Il campanello sbagliato

di
genere
prime esperienze

Avevamo concordato tutto: prezzo, durata, discrezione. Era un lunedì come tanti, ma con l’adrenalina di qualcosa di mai fatto prima. Lei – Eva, almeno così si faceva chiamare – mi aveva detto di suonare al campanello senza nome. Ma ce n’erano due.

La scrivo: “Quale?” Nessuna risposta.

Aspetto qualche minuto, poi agisco. Premo il primo.

«Sì?» Una voce di donna, giovane, ma non giovanissima.

Panico. Non ricordo che nome avevo usato nella chat. Vado a caso.

«Sono Luca.»

«Terzo piano.»

Il portone si apre. Salgo con il cuore che batte forte. Per eccitazione, sì, ma anche per il dubbio che mi stavo infilando in qualcosa più grande di me. Il sesso a pagamento ha un suo codice, e io non lo conoscevo.

La porta del terzo piano è socchiusa. Entro. Silenzio. Poi appare lei. Non è esattamente la donna delle foto. Ha dieci anni in più. I capelli biondi legati alla meno peggio con una pinza, una maglietta semplice e pantaloncini. Scalza. Occhi chiari, profondi. Fissano i miei.

«Sei in anticipo» dice, con un accento leggero, dell’Est.

«È un problema?» chiedo, cercando di sembrare tranquillo.

«No. Accomodati. Tra poco arrivo.»

Mi siedo su una poltrona. Il salotto è sobrio, vissuto. E sì, lei porta la fede. Quando torna, ha sciolto i capelli e si è passata un rossetto deciso sulle labbra gonfie. Cammina piano, come se stesse studiando ogni mia reazione.

«Dalle foto sembravi più… maturo» mi dice, scrutandomi.

«E tu… sembravi diversa.»

Sorride, ma senza distogliere lo sguardo.

«Hai voglia di qualcosa? Acqua, caffè?»

«Sono venuto per qualcos’altro, sinceramente.»

Lei beve un sorso dal suo bicchiere, poi mi si avvicina e appoggia le dita sul mio petto.

«Allora mostramelo. Togliti la maglietta.»

Obbedisco. Lo faccio senza esitare, guardandola dritta negli occhi. Lei appoggia la mano sul mio torace, poi scende, tastando i muscoli con una lentezza quasi studiata.

«Non male» sussurra. «Ora tocca a me.»

Incrocia le braccia, tira su la maglietta. Il reggiseno non c’è. I seni, sodi, tesi, sembrano voler uscire dalla scena da soli. I capezzoli sono scuri, dritti, come se mi stessero già provocando. Le cicatrici quasi invisibili le confermano: rifatti. Ma bene.

«Ti piacciono?» chiede.

Non rispondo. Mi avvicino e li sfioro con le mani. Lei chiude gli occhi, come se sentisse tutto al doppio. Poi si lascia sfuggire un mezzo gemito, improvviso, vero. A quel punto non finge più nessuno.

Il citofono suona. Lei si irrigidisce un attimo, si volta, guarda il monitor e risponde secca: «No, grazie.» Chiude e torna da me.

«Dove eravamo rimasti?» dice, con la voce leggermente cambiata.

Ci spogliamo. Lentamente. Uno davanti all’altra. Ogni gesto è carico, ogni centimetro scoperto è una promessa. Quando resto completamente nudo, lei si siede sul letto, mi prende tra le mani e si morde il labbro.

«Sì. Sei molto meglio di quanto pensassi.»

Quello che succede dopo è… fame. Da entrambe le parti. Lei non guida, non si lascia guidare: divora. Mi graffia, si avvinghia, respira forte contro il mio collo. Nulla di me resta estraneo a lei. E viceversa.

Avevamo detto un’ora. Restiamo lì dentro quasi due. Esausti. Soddisfatti. Confusi.

Mi rivesto piano, lascio i soldi sul tavolo. Più del pattuito. Non per comprare, ma per ringraziare.

Lei li guarda, si ferma, poi alza lo sguardo.

«Cosa sono?»

«Per te. È stato… molto di più di quello che mi aspettavo.»

«Appunto. Non voglio più di quello che abbiamo detto. Non sono una puttana.»

La sua voce ha un’ombra. Orgoglio? Rammarico?

Un brivido mi percorre la schiena. Metto insieme tutto: i due campanelli, il suo trasporto, il fatto che non ha mai chiesto nulla. E le foto? Quelle erano diverse.

«Aspetta… tu non sei Eva.»

Si sistema i capelli.

«E tu non sei Luca84, vero?»

Ci fissiamo. Poi ridiamo. Ma è una risata a metà, con il dubbio dietro gli occhi.

«Il tizio di prima… non era un venditore, allora» dice, con un’espressione tesa. «Cazzo.»

Si copre il petto con le braccia. Come se solo ora si rendesse conto di quanto siamo stati scoperti.

La saluto con un cenno, e lei mi apre la porta senza parlare. Scendo, esco, faccio un giro al centro commerciale. Accendo il telefono. Messaggi di Eva. “Era l’altro campanello.” “Dove sei?” Poi nient’altro. Silenzio.

Poi arriva un messaggio. Numero sconosciuto.
“Anch’io sono stata bene.”

Lo leggo più volte. Poi scrivo solo:
“Hai fame?”
scritto il
2025-05-14
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