosso il fresco della piscina, che mi squadra attraverso i capelli arruffati.
«se pensi che sbattendomela in faccia io ci ripensi…»
«no…?»
«così il panorama è pure meglio»
«ma il panorama può migliorare»,
e comanda alle sue dita di scostare il costume proprio lì, al centro tra le gambe snelle e alte, quel tanto che basta a svelarmi il sesso lucido; e comanda alle sue dita di carezzarsi, di concedermi uno show dolce a mio uso e consumo, in primissimo piano.
L’intimità di Marta è qualcosa di esteticamente perfetto, spesso la sola immagine mentale è sufficiente a mandarmi fuori di testa e - qui, adesso - potrei anche chiudere gli occhi, penso, potrebbe bastarmi lo sciacquettio del suo dentro e fuori, osceno, unico suono nel silenzio sottile di questa mattina inattesa.
«però ora dovresti…»
Non finisce la frase, non serve; si accuccia sulla sdraio in modo da farsi leccare a fondo, strusciandosi sul mio viso ed inzaccherandomi di cloro e di umori, dominandomi, usandomi fino ad un orgasmo gutturale e violento.
Solo una volta tirato il fiato si accorge degli schizzi che le hanno lambito il sedere, del seme che mi sono riversato addosso, del cazzo che ormai riposa accasciato al sole.
«così… è un po’ sprecato però», mi fa allora mentre sorseggia finalmente il caffè.
Cerco di seguirla mentre si sfila il costume sotto il doccino, ma mi accorgo di essere ancora troppo debole, ancora in orbita, ancora stordito dalla sua veemenza.
Per buone ragioni, forse avrei dovuto declinare. Ma evidentemente le mie buone ragioni non così buone, o almeno non sono quelle di Marta, e mica sono fesso. La sua amica ha paccato e l’occasione di un’intera villetta con piscina a disposizione per tre giorni, lontano dalla città, con lei, la colgo io e amen. Un po’ diverso da una situazione da scopamici, ma appunto: così sia.
I libri e gli appunti sono rimasti a casa, la spesa è fatta perché non abbiamo intenzione di scendere in paese per nessuna ragione al mondo e in questi giorni di luglio non si vede una nuvola in cielo.
Attorno al giardino solo campi, al centro una piscina lungo la quale Marta fa su e giù, convinta come se si trovasse agli allenamenti in vasca.
Due sdraio, due teli, un tavolino, due caffè lunghi, uno intonso e l’altro evidentemente no, fumo tabacco cercando di intuirla attraverso gli schizzi d’acqua, fantasticando. Nonostante i buoni propositi, ieri sera non abbiamo combinato niente, stanchi dal viaggio e dalla settimana di studio. Sonno ristoratore, reset.
Poi stamattina, come ogni rara volta che capita di dormire insieme, al risveglio c’è stato un po’ di imbarazzo - quello di due che si sono lasciati andare ad un’intimità inconsueta, per quanto dolce.
«da qua sei osceno sai?», mi fa divertita Marta in pausa sul bordo della piscina
«ah si?», ribatto io sollevandomi sui gomiti
«ti vedo le palle!»
«se guardi vuol dire che ti piace!»
«dai, levati il costume!»
«ma te? rimani lì?»
«vediamo!»
È una conversazione urlata di quelle che per fortuna non c’è nessuno nel raggio di chilometri.
Mi sfilo i bermuda azzurri e risistemandomi li lancio nella sua direzione. Atterrano in un tonfo umido a meno di mezzo metro da lei.
«scemo!»
«facciamo così…»
«che vuoi propormi, pervertito?»
«esatto, una roba da pervertiti»
«...»
«vieni qui, fatti vedere bene con quel costume»
«vuoi solo guardarmi?»
«no no, voglio farmi una sega mentre ti guardo»
Marta sguscia fuori dall’acqua e si avvicina a passi lenti, manifestandosi come una visione annebbiata tra il prato e il sole. Prendo a toccarmi mentre posso solo intuire il suo caschetto fradicio e sperare nei suoi occhi sorridenti.
Pian piano metto a fuoco il tessuto giallo canarino del costume intero, sgambato e imperlato d’acqua, poi i capezzoli puntuti che pare vogliano bucarlo, ma il dettaglio che cerco sta più in basso - lo sguardo ci arriva da solo, seguendo la linea delle spalle, le braccia e le mani sue che si posano fianchi come in un improvvisato défilé.
Cerco proprio il modo in cui il costume la fascia lì sotto, sul monte di Venere prima di scomparire alla vista, definendo l’impronta del suo sesso - è ciò che voglio ammirare ed è ciò che dà il là definitivo al mio turgore.
«così mi volevi vedere?»
«hm-hm»
«e io che ci guadagno?»
«quello che vuoi - le rispondo mentre sento la cappella farsi ancora più gonfia - però dopo»
«… non so se sono d’accordo»
E allora me la ritrovo sopra, in piedi a cavallo della sdraio che mi sgocciola addosso il fresco della piscina, che mi squadra attraverso i capelli arruffati.
«se pensi che sbattendomela in faccia io ci ripensi…»
«no…?»
«così il panorama è pure meglio»
«ma il panorama può migliorare»,
e comanda alle sue dita di scostare il costume proprio lì, al centro tra le gambe snelle e alte, quel tanto che basta a svelarmi il sesso lucido; e comanda alle sue dita di carezzarsi, di concedermi uno show dolce a mio uso e consumo, in primissimo piano.
L’intimità di Marta è qualcosa di esteticamente perfetto, spesso la sola immagine mentale è sufficiente a mandarmi fuori di testa e - qui, adesso - potrei anche chiudere gli occhi, penso, potrebbe bastarmi lo sciacquettio del suo dentro e fuori, osceno, unico suono nel silenzio sottile di questa mattina inattesa.
«però ora dovresti…»
Non finisce la frase, non serve; si accuccia sulla sdraio in modo da farsi leccare a fondo, strusciandosi sul mio viso ed inzaccherandomi di cloro e di umori, dominandomi, usandomi fino ad un orgasmo gutturale e violento.
Solo una volta tirato il fiato si accorge degli schizzi che le hanno lambito il sedere, del seme che mi sono riversato addosso, del cazzo che ormai riposa accasciato al sole.
«così… è un po’ sprecato però», mi fa allora mentre sorseggia finalmente il caffè.
Cerco di seguirla mentre si sfila il costume sotto il doccino, ma mi accorgo di essere ancora troppo debole, ancora in orbita, ancora stordito dalla sua veemenza.
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