Predatori di corpi
di
lucen warrant
genere
bisex
Il supermercato ribolliva di voci, carrelli, odori. Monica, piegata sulle cassette di frutta, sentì all’improvviso una mano appoggiarsi sui suoi glutei e poi artigliarli, forte, decisa. Si voltò di scatto, pronta a urlare la sua indignazione, ma il fiato le si bloccò in gola.
Non era un vecchio bavoso, né un ragazzotto sfrontato. Davanti a lei c’era una donna: alta, vestita di scuro, rossetto nero sulle labbra, che disegnavano un sorriso beffardo. Ritirò la mano con calma, lasciandole addosso una scia di calore bruciante.
Più tardi, fuori, la stessa donna la attendeva appoggiata a un palo, lo sguardo sicuro.
— Un bicchiere insieme?
Non era una domanda, non ancora un ordine, ma un invito che portava con sé la certezza di essere accolto. Monica annuì senza capire perché.
Al bar, la sconosciuta – si chiamava Selvaggia – parlava con voce bassa, roca, intrisa di libidine, di un’ironia velenosa. Esaltava il corpo morbido di Monica, i seni pieni, le cosce toniche, la pancia tenera,
— Carne vera, da mordere, da assaggiare… non come una bambolina siliconata, non sai quanto potresti farmi godere. Ogni parola era un colpo, ma anche una carezza: la spogliava con gli occhi, e Monica non si difendeva. Una mano le sfiorò il ginocchio; lei rimase ferma, come in attesa.
— Vieni da me. Non ci fu esitazione. Monica si scoprì già in piedi, pronta a seguirla.
L’androne odorava di muffa, le scale portavano a una porta massiccia di legno scuro. Dentro, la penombra rossa, bottiglie vuote, un odore di cera e fumo. Selvaggia la spinse contro il muro, la baciò con ferocia, ma nel contempo la tenne stretta, come se il suo corpo avesse già trovato un posto dove appartenere.
— Morbida… calda…— mormorava, spingendo le mani a esplorare, a strappare piano i vestiti. La lingua tracciava scie sul collo, sulle spalle, tra le cosce. Monica ansimava, divisa tra la sorpresa e un piacere che la travolgeva. Non c’era violenza, ma un gioco spietato e seducente, in cui era lei stessa a decidere di non opporsi.
Selvaggia alzò un attimo il volto, la bocca lucida di succhi. — Così ti voglio, sporca, disfatta, puttana.
E tornò a seppellirsi dentro di lei, più a fondo, più famelica.
Quando le gambe le furono spalancate e il respiro le si spezzò in gola, Monica capì che stava rispondendo a una parte di sé che non chiedeva più permesso. Quella parte che voleva essere presa, amata e divorata.
La porta cigolò e un uomo emerse dalla penombra. Alto, spalle larghe, lo sguardo liquido come vetro fuso. Edgar non si presentò: era come se fosse già lì da sempre. Selvaggia rise piano. — Non sei l’unica a saper vedere, cara. Lui ha fiuto per le anime affamate
Monica trattenne il respiro, ma non si sentiva braccata: si sentiva riconosciuta. Edgar la osservava con calma, come un cacciatore che sa già che la preda non scapperà. E lei non voleva scappare.
— Che bella creatura hai portato, carne pregiata, — disse con voce bassa, vellutata. — pronta a lasciarsi andare? Monica annuì, senza vergogna. Le labbra le tremavano di desiderio puro.
La stanza rosseggiava di fumo e ombre. Monica, nuda, tremava al centro, i seni che ondeggiavano sotto il respiro corto. Selvaggia le accarezzava i fianchi, il rossetto sbavato in un sorriso feroce. Edgar, invece, non si avventò subito: la osservava, la percorreva con lo sguardo come un collezionista davanti al suo tesoro.
— Guardatela…— disse con voce lenta, grave. — Cosce tornite, agili ma forti, che reggono e stringono. Carne fatta per cavalcare. Passò le mani lungo i fianchi larghi. — Qui sta la tua natura: il calice che riceve, il ventre che accoglie. Selvaggia rise, mordendole un capezzolo con schiocco umido. — Ti legge come un libro erotico… e tu già grondi, Monica.
Lei gemette, la vergogna liquefatta in calore. Edgar le sollevò i seni, li pesò tra le mani come frutti maturi.
—Morbidi, pesanti, veri. Capezzoli che chiedono morsi, che vogliono essere succhiati fino a perdere fiato. Selvaggia le succhiò la pelle bagnata di sudore. «Godi, puttana. Questa è la tua consacrazione.»
Edgar la spinse a girarsi, le mani che le aprivano le natiche con lentezza crudele.
— E questo culo… rotondo, splendido. È la tua porta segreta, Monica. Nessuno può guardarlo senza desiderare di prenderlo. La carezzò, leccò, la preparò solo con le parole. Lei ansimava, già scossa da spasmi anticipati.
Selvaggia infilò due dita dentro la sua figa, spingendo con decisione.
—Ascolta il tuo corpo, troia. Lui ti nomina e tu tremi. Edgar la penetrò di colpo, violento, strappandole un urlo che rimbalzò contro le pareti rosse. Le spinte erano ruvide, implacabili; Selvaggia la teneva ferma, succhiandole i seni, torcendole le dita in figa.
Ogni affondo era accompagnato dalla voce grave di Edgar:
— Questa fica grondante è il tuo sigillo. Il tuo ventre è la nostra tavola. Sei nata per questo rito. Monica gemette, spezzata, senza difese.
— Sono vostra! Scopatemiii!— gridò, mentre il piacere la travolgeva, oscuro e inarrestabile.
I tre corpi si intrecciarono in un vortice di carne e sudore. Selvaggia le baciava la bocca, Edgar la divorava da dietro, e ogni parola pronunciata era un chiodo che la fissava a quella verità nuova: non più spettatrice, ma offerta viva, consacrata tra i due predatori.
— Ora sei nostra complice, —mormorò Selvaggia, sollevando lo sguardo umido e febbrile. Edgar annuì, senza smettere di muoversi dentro di lei. Monica, ansimando, trovò la forza di rispondere:
—Sì… sono vostra.
Il rito si consumò in un vortice di sudore, baci e spinte, fino a che i corpi collassarono insieme, intrecciati, stremati ma sazi. Nella stanza aleggiava un silenzio denso, come dopo una preghiera.
Quando si rivestì, le mani le tremavano ancora. Selvaggia la osservava fumando lenta, Edgar in silenzio accanto a lei. Non c’erano catene, non c’erano ordini: solo lo sguardo fermo di chi sa che la scelta non è mai del tutto libera, eppure non è mai forzata.
Alla porta, Monica si voltò un’ultima volta. La stanza arrossata di cera e fumo sembrava un antro primordiale, un nido di predatori. Selvaggia alzò appena il bicchiere, Edgar le sorrise come chi saluta un’iniziata.
— Quando vorrai la porta resterà aperta, — aggiunse lui.
Monica scese le scale e ogni passo le sembrava sospeso tra due mondi: quello consueto, fatto di abitudini e ruoli, e quello oscuro, fatto di carne, desiderio e predazione consenziente.
Non sapeva se sarebbe tornata. Forse sì, forse no. Ma il fatto stesso di avere quella possibilità la faceva già vibrare.
Il buio della strada la accolse. In lontananza, una risata roca si confuse con il rumore del vento.
Non era un vecchio bavoso, né un ragazzotto sfrontato. Davanti a lei c’era una donna: alta, vestita di scuro, rossetto nero sulle labbra, che disegnavano un sorriso beffardo. Ritirò la mano con calma, lasciandole addosso una scia di calore bruciante.
Più tardi, fuori, la stessa donna la attendeva appoggiata a un palo, lo sguardo sicuro.
— Un bicchiere insieme?
Non era una domanda, non ancora un ordine, ma un invito che portava con sé la certezza di essere accolto. Monica annuì senza capire perché.
Al bar, la sconosciuta – si chiamava Selvaggia – parlava con voce bassa, roca, intrisa di libidine, di un’ironia velenosa. Esaltava il corpo morbido di Monica, i seni pieni, le cosce toniche, la pancia tenera,
— Carne vera, da mordere, da assaggiare… non come una bambolina siliconata, non sai quanto potresti farmi godere. Ogni parola era un colpo, ma anche una carezza: la spogliava con gli occhi, e Monica non si difendeva. Una mano le sfiorò il ginocchio; lei rimase ferma, come in attesa.
— Vieni da me. Non ci fu esitazione. Monica si scoprì già in piedi, pronta a seguirla.
L’androne odorava di muffa, le scale portavano a una porta massiccia di legno scuro. Dentro, la penombra rossa, bottiglie vuote, un odore di cera e fumo. Selvaggia la spinse contro il muro, la baciò con ferocia, ma nel contempo la tenne stretta, come se il suo corpo avesse già trovato un posto dove appartenere.
— Morbida… calda…— mormorava, spingendo le mani a esplorare, a strappare piano i vestiti. La lingua tracciava scie sul collo, sulle spalle, tra le cosce. Monica ansimava, divisa tra la sorpresa e un piacere che la travolgeva. Non c’era violenza, ma un gioco spietato e seducente, in cui era lei stessa a decidere di non opporsi.
Selvaggia alzò un attimo il volto, la bocca lucida di succhi. — Così ti voglio, sporca, disfatta, puttana.
E tornò a seppellirsi dentro di lei, più a fondo, più famelica.
Quando le gambe le furono spalancate e il respiro le si spezzò in gola, Monica capì che stava rispondendo a una parte di sé che non chiedeva più permesso. Quella parte che voleva essere presa, amata e divorata.
La porta cigolò e un uomo emerse dalla penombra. Alto, spalle larghe, lo sguardo liquido come vetro fuso. Edgar non si presentò: era come se fosse già lì da sempre. Selvaggia rise piano. — Non sei l’unica a saper vedere, cara. Lui ha fiuto per le anime affamate
Monica trattenne il respiro, ma non si sentiva braccata: si sentiva riconosciuta. Edgar la osservava con calma, come un cacciatore che sa già che la preda non scapperà. E lei non voleva scappare.
— Che bella creatura hai portato, carne pregiata, — disse con voce bassa, vellutata. — pronta a lasciarsi andare? Monica annuì, senza vergogna. Le labbra le tremavano di desiderio puro.
La stanza rosseggiava di fumo e ombre. Monica, nuda, tremava al centro, i seni che ondeggiavano sotto il respiro corto. Selvaggia le accarezzava i fianchi, il rossetto sbavato in un sorriso feroce. Edgar, invece, non si avventò subito: la osservava, la percorreva con lo sguardo come un collezionista davanti al suo tesoro.
— Guardatela…— disse con voce lenta, grave. — Cosce tornite, agili ma forti, che reggono e stringono. Carne fatta per cavalcare. Passò le mani lungo i fianchi larghi. — Qui sta la tua natura: il calice che riceve, il ventre che accoglie. Selvaggia rise, mordendole un capezzolo con schiocco umido. — Ti legge come un libro erotico… e tu già grondi, Monica.
Lei gemette, la vergogna liquefatta in calore. Edgar le sollevò i seni, li pesò tra le mani come frutti maturi.
—Morbidi, pesanti, veri. Capezzoli che chiedono morsi, che vogliono essere succhiati fino a perdere fiato. Selvaggia le succhiò la pelle bagnata di sudore. «Godi, puttana. Questa è la tua consacrazione.»
Edgar la spinse a girarsi, le mani che le aprivano le natiche con lentezza crudele.
— E questo culo… rotondo, splendido. È la tua porta segreta, Monica. Nessuno può guardarlo senza desiderare di prenderlo. La carezzò, leccò, la preparò solo con le parole. Lei ansimava, già scossa da spasmi anticipati.
Selvaggia infilò due dita dentro la sua figa, spingendo con decisione.
—Ascolta il tuo corpo, troia. Lui ti nomina e tu tremi. Edgar la penetrò di colpo, violento, strappandole un urlo che rimbalzò contro le pareti rosse. Le spinte erano ruvide, implacabili; Selvaggia la teneva ferma, succhiandole i seni, torcendole le dita in figa.
Ogni affondo era accompagnato dalla voce grave di Edgar:
— Questa fica grondante è il tuo sigillo. Il tuo ventre è la nostra tavola. Sei nata per questo rito. Monica gemette, spezzata, senza difese.
— Sono vostra! Scopatemiii!— gridò, mentre il piacere la travolgeva, oscuro e inarrestabile.
I tre corpi si intrecciarono in un vortice di carne e sudore. Selvaggia le baciava la bocca, Edgar la divorava da dietro, e ogni parola pronunciata era un chiodo che la fissava a quella verità nuova: non più spettatrice, ma offerta viva, consacrata tra i due predatori.
— Ora sei nostra complice, —mormorò Selvaggia, sollevando lo sguardo umido e febbrile. Edgar annuì, senza smettere di muoversi dentro di lei. Monica, ansimando, trovò la forza di rispondere:
—Sì… sono vostra.
Il rito si consumò in un vortice di sudore, baci e spinte, fino a che i corpi collassarono insieme, intrecciati, stremati ma sazi. Nella stanza aleggiava un silenzio denso, come dopo una preghiera.
Quando si rivestì, le mani le tremavano ancora. Selvaggia la osservava fumando lenta, Edgar in silenzio accanto a lei. Non c’erano catene, non c’erano ordini: solo lo sguardo fermo di chi sa che la scelta non è mai del tutto libera, eppure non è mai forzata.
Alla porta, Monica si voltò un’ultima volta. La stanza arrossata di cera e fumo sembrava un antro primordiale, un nido di predatori. Selvaggia alzò appena il bicchiere, Edgar le sorrise come chi saluta un’iniziata.
— Quando vorrai la porta resterà aperta, — aggiunse lui.
Monica scese le scale e ogni passo le sembrava sospeso tra due mondi: quello consueto, fatto di abitudini e ruoli, e quello oscuro, fatto di carne, desiderio e predazione consenziente.
Non sapeva se sarebbe tornata. Forse sì, forse no. Ma il fatto stesso di avere quella possibilità la faceva già vibrare.
Il buio della strada la accolse. In lontananza, una risata roca si confuse con il rumore del vento.
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