Io, Matilde e Simone - Secondo atto
di
Tempo Al Tempo
genere
trio
Passarono settimane dal nostro threesome, quel turbine di corpi e desideri che Matilde e Simone avevano cercato di relegare a un capitolo chiuso, un'anomalia da non disseppellire per paura di frantumare l'equilibrio fragile delle loro vite. Lei si era immersa nella routine, alternando la fedeltà apparente al marito con gli incontri clandestini con Simone, ripetendosi che quella notte era stata un cedimento isolato, un errore dettato dalla mia manipolazione e dall'adrenalina del momento.
Eppure, un'ombra di inquietudine la seguiva: negava a se stessa di rimuginarci, ma nei momenti di solitudine, quel ricordo le stringeva lo stomaco, un misto di rimpianto e un brivido proibito che la rendeva inquieta, come se il suo corpo serbasse un segreto pronto a emergere, erodendo la sua determinazione a mantenere il controllo. Simone, dal canto suo, aveva elaborato l'esperienza con un velo di possessività temperata da una fascinazione sottile; non ne parlava apertamente, ma dentro di sé riconosceva che aveva infuso nel loro legame un'intensità nuova, una complicità oscura che lo stuzzica più di quanto volesse ammettere, rendendolo meno avverso alla mia ombra.
Io, invece, coltivavo il contatto con messaggi sporadici – osservazioni neutre sul presente, lasciando che il loro desiderio represso facesse il resto, un'attesa paziente per il prossimo spiraglio. Una sera d'autunno, poco prima di cena, Matilde e Simone erano a casa di lei, il marito di Matilde, era al solito via per lavoro.
L'aria intrisa dell'aroma di spezie per un pasto interrotto dal guasto improvviso al suo laptop. Lei sedeva al tavolo, le dita che tamburellavano nervose sul legno, il viso contratto in un'espressione di frustrazione mista a apprensione.
"La VPN non funziona," disse con un sospiro, spingendo via il computer come se fosse un nemico. "Domani ho una scadenza critica, e senza accesso al server sono bloccata." Simone, in piedi dietro di lei, le massaggiò le spalle con tocchi possessivi, il suo animo diviso tra la tenerezza per lei e un'intrigo latente: "Chi può aiutarti? Conosci qualcuno? Io purtroppo non me ne intendo" Matilde annuì, esitante, il suo conflitto interiore che affiorava: sapeva la risposta, ma pronunciarla la turbava, un brivido che le saliva dalla nuca al pensiero di riaprire quella porta. "Solo lui... l'unico che capisce questi sistemi.
Ma se lo chiamo, lo sai com'è – partirà a tutta, soprattutto sapendo che mio marito è via." Le sue parole erano un rifiuto veemente, ma la voce incrinata tradiva l'ambivalenza: il timore di perdere il controllo, il senso di colpa, ma anche un'eco di eccitazione repressa che la faceva dubitare di se stessa, come se il mio nome evocasse un pericolo magnetico. Simone, però, la spinse con un tono complice, le mani che scivolavano più in basso sulla sua schiena: "Chiamalo. Hai bisogno di risolvere, e io sono qui – terrò tutto sotto controllo." Dentro di lui, un misto di gelosia e curiosità: non voleva condividere, ma l'idea di rivivere quel brivido lo solleticava, una complicità che lo rendeva propenso a testare i limiti, spingendola verso la chiamata con un bacio sul collo: "Fallo, Matilde. Non hai niente da temere." Lei esitò ancora, il cuore che accelerava per l'intrigo che lui seminava, ma alla fine annuì, il bisogno pratico che prevaleva sulla sua riluttanza apparente. Il mio telefono squillò mentre uscivo dalla doccia dopo la palestra.
Asciugandomi, vidi il nome di Matilde sullo schermo e risposi con tono neutro, ma il mio istinto predatorio già attivo. "Ciao," disse lei con voce esitante, un velo di ansia che tradiva più di quanto volesse, come se chiamarmi fosse già un cedimento interiore. "Ho un problema con il computer. Non si connette alla rete aziendale, e domani ho una scadenza importante. Potresti aiutarmi ?" Il suo respiro era leggermente accelerato, un segno del suo disagio – chiamare me, il terzo incomodo, mentre era con Simone, la faceva sentire esposta, un conflitto che potevo quasi visualizzare: il rossore che le saliva alle guance, il cuore che accelerava per l'invasione improvvisa del mio mondo nel loro momento intimo, la paura che quel semplice aiuto si trasformasse in qualcosa di incontrollabile, un'eco del passato che lei negava ma che il suo corpo ricordava. Mentre parlava, la incalzai con domande precise, dilatando il dialogo per far montare la tensione: "Sembra complicato da spiegare a voce. Potrei passare da te, è più semplice risolverlo di persona – sono vicino, e così eviti di perdere tempo." Lei esitò, il tono che si irrigidiva in un misto di rifiuto e apprensione: "No, meglio al telefono. Non è il momento giusto, davvero. Possiamo fare da qui – dimmi solo i passi."
Insistetti con gentilezza calcolata, le parole come ami che agganciavano le sue debolezze, prolungando il dialogo: "Matilde, fidati – al telefono rischiamo errori, è complicato.." Alla fine, con un sospiro rassegnato, ammise: "Va bene... ma c'è Simone qui."
Io replicai con una provocazione sottile, la voce bassa, maliziosa e insinuante: "Ancora meglio – sarà come un ritrovo tra vecchi amici, no? Arrivo." Il silenzio che seguì fu carico, il suo conflitto che echeggiava nella linea: sapeva che la mia presenza avrebbe alterato tutto, ma il bisogno la legava. Mentre mi aspettavano, Matilde e Simone tornarono in cucina, l'aria densa di un'intrigo crescente.
Lei camminava avanti e indietro, le mani che si torcevano: "Non deve ricapitare nulla, Simone. Quella notte è stata un errore – concordiamo, vero?" Il suo animo era un turbine: il timore di cedere di nuovo, il senso di colpa che la attanagliava, ma anche un brivido represso che la faceva dubitare, come se il mio imminente arrivo evocasse un pericolo che il suo corpo richiedeva in segreto. Simone annuì, ma il suo tono era complice, meno convinto: "Certo, non ricapiterà, stai tranquilla." Dentro di lui, una fascinazione sottile: l'idea gli piaceva e non poco, rendendolo propenso a esplorare, un'occhiata che tradiva il suo non disdegno per quel brivido condiviso, spingendolo a calmare lei con un bacio: "Rilassati – lo terrò a bada." Matilde annuì, ma il suo cuore accelerava, riluttante in apparenza ma già trascinata dall'intrigo che quel menage rappresentava.
Arrivai a casa sua in pochi minuti, la pelle ancora fresca dalla doccia, un profumo di sapone che contrastava con l'aria carica di tensione che percepii non appena aprì la porta. Matilde era lì, con espressione guardinga, i capelli raccolti in modo frettoloso, una camicetta leggera e pantaloni comodi che non nascondevano la tensione del suo corpo – le spalle rigide, le mani che si torcevano leggermente, un conflitto visibile tra il sollievo per l'aiuto e l'ansia per la mia intrusione, come se la mia presenza avesse già alterato l'equilibrio del loro appuntamento, facendola sentire osservata nel suo stesso spazio.
Simone era in soggiorno, le braccia incrociate ma con un sorriso obliquo che tradiva una complicità inaspettata, come se l'esperienza passata lo avesse reso più aperto al mio ruolo di catalizzatore, meno geloso e più intrigato dal potenziale di quel triangolo, un'occhiata che scambiò con me come a dire "vediamo dove va".
"Entra," disse lei a denti stretti, guidandomi in cucina, il suo passo esitante che rivelava il vortice interiore: voleva che finisse in fretta, ma il mio arrivo aveva già seminato dubbi, facendola dubitare della sua capacità di resistere, un calore sottile che le saliva dal petto nonostante la determinazione a mantenere il controllo.
Lì, sul tavolo da pranzo dove spesso lavorava – il legno lucido disseminato di fogli, tazze di tè mezze vuote e il laptop aperto "È qui il problema," indicò, evitando i miei occhi, il suo corpo che si tendeva come una corda pronta a vibrare, il respiro che accelerava impercettibilmente mentre si sedeva accanto, la vicinanza che già caricava l'atmosfera di elettricità inespressa.
Io annuii, sedendomi di fronte, le dita che sfioravano la tastiera con movimenti lenti, dilatando il momento per far montare la tensione: chiacchierammo del problema, di quanto fosse obbligata a consegnare quel lavoro entro il giorno successivo, frasi neutre che nascondevano un sottotesto – i miei sguardi che si attardavano sul suo collo, sul modo in cui accavallava le gambe, notando il suo disagio crescente, un conflitto che la rendeva irrequieta sulla sedia.
Simone entrò in sala da pranzo con un bicchiere d'acqua, posizionandosi al suo fianco, la sua presenza complice che aggiungeva peso: "Grazie per essere venuto," disse con un tono rilassato, la mano che sfiorava la spalla di Matilde in un gesto casuale ma possessivo, come se già anticipasse il potenziale del nostro trio, il suo animo che vibrava di una curiosità rinnovata, meno riluttante e più propenso a spingere i confini. Mentre risolvevo il problema – molto semplice, in realtà – prolungai la conversazione con domande innocue, su come stessero, lasciando che i silenzi si caricassero di sottintesi, i miei occhi che incrociavano i suoi in sguardi prolungati, facendola spostare sulla sedia, il corpo che tradiva un calore represso. Simone, complice, aggiunse: "È bello rivederti – le cose sono andate bene dopo l'ultima volta?" Matilde lo fulminò con lo sguardo: "Non iniziare," ma il suo rossore tradiva il turbamento, un conflitto interiore che montava: voleva resistere, ma la nostra vicinanza, il desiderio che noi due emanavamo, la rendeva consapevole di un'intrigo che la trascinava contro la sua volontà apparente.
Solo allora, mentre il laptop si riavviava, il mio sguardo si attardò sul PC, e dissi con tono casuale: "Questo tavolo... è lo stesso da cui mi mandavi quelle foto estive, vero? Tu in intimo, durante lo smart working, con la finestra aperta sui vicini, eccoli li i balconi dove venivi spiata. Eri esposta, e quel rischio ti accendeva." Lei arrossì violentemente, ma non rinnegò: "Fuoriluogo tirarlo fuori ora – sei qui per il computer, non per altro." Simone, sorpreso, inclinò la testa: "Foto? Quali foto?" Matilde esitò, il suo animo in subbuglio – un misto di imbarazzo e un brivido proibito – prima di spiegare con voce bassa: "Era estate, gliene ho mandate alcune, in intimo, mentre lavoravo qui.
La finestra era aperta, i vicini potevano vedere. È stato... un momento di follia." Simone annuì lentamente, gli occhi che si illuminavano di curiosità complice: "Raccontami di più – suona eccitante. Come ti sentivi?" Lei distolse lo sguardo: "Smettila anche tu." La tensione salì, un'aria densa che saturava la cucina, i loro corpi che si avvicinavano impercettibilmente, Matilde riluttante ma intrappolata dal nostro sguardo condiviso, un intrigo che la avvolgeva come una rete, il suo cuore che accelerava mentre Simone incalzava con domande sussurrate, la sua complicità che la spingeva verso il precipizio. La tensione crebbe in un crescendo di sguardi e tocchi fugaci: io le sfiorai la mano "per caso" passando il laptop, Simone le accarezzò la schiena con più insistenza, i nostri corpi che si inclinavano verso di lei, l'aria che si caricava di elettricità, i silenzi pregni di possibilità, il suo respiro che si approfondiva nonostante i tentativi di resistere. "Siete troppo vicini," mormorò lei, ma il suo corpo non si ritrasse, riluttante in apparenza ma già trascinata dal nostro desiderio unisono.
Proprio allora, mentre come al mio solito presi il vino dal frito per "festeggiare" la risoluzione del problema tecnico, il telefono di Matilde squillò: era il marito. Lei rispose con voce tesa, il corpo già fremente dalla nostra vicinanza: "Ciao... sì, il problema al computer è risolto – ho chiamato un amico e mi ha aiutata dal telefono."
In quel momento, con un'occhiata complice a Simone – che annuì con un ghigno, il suo desiderio che lo rendeva alleato attivo, spingendolo a testare i limiti di lei – decidemmo di agire, trasformando la chiamata in un gioco intrigante.
Io mi inginocchiai piano sotto il tavolo, le mani che le sfioravano le cosce con tocchi leggeri ma insistenti, separandole con una pressione calcolata che la fece sussultare; Simone, al suo fianco, le baciò il collo con labbra calde, le dita che scivolavano sotto la camicetta per accarezzarle i seni, sfregando i capezzoli con movimenti circolari che la fecero irrigidire. Matilde lottò per mantenere la compostezza: "Sì, tutto bene... solo un po' distratta," balbettò, ma il marito insistette: "Sembri strana, cos'hai?" "Niente, davvero – dimmi di te, com'è la trasferta?" replicò lei, i gemiti soffocati che le sfuggivano mentre la mia lingua lambiva l'interno delle sue cosce, risalendo lenta verso il calore umido tra le gambe, sfregando attraverso il tessuto con pressioni alternate, il suo aroma muschiato che mi invadeva i sensi, facendola tremare sulla sedia. Simone le sussurrò all'orecchio: "Tieni duro," il suo tocco che si intensificava, le dita che pizzicavano piano, amplificando ogni mia carezza, il suo animo complice che lo eccitava nel vederla cedere, il marito che continuava: "Sicura? Sei strana." "È... lo stress, nient'altro – raccontami della riunione," ansimò lei, il corpo che si inarcava impercettibilmente, la voce incrinata mentre noi diventavamo più sfrontati, la mia bocca che premeva più forte, le dita di Simone che scendevano verso il basso, sfregando il clitoride attraverso i pantaloni.
La chiamata si prolungò in un tormento, il marito che divagava su dettagli banali, lei che rispondeva a fatica: "Sì... capisco... continua," i suoi gemiti repressi che sfuggivano come sussurri, il conflitto che la dilaniava – paura di essere scoperta, eccitazione che la travolgeva, il corpo che tradiva la mente in spasmi incontrollati.
Finalmente riattaccò, il viso distorto da un misto di panico e estasi: "Siete due pazzi," mormorò, ma le sue mani afferrarono le nostre, riluttante in apparenza ma già trascinata dal nostro desiderio.
Da lì, l'escalation fu inesorabile, ma dilatata in un crescendo di tocchi e sussurri, ancorata al presente, al brivido di quel tavolo quotidiano violato dalla nostra fame condivisa. Matilde rimase seduta sulla sedia, noi due ai suoi lati come guardie complici; Simone e io tirammo fuori i nostri membri, duri e pulsanti, portandoli vicini alla sua bocca con un gesto simultaneo che la fece esitare, gli occhi dilatati dal conflitto: "Non voglio... vi prego," sussurrò, ma le sue mani li afferrarono piano, alternando succhiate – prima Simone, le labbra che lo avvolgevano in un calore umido, la lingua che ruotava attorno alla punta con movimenti lenti e profondi, gemiti soffocati che vibravano su di lui, il suo sapore salato che le riempiva la bocca mentre lui ansimava, le mani nei suoi capelli per guidarla con gentilezza, l'emozione di possesso mista a eccitazione complice; poi me, la bocca che scivolava lungo la lunghezza, succhiando con avidità crescente mentre la sua lingua esplorava ogni vena, i miei gemiti che echeggiavano nella cucina, un piacere acuto che mi attraversava, il suo sguardo che incrociava il mio in un misto di sfida e resa, le emozioni che la travolgevano – riluttanza che si dissolveva in fame, il corpo che si scaldava tra noi, trascinata dal nostro desiderio unisono.
Matilde a quel punto, ormai abbandonata ai suoi sensi, alla sua più folle peccaminosità si sdraiò sul tavolo: io le sfilai i pantaloni, esponendo la sua intimità bagnata alla luce della cucina, le dita che tracciavano linee umide sulle cosce, l'emozione di dominio che mi pulsava nelle vene mentre lei tremava, il suo calore che mi attirava come un magnete; Simone le tolse la camicetta, le labbra che tracciavano percorsi umidi sui seni, mordicchiando i capezzoli eretti con denti leggeri, l'emozione di complicità che lo infiammava, vedendola cedere sotto le nostre mani. Matilde si abbandonò sul legno freddo, le gambe aperte in un invito conflittuale: "Continuate... vi prego," ansimò, la sua resistenza apparente dissolta dal nostro desiderio, il corpo che si inarcava in anticipazione.
Simone la penetrò tra le sue cosce, le spinte ritmiche che facevano oscillare il tavolo, ogni affondo profondo che la riempiva, i muscoli interni che lo stringevano in contrazioni ritmiche, i suoi gemiti che echeggiavano mentre lui ansimava, l'emozione di possesso che lo travolgeva, il piacere di vederla reagire a ogni movimento; io le offrii il mio membro da un lato, che lei succhiò con fame, la lingua che danzava mentre il suo corpo si contraeva, l'emozione di controllo che mi invadeva, il suo calore orale che mi portava al limite.
Ci alternammo con fluidità, poi Matilde scese dal tavolo e si chinò sul bordo, io la presi da dietro. le sue mani aggrappate al legno, affondi profondi che la facevano gemere, il suo calore stretto che mi avvolgeva in un abbraccio bagnato, ogni spinta che la portava più vicina al culmine, l'emozione di dominio che mi pulsava. Simone le baciava la schiena, le dita che sfregavano il clitoride, l'emozione di complicità che lo eccitava, vedendola tremare tra noi. Matilde raggiungeva l'orgasmo in ondate: prima un fremito che le saliva dal basso, i muscoli che si contraevano in spasmi violenti attorno a me, un grido soffocato che le sfuggiva mentre il piacere la travolgeva come un'onda, il corpo che si inarcava in estasi, le emozioni che la dilaniavano – liberazione mista a colpa, un culmine che la lasciava ansimante ma affamata di più. Prolungammo il piacere in posizione diverse: Matilde cavalcò Simone a sua volta sdraiato sul tavolo, i fianchi che ruotavano in un ritmo ondulante, il suo calore che lo avvolgeva stretto mentre lei controllava il passo, l'emozione di potere che la infiammava nonostante la riluttanza iniziale; io le accarezzavo i seni da dietro, le labbra sul collo che mordicchiavano, l'emozione di unione che ci legava. Poi ci girammo, io sotto di lei in una penetrazione frontale, Simone che entrava da dietro in quella doppia penetrazione che lei adorava, aveva passato tante notti a ripensarci, i nostri ritmi che si sincronizzavano in spinte alternate, facendola tremare in spasmi crescenti, i nostri gemiti che si mescolavano, l'emozione di completezza che ci travolgeva.
Alla fine, decise di sdraiasi sul pavimento della cucina: noi in ginocchio ai suoi lati, le sue mani che ci accarezzavano, alternando succhiate ai nostri membri sempre più duri e carezze fino al culmine – i nostri rilasci pulsanti che le schizzavano sui seni e sulla pancia, fiotti caldi che la segnavano in un disordine appiccicoso, il suo corpo che si inarcava in un ultimo orgasmo, contrazioni violente che la scuotevano, un grido che echeggiava nella stanza. Rimanemmo lì, ansimanti sul pavimento disseminato di bicchieri rovesciati, i corpi intrecciati in un groviglio sudato. Matilde, tra noi, rise piano con occhi appagati ma velati di stupore e leccando un po' del nostro sperma raccolto sui suoi seni: "Non doveva succedere di nuovo... ma Dio quanto è bello." Simone le baciò la fronte, complice come non mai: "Forse non è finita qui." Io osservai, poi presi il telefono dalla tasca e mostrai lo schermo: "Ho ripreso tutto – così potrete rivederlo quando volete." Lei impallidì, ma un sorriso obliquo le sfiorò le labbra, il nostro legame un intreccio di desideri che non si sarebbe spezzato presto.
Eppure, un'ombra di inquietudine la seguiva: negava a se stessa di rimuginarci, ma nei momenti di solitudine, quel ricordo le stringeva lo stomaco, un misto di rimpianto e un brivido proibito che la rendeva inquieta, come se il suo corpo serbasse un segreto pronto a emergere, erodendo la sua determinazione a mantenere il controllo. Simone, dal canto suo, aveva elaborato l'esperienza con un velo di possessività temperata da una fascinazione sottile; non ne parlava apertamente, ma dentro di sé riconosceva che aveva infuso nel loro legame un'intensità nuova, una complicità oscura che lo stuzzica più di quanto volesse ammettere, rendendolo meno avverso alla mia ombra.
Io, invece, coltivavo il contatto con messaggi sporadici – osservazioni neutre sul presente, lasciando che il loro desiderio represso facesse il resto, un'attesa paziente per il prossimo spiraglio. Una sera d'autunno, poco prima di cena, Matilde e Simone erano a casa di lei, il marito di Matilde, era al solito via per lavoro.
L'aria intrisa dell'aroma di spezie per un pasto interrotto dal guasto improvviso al suo laptop. Lei sedeva al tavolo, le dita che tamburellavano nervose sul legno, il viso contratto in un'espressione di frustrazione mista a apprensione.
"La VPN non funziona," disse con un sospiro, spingendo via il computer come se fosse un nemico. "Domani ho una scadenza critica, e senza accesso al server sono bloccata." Simone, in piedi dietro di lei, le massaggiò le spalle con tocchi possessivi, il suo animo diviso tra la tenerezza per lei e un'intrigo latente: "Chi può aiutarti? Conosci qualcuno? Io purtroppo non me ne intendo" Matilde annuì, esitante, il suo conflitto interiore che affiorava: sapeva la risposta, ma pronunciarla la turbava, un brivido che le saliva dalla nuca al pensiero di riaprire quella porta. "Solo lui... l'unico che capisce questi sistemi.
Ma se lo chiamo, lo sai com'è – partirà a tutta, soprattutto sapendo che mio marito è via." Le sue parole erano un rifiuto veemente, ma la voce incrinata tradiva l'ambivalenza: il timore di perdere il controllo, il senso di colpa, ma anche un'eco di eccitazione repressa che la faceva dubitare di se stessa, come se il mio nome evocasse un pericolo magnetico. Simone, però, la spinse con un tono complice, le mani che scivolavano più in basso sulla sua schiena: "Chiamalo. Hai bisogno di risolvere, e io sono qui – terrò tutto sotto controllo." Dentro di lui, un misto di gelosia e curiosità: non voleva condividere, ma l'idea di rivivere quel brivido lo solleticava, una complicità che lo rendeva propenso a testare i limiti, spingendola verso la chiamata con un bacio sul collo: "Fallo, Matilde. Non hai niente da temere." Lei esitò ancora, il cuore che accelerava per l'intrigo che lui seminava, ma alla fine annuì, il bisogno pratico che prevaleva sulla sua riluttanza apparente. Il mio telefono squillò mentre uscivo dalla doccia dopo la palestra.
Asciugandomi, vidi il nome di Matilde sullo schermo e risposi con tono neutro, ma il mio istinto predatorio già attivo. "Ciao," disse lei con voce esitante, un velo di ansia che tradiva più di quanto volesse, come se chiamarmi fosse già un cedimento interiore. "Ho un problema con il computer. Non si connette alla rete aziendale, e domani ho una scadenza importante. Potresti aiutarmi ?" Il suo respiro era leggermente accelerato, un segno del suo disagio – chiamare me, il terzo incomodo, mentre era con Simone, la faceva sentire esposta, un conflitto che potevo quasi visualizzare: il rossore che le saliva alle guance, il cuore che accelerava per l'invasione improvvisa del mio mondo nel loro momento intimo, la paura che quel semplice aiuto si trasformasse in qualcosa di incontrollabile, un'eco del passato che lei negava ma che il suo corpo ricordava. Mentre parlava, la incalzai con domande precise, dilatando il dialogo per far montare la tensione: "Sembra complicato da spiegare a voce. Potrei passare da te, è più semplice risolverlo di persona – sono vicino, e così eviti di perdere tempo." Lei esitò, il tono che si irrigidiva in un misto di rifiuto e apprensione: "No, meglio al telefono. Non è il momento giusto, davvero. Possiamo fare da qui – dimmi solo i passi."
Insistetti con gentilezza calcolata, le parole come ami che agganciavano le sue debolezze, prolungando il dialogo: "Matilde, fidati – al telefono rischiamo errori, è complicato.." Alla fine, con un sospiro rassegnato, ammise: "Va bene... ma c'è Simone qui."
Io replicai con una provocazione sottile, la voce bassa, maliziosa e insinuante: "Ancora meglio – sarà come un ritrovo tra vecchi amici, no? Arrivo." Il silenzio che seguì fu carico, il suo conflitto che echeggiava nella linea: sapeva che la mia presenza avrebbe alterato tutto, ma il bisogno la legava. Mentre mi aspettavano, Matilde e Simone tornarono in cucina, l'aria densa di un'intrigo crescente.
Lei camminava avanti e indietro, le mani che si torcevano: "Non deve ricapitare nulla, Simone. Quella notte è stata un errore – concordiamo, vero?" Il suo animo era un turbine: il timore di cedere di nuovo, il senso di colpa che la attanagliava, ma anche un brivido represso che la faceva dubitare, come se il mio imminente arrivo evocasse un pericolo che il suo corpo richiedeva in segreto. Simone annuì, ma il suo tono era complice, meno convinto: "Certo, non ricapiterà, stai tranquilla." Dentro di lui, una fascinazione sottile: l'idea gli piaceva e non poco, rendendolo propenso a esplorare, un'occhiata che tradiva il suo non disdegno per quel brivido condiviso, spingendolo a calmare lei con un bacio: "Rilassati – lo terrò a bada." Matilde annuì, ma il suo cuore accelerava, riluttante in apparenza ma già trascinata dall'intrigo che quel menage rappresentava.
Arrivai a casa sua in pochi minuti, la pelle ancora fresca dalla doccia, un profumo di sapone che contrastava con l'aria carica di tensione che percepii non appena aprì la porta. Matilde era lì, con espressione guardinga, i capelli raccolti in modo frettoloso, una camicetta leggera e pantaloni comodi che non nascondevano la tensione del suo corpo – le spalle rigide, le mani che si torcevano leggermente, un conflitto visibile tra il sollievo per l'aiuto e l'ansia per la mia intrusione, come se la mia presenza avesse già alterato l'equilibrio del loro appuntamento, facendola sentire osservata nel suo stesso spazio.
Simone era in soggiorno, le braccia incrociate ma con un sorriso obliquo che tradiva una complicità inaspettata, come se l'esperienza passata lo avesse reso più aperto al mio ruolo di catalizzatore, meno geloso e più intrigato dal potenziale di quel triangolo, un'occhiata che scambiò con me come a dire "vediamo dove va".
"Entra," disse lei a denti stretti, guidandomi in cucina, il suo passo esitante che rivelava il vortice interiore: voleva che finisse in fretta, ma il mio arrivo aveva già seminato dubbi, facendola dubitare della sua capacità di resistere, un calore sottile che le saliva dal petto nonostante la determinazione a mantenere il controllo.
Lì, sul tavolo da pranzo dove spesso lavorava – il legno lucido disseminato di fogli, tazze di tè mezze vuote e il laptop aperto "È qui il problema," indicò, evitando i miei occhi, il suo corpo che si tendeva come una corda pronta a vibrare, il respiro che accelerava impercettibilmente mentre si sedeva accanto, la vicinanza che già caricava l'atmosfera di elettricità inespressa.
Io annuii, sedendomi di fronte, le dita che sfioravano la tastiera con movimenti lenti, dilatando il momento per far montare la tensione: chiacchierammo del problema, di quanto fosse obbligata a consegnare quel lavoro entro il giorno successivo, frasi neutre che nascondevano un sottotesto – i miei sguardi che si attardavano sul suo collo, sul modo in cui accavallava le gambe, notando il suo disagio crescente, un conflitto che la rendeva irrequieta sulla sedia.
Simone entrò in sala da pranzo con un bicchiere d'acqua, posizionandosi al suo fianco, la sua presenza complice che aggiungeva peso: "Grazie per essere venuto," disse con un tono rilassato, la mano che sfiorava la spalla di Matilde in un gesto casuale ma possessivo, come se già anticipasse il potenziale del nostro trio, il suo animo che vibrava di una curiosità rinnovata, meno riluttante e più propenso a spingere i confini. Mentre risolvevo il problema – molto semplice, in realtà – prolungai la conversazione con domande innocue, su come stessero, lasciando che i silenzi si caricassero di sottintesi, i miei occhi che incrociavano i suoi in sguardi prolungati, facendola spostare sulla sedia, il corpo che tradiva un calore represso. Simone, complice, aggiunse: "È bello rivederti – le cose sono andate bene dopo l'ultima volta?" Matilde lo fulminò con lo sguardo: "Non iniziare," ma il suo rossore tradiva il turbamento, un conflitto interiore che montava: voleva resistere, ma la nostra vicinanza, il desiderio che noi due emanavamo, la rendeva consapevole di un'intrigo che la trascinava contro la sua volontà apparente.
Solo allora, mentre il laptop si riavviava, il mio sguardo si attardò sul PC, e dissi con tono casuale: "Questo tavolo... è lo stesso da cui mi mandavi quelle foto estive, vero? Tu in intimo, durante lo smart working, con la finestra aperta sui vicini, eccoli li i balconi dove venivi spiata. Eri esposta, e quel rischio ti accendeva." Lei arrossì violentemente, ma non rinnegò: "Fuoriluogo tirarlo fuori ora – sei qui per il computer, non per altro." Simone, sorpreso, inclinò la testa: "Foto? Quali foto?" Matilde esitò, il suo animo in subbuglio – un misto di imbarazzo e un brivido proibito – prima di spiegare con voce bassa: "Era estate, gliene ho mandate alcune, in intimo, mentre lavoravo qui.
La finestra era aperta, i vicini potevano vedere. È stato... un momento di follia." Simone annuì lentamente, gli occhi che si illuminavano di curiosità complice: "Raccontami di più – suona eccitante. Come ti sentivi?" Lei distolse lo sguardo: "Smettila anche tu." La tensione salì, un'aria densa che saturava la cucina, i loro corpi che si avvicinavano impercettibilmente, Matilde riluttante ma intrappolata dal nostro sguardo condiviso, un intrigo che la avvolgeva come una rete, il suo cuore che accelerava mentre Simone incalzava con domande sussurrate, la sua complicità che la spingeva verso il precipizio. La tensione crebbe in un crescendo di sguardi e tocchi fugaci: io le sfiorai la mano "per caso" passando il laptop, Simone le accarezzò la schiena con più insistenza, i nostri corpi che si inclinavano verso di lei, l'aria che si caricava di elettricità, i silenzi pregni di possibilità, il suo respiro che si approfondiva nonostante i tentativi di resistere. "Siete troppo vicini," mormorò lei, ma il suo corpo non si ritrasse, riluttante in apparenza ma già trascinata dal nostro desiderio unisono.
Proprio allora, mentre come al mio solito presi il vino dal frito per "festeggiare" la risoluzione del problema tecnico, il telefono di Matilde squillò: era il marito. Lei rispose con voce tesa, il corpo già fremente dalla nostra vicinanza: "Ciao... sì, il problema al computer è risolto – ho chiamato un amico e mi ha aiutata dal telefono."
In quel momento, con un'occhiata complice a Simone – che annuì con un ghigno, il suo desiderio che lo rendeva alleato attivo, spingendolo a testare i limiti di lei – decidemmo di agire, trasformando la chiamata in un gioco intrigante.
Io mi inginocchiai piano sotto il tavolo, le mani che le sfioravano le cosce con tocchi leggeri ma insistenti, separandole con una pressione calcolata che la fece sussultare; Simone, al suo fianco, le baciò il collo con labbra calde, le dita che scivolavano sotto la camicetta per accarezzarle i seni, sfregando i capezzoli con movimenti circolari che la fecero irrigidire. Matilde lottò per mantenere la compostezza: "Sì, tutto bene... solo un po' distratta," balbettò, ma il marito insistette: "Sembri strana, cos'hai?" "Niente, davvero – dimmi di te, com'è la trasferta?" replicò lei, i gemiti soffocati che le sfuggivano mentre la mia lingua lambiva l'interno delle sue cosce, risalendo lenta verso il calore umido tra le gambe, sfregando attraverso il tessuto con pressioni alternate, il suo aroma muschiato che mi invadeva i sensi, facendola tremare sulla sedia. Simone le sussurrò all'orecchio: "Tieni duro," il suo tocco che si intensificava, le dita che pizzicavano piano, amplificando ogni mia carezza, il suo animo complice che lo eccitava nel vederla cedere, il marito che continuava: "Sicura? Sei strana." "È... lo stress, nient'altro – raccontami della riunione," ansimò lei, il corpo che si inarcava impercettibilmente, la voce incrinata mentre noi diventavamo più sfrontati, la mia bocca che premeva più forte, le dita di Simone che scendevano verso il basso, sfregando il clitoride attraverso i pantaloni.
La chiamata si prolungò in un tormento, il marito che divagava su dettagli banali, lei che rispondeva a fatica: "Sì... capisco... continua," i suoi gemiti repressi che sfuggivano come sussurri, il conflitto che la dilaniava – paura di essere scoperta, eccitazione che la travolgeva, il corpo che tradiva la mente in spasmi incontrollati.
Finalmente riattaccò, il viso distorto da un misto di panico e estasi: "Siete due pazzi," mormorò, ma le sue mani afferrarono le nostre, riluttante in apparenza ma già trascinata dal nostro desiderio.
Da lì, l'escalation fu inesorabile, ma dilatata in un crescendo di tocchi e sussurri, ancorata al presente, al brivido di quel tavolo quotidiano violato dalla nostra fame condivisa. Matilde rimase seduta sulla sedia, noi due ai suoi lati come guardie complici; Simone e io tirammo fuori i nostri membri, duri e pulsanti, portandoli vicini alla sua bocca con un gesto simultaneo che la fece esitare, gli occhi dilatati dal conflitto: "Non voglio... vi prego," sussurrò, ma le sue mani li afferrarono piano, alternando succhiate – prima Simone, le labbra che lo avvolgevano in un calore umido, la lingua che ruotava attorno alla punta con movimenti lenti e profondi, gemiti soffocati che vibravano su di lui, il suo sapore salato che le riempiva la bocca mentre lui ansimava, le mani nei suoi capelli per guidarla con gentilezza, l'emozione di possesso mista a eccitazione complice; poi me, la bocca che scivolava lungo la lunghezza, succhiando con avidità crescente mentre la sua lingua esplorava ogni vena, i miei gemiti che echeggiavano nella cucina, un piacere acuto che mi attraversava, il suo sguardo che incrociava il mio in un misto di sfida e resa, le emozioni che la travolgevano – riluttanza che si dissolveva in fame, il corpo che si scaldava tra noi, trascinata dal nostro desiderio unisono.
Matilde a quel punto, ormai abbandonata ai suoi sensi, alla sua più folle peccaminosità si sdraiò sul tavolo: io le sfilai i pantaloni, esponendo la sua intimità bagnata alla luce della cucina, le dita che tracciavano linee umide sulle cosce, l'emozione di dominio che mi pulsava nelle vene mentre lei tremava, il suo calore che mi attirava come un magnete; Simone le tolse la camicetta, le labbra che tracciavano percorsi umidi sui seni, mordicchiando i capezzoli eretti con denti leggeri, l'emozione di complicità che lo infiammava, vedendola cedere sotto le nostre mani. Matilde si abbandonò sul legno freddo, le gambe aperte in un invito conflittuale: "Continuate... vi prego," ansimò, la sua resistenza apparente dissolta dal nostro desiderio, il corpo che si inarcava in anticipazione.
Simone la penetrò tra le sue cosce, le spinte ritmiche che facevano oscillare il tavolo, ogni affondo profondo che la riempiva, i muscoli interni che lo stringevano in contrazioni ritmiche, i suoi gemiti che echeggiavano mentre lui ansimava, l'emozione di possesso che lo travolgeva, il piacere di vederla reagire a ogni movimento; io le offrii il mio membro da un lato, che lei succhiò con fame, la lingua che danzava mentre il suo corpo si contraeva, l'emozione di controllo che mi invadeva, il suo calore orale che mi portava al limite.
Ci alternammo con fluidità, poi Matilde scese dal tavolo e si chinò sul bordo, io la presi da dietro. le sue mani aggrappate al legno, affondi profondi che la facevano gemere, il suo calore stretto che mi avvolgeva in un abbraccio bagnato, ogni spinta che la portava più vicina al culmine, l'emozione di dominio che mi pulsava. Simone le baciava la schiena, le dita che sfregavano il clitoride, l'emozione di complicità che lo eccitava, vedendola tremare tra noi. Matilde raggiungeva l'orgasmo in ondate: prima un fremito che le saliva dal basso, i muscoli che si contraevano in spasmi violenti attorno a me, un grido soffocato che le sfuggiva mentre il piacere la travolgeva come un'onda, il corpo che si inarcava in estasi, le emozioni che la dilaniavano – liberazione mista a colpa, un culmine che la lasciava ansimante ma affamata di più. Prolungammo il piacere in posizione diverse: Matilde cavalcò Simone a sua volta sdraiato sul tavolo, i fianchi che ruotavano in un ritmo ondulante, il suo calore che lo avvolgeva stretto mentre lei controllava il passo, l'emozione di potere che la infiammava nonostante la riluttanza iniziale; io le accarezzavo i seni da dietro, le labbra sul collo che mordicchiavano, l'emozione di unione che ci legava. Poi ci girammo, io sotto di lei in una penetrazione frontale, Simone che entrava da dietro in quella doppia penetrazione che lei adorava, aveva passato tante notti a ripensarci, i nostri ritmi che si sincronizzavano in spinte alternate, facendola tremare in spasmi crescenti, i nostri gemiti che si mescolavano, l'emozione di completezza che ci travolgeva.
Alla fine, decise di sdraiasi sul pavimento della cucina: noi in ginocchio ai suoi lati, le sue mani che ci accarezzavano, alternando succhiate ai nostri membri sempre più duri e carezze fino al culmine – i nostri rilasci pulsanti che le schizzavano sui seni e sulla pancia, fiotti caldi che la segnavano in un disordine appiccicoso, il suo corpo che si inarcava in un ultimo orgasmo, contrazioni violente che la scuotevano, un grido che echeggiava nella stanza. Rimanemmo lì, ansimanti sul pavimento disseminato di bicchieri rovesciati, i corpi intrecciati in un groviglio sudato. Matilde, tra noi, rise piano con occhi appagati ma velati di stupore e leccando un po' del nostro sperma raccolto sui suoi seni: "Non doveva succedere di nuovo... ma Dio quanto è bello." Simone le baciò la fronte, complice come non mai: "Forse non è finita qui." Io osservai, poi presi il telefono dalla tasca e mostrai lo schermo: "Ho ripreso tutto – così potrete rivederlo quando volete." Lei impallidì, ma un sorriso obliquo le sfiorò le labbra, il nostro legame un intreccio di desideri che non si sarebbe spezzato presto.
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