“Cinque Terre, una sola Federica”

di
genere
prime esperienze

Un viaggio senza ritorno. Una fame che brucia. Una notte che cambia tutto.

Era il nostro primo vero weekend da liberi.
Niente più bugie, niente più finzioni.
Solo io e Federica. Due valigie leggere e una voglia pesante che ci spingeva via da tutto.

Manarola ci accolse con la luce obliqua del pomeriggio e il suono delle onde che battevano piano sulle rocce. Lei scese dall’auto con gli occhiali da sole e un vestito bianco che svolazzava sulle cosce nude. Niente reggiseno. Niente mutandine. Solo pelle. Solo lei.

— “Hai prenotato?” — mi chiese.
— “Ho preso una camera con vista. Ma quella che voglio vedere ora… sei tu.”

Salimmo nella nostra stanza: balcone sul mare, letto ampio, tende leggere. Ma non durammo un minuto intero con i vestiti addosso.

Federica si tolse il vestito con un gesto lento e teatrale, poi venne sopra di me, nuda e decisa. Mi baciò ovunque, poi si sedette sul mio sesso, scendendo piano, lentamente, guardandomi dritto negli occhi.

— “Adesso sono tua. Davvero. Dentro e fuori.”

La presi con le mani sui fianchi, mentre si muoveva sopra di me con un ritmo carnale, consapevole. Le sue unghie affondavano sul mio petto, il suo respiro divenne più corto. Venimmo insieme, urlando, con la finestra aperta e il mare a guardare.

Uscimmo solo dopo.
Corniglia, Vernazza, i vicoli stretti. Federica camminava davanti a me con un vestitino corto e nulla sotto. Ogni gradino rivelava la curva perfetta del suo culo. Mi stava provocando. E lo sapeva.

Nel pomeriggio, mentre giravamo tra i vicoli deserti, si fermò all’improvviso. Mi guardò. Mi prese per la mano.
E mi spinse contro un muro.

— “Voglio farti una sorpresa.”

Si inginocchiò davanti a me. In mezzo a quel vicolo antico, tra profumi di basilico e salsedine, tirò giù la zip e mi prese in bocca con fame. La sua lingua calda, la sua mano lenta, gli occhi fissi nei miei.
Il rumore del mare e i miei gemiti trattenuti.
Quando venni, lei non si fermò. Mi guardò, leccandosi le labbra.

— “Adesso possiamo andare a cena.”

E lo disse come se nulla fosse.
Ma io ero già un uomo finito.



L’ULTIMA NOTTE

Tornammo in camera tardi. La luce era bassa, la finestra aperta. Lei si spogliò in silenzio, lentamente, poi venne a sedersi sulle mie gambe.

— “Voglio darti tutto. Ma stasera… voglio che tu mi prenda senza limiti.”

— “Sicura?”

— “No. Ma voglio lo stesso. Voglio che stanotte… mi scopi fino a farmi tremare. Fammi paura. Quella vera. Quella che ti brucia e non ti lascia più.”

La stesi sul letto. Le legai i polsi con la cintura dell’accappatoio. Lei non disse nulla. Socchiuse gli occhi. Si aprì a me.

Le leccai ogni centimetro. La torturai piano con la lingua. Le infilai due dita dentro mentre la guardavo contorcersi, umida, implorante.
Poi la presi con forza. E lei urlò. Ma non di dolore. Di bisogno.

— “Ancora… più forte… fammi male se serve. Ma non smettere…”

La voltai. Le presi i capelli. La dominai completamente.
Entrai nel suo sesso già devastato, poi ancora… ancora più in fondo.
Scivolai dietro, e lei si tese come una corda.
— “Stretta… lì… prendimi tutta…”

Affondai lentamente nel suo buco più segreto. La sentii aprirsi, arrendersi, offrirsi.
Lei ansimava, con la faccia schiacciata sul cuscino e le gambe aperte.

— “Adesso… sei dentro ovunque…”

La scopai come se dovessi impiantarle l’anima. Le labbra contro l’orecchio, le mani sulle sue anche, il sudore che colava sulla sua schiena. Venimmo insieme, con un urlo che ci squarciò dentro.

Rimanemmo fermi, tremanti, incollati.
Sporchi. Umani. Veri.

Federica si voltò, con le lacrime agli occhi e un sorriso sul viso.

— “Se questa è paura… allora non voglio mai più sentirmi al sicuro.”

E ci baciammo.
E ci stringemmo.
E ci rifacemmo l’amore ancora. Ancora.
Fino all’alba.

FINE.

scritto il
2025-05-10
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