“Angelina – Altare Profano”

di
genere
bisex

Quella bocca. Quella fottuta, irresistibile, maledetta bocca.
Angelina non era solo una ragazza: era una promessa di depravazione vivente. Quando mi guardava, già stavo iniziando a sbottonarmi. Non aveva nemmeno bisogno di parlare. Le bastava sorridere, leccarsi piano quel labbro inferiore carnoso, e io perdevo ogni difesa.

Appena entrata in camera, si è inginocchiata. Senza salutare. Senza chiedere. Ha poggiato la guancia contro la mia erezione sotto i jeans e ha sospirato, come se già sentisse il mio odore tra le labbra.

«Ho fame di te, Arturo. E non parlo solo di cazzo. Voglio la tua cattiveria.»

Mi ha aperto la zip con i denti.
Senza usare le mani.

Poi ha tirato fuori tutto, con una lentezza oscena, e si è strofinata il viso sul mio cazzo duro, come una cagna in calore. Ha lasciato la lingua fuori, me lo ha passato su tutta la lunghezza, baciando le palle, mordicchiando piano la pelle sotto, sbavando ovunque.

Poi ha parlato, ma solo per sussurrare:

«Usami. Distruggimi la gola. Fammi piangere.»

E io l’ho fatto. Le ho afferrato i capelli, le ho infilato il cazzo in bocca con violenza. L’ho preso come se non fosse una persona, ma un contenitore fatto per contenere me. Lei se lo prendeva profondo, fino a farsi venire i conati, sbavando, tossendo, con la saliva che le colava lungo il mento e gocciolava sulle tette nude.

«Non tirarti via. Sta ferma. Lo voglio tutto dentro.»

Lei obbediva, con le lacrime agli occhi e la mano tra le gambe a masturbarsi. Si godeva ogni affondo in gola come se fosse un orgasmo. Me lo leccava mentre parlava con la lingua fuori:

«Posso sentirlo anche nel petto. Mi stai aprendo la trachea, Arturo… e godo come una bestia.»

Quando le ho riempito la bocca, non ha ingoiato subito. Si è fatta cadere lo sperma dalla lingua, sulle tette, e lo ha spalmato con la mano, come se fosse crema. Leccandosi ogni dito mentre si voltava e si metteva a quattro zampe sul letto.

«Ti prego. Fammi male. Fammi squirtare urlando.»

L’ho presa da dietro, senza pietà. Le ho schiaffeggiato il culo finché non era rosso. Le ho affondato due dita nella figa, poi tre, poi la mano intera.
L’ho fistingata mentre la scopavo con l’altra mano in bocca. Lei squirtava a fontane, inarrestabile, sporcando le lenzuola, il pavimento, tutto. Tremava, rideva, gemeva in un orgasmo infinito.

Poi le ho sputato sul buco.
«Lo vuoi anche qui, troia?»
«Sì, Arturo. Sì! Aprimi. Sfamami ovunque.»

Ho spinto dentro piano, poi con forza. Lei urlava, ma non per dolore. Per gioia. Le si contraeva il corpo intero mentre la prendevo in doppia penetrazione: la mano nella figa, il cazzo nel culo, la bocca che gemeva tra i cuscini.

«Voglio che mi usi come la tua latrina. Voglio il tuo sperma in ogni buco.»

Quando sono venuto, l’ho tirata per i capelli, l’ho messa in ginocchio, e le ho pisciato in bocca mentre mi guardava. Angelina ha bevuto, ingoiato, si è leccata i denti.

«Adesso sì, Arturo. Adesso sono tua. La tua puttana. Il tuo giocattolo.»

E io sapevo che quella bocca non avrebbe mai più chiesto permesso.
scritto il
2025-05-28
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