Marta #2.3
di
movement
genere
etero
Il disco è finito, il video è finito, l’energia dell’orgasmo di Marta si disperde tra le pieghe chiare delle lenzuola.
«arrivo – sussurra stordita col respiro corto – ne ho un altro da buttare fuori»
Allora s’inginocchia svelta sul letto sfilandosi la t-shirt.
I suoi seni sono piccolissime coppe di champagne dalle quali si stagliano capezzoli minuti e appuntiti.
Ha un dinosauro stilizzato e una freccia indiana tatuati sul costato.
Ha addominali morbidi ma ben visibili, e braccia armoniose con cui m’istruisce di piazzarmi in piedi davanti a lei.
È una creatura sinuosa e incredibile.
Chiude gli occhi e ricomincia ad accarezzarsi tra le cosce, così, con il viso a pochi centimetri dall’erezione che a questo punto vorrei sfruttare in altro modo. O vorrei, almeno, che lei la sfruttasse di più.
«veniamo insieme», sibila, «non manca molto»
«nemmeno a me»
«sulla faccia… ovunque… fammi un casino»
Ogni carezza che s’infligge, ogni millimetro che s’infila sembrano elevarla verso un posto distante. Senza nessun cuscino da mordere, il suo piacere è un’escalation di tremori, gridolini e sospiri la cui frequenza aumenta rapidamente finché un’ultima scossa non l’attraversa, quella decisiva: tende in alto il viso e spalanca gli occhi con un grido strozzato, nell’istante in cui il primo fiotto bianco e denso esplode lungo, lontano dalla vista.
I successivi centrano il bersaglio - sono raffiche fitte, sono tante quanto i giorni d’attesa, sono un devasto di segni potenti che deflagrano sulla faccia di Marta marcandola proprio come voleva: lungo le guance e il naso, la fronte e il mento, sulle labbra sottili e dentro la bocca, finendo in schizzi sparsi sul collo che colano svelti imperlandole i capezzoli svettanti.
Uno spettacolo pirotecnico. Marta s’affloscia esausta sulle mie gambe, allungandosi a stringere finalmente l’asta mungendomi via così le ultime gocce, che vanno a caderle tra la nuca e le spalle.
*
Marta sguscia giù dal letto e via a passi lenti verso il bagnetto. Noto ora le sue fossette di Venere, penso potrei innamorarmi, non so bene che dire. Nemmeno so quanto tempo passa quando torna avvolta alla ben e meglio in un asciugamano e mi trova lì accasciato, imbambolato sul letto.
«senti… grazie. È stato, non so… è stato come volevo»
«allora sono contento»
«…»
«…»
«ma sei ancora in tiro?»
«ehhh…»
«puoi dormire qui se vuoi, sul divano di là»
All’alba scivolo fuori da casa di Marta come un topo d’appartamento e non so se è più l’orgoglio o il magone.
«arrivo – sussurra stordita col respiro corto – ne ho un altro da buttare fuori»
Allora s’inginocchia svelta sul letto sfilandosi la t-shirt.
I suoi seni sono piccolissime coppe di champagne dalle quali si stagliano capezzoli minuti e appuntiti.
Ha un dinosauro stilizzato e una freccia indiana tatuati sul costato.
Ha addominali morbidi ma ben visibili, e braccia armoniose con cui m’istruisce di piazzarmi in piedi davanti a lei.
È una creatura sinuosa e incredibile.
Chiude gli occhi e ricomincia ad accarezzarsi tra le cosce, così, con il viso a pochi centimetri dall’erezione che a questo punto vorrei sfruttare in altro modo. O vorrei, almeno, che lei la sfruttasse di più.
«veniamo insieme», sibila, «non manca molto»
«nemmeno a me»
«sulla faccia… ovunque… fammi un casino»
Ogni carezza che s’infligge, ogni millimetro che s’infila sembrano elevarla verso un posto distante. Senza nessun cuscino da mordere, il suo piacere è un’escalation di tremori, gridolini e sospiri la cui frequenza aumenta rapidamente finché un’ultima scossa non l’attraversa, quella decisiva: tende in alto il viso e spalanca gli occhi con un grido strozzato, nell’istante in cui il primo fiotto bianco e denso esplode lungo, lontano dalla vista.
I successivi centrano il bersaglio - sono raffiche fitte, sono tante quanto i giorni d’attesa, sono un devasto di segni potenti che deflagrano sulla faccia di Marta marcandola proprio come voleva: lungo le guance e il naso, la fronte e il mento, sulle labbra sottili e dentro la bocca, finendo in schizzi sparsi sul collo che colano svelti imperlandole i capezzoli svettanti.
Uno spettacolo pirotecnico. Marta s’affloscia esausta sulle mie gambe, allungandosi a stringere finalmente l’asta mungendomi via così le ultime gocce, che vanno a caderle tra la nuca e le spalle.
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Marta sguscia giù dal letto e via a passi lenti verso il bagnetto. Noto ora le sue fossette di Venere, penso potrei innamorarmi, non so bene che dire. Nemmeno so quanto tempo passa quando torna avvolta alla ben e meglio in un asciugamano e mi trova lì accasciato, imbambolato sul letto.
«senti… grazie. È stato, non so… è stato come volevo»
«allora sono contento»
«…»
«…»
«ma sei ancora in tiro?»
«ehhh…»
«puoi dormire qui se vuoi, sul divano di là»
All’alba scivolo fuori da casa di Marta come un topo d’appartamento e non so se è più l’orgoglio o il magone.
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