L'adulterio di Franco Bianchi - Ep.9. “Perchè no?”

di
genere
etero

Un paio di settimane dopo un suo amico cacciatore freddò un cinghiale e invitò a Franco cena con tutta la compagnia. Avrebbero acceso il fuoco, e iniziato con i primi grappini, verso le 4 del mattino di domenica. La bestia avrebbe passato la mattina girare sullo spiedo sudando grasso e per ora di pranzo avrebbero iniziato a farle la festa e sarebbero andati avanti a mangiare e bere per tutto il pomeriggio, ricominciando ad ora di cena. A Franco era quasi scesa un lacrima, perché un invito del genere capitava una volta all’anno, e lui era un cuoco esperto. Ma aveva già prenotato e pagato le terme in Slovenia e non poteva certo rimetterci quei soldi. Al bar gli amici lo avevano preso a male parole, poi lo avevano supplicato, poi si erano offesi, poi lo avevano perdonato cantandogli in coro il ritornello di “servi della gleba!” e lo avevano costretto a pagare un giro di negroni.
E allora sabato mattina erano partiti per queste terme in Slovenia, nota e lussuosa meta di vacanza dell’alta nomenklatura jugoslava e non solo. Da quei tempi però erano passati oltre quattro decenni, Tito era morto, la Jugoslavia non c’era più, la nomenklatura democratica andava altrove, e il lussuoso albergo anni ‘30 era diventato accessibile a dipendenti di cooperativa come i coniugi Bianchi.
Erano arrivati prima di pranzo, si erano sistemati e si erano buttati prima in sauna e poi sul lettino di un massaggiatore, perché erano anni che non si concedevano un week end fuori, e Franco aveva pur sempre rinunciato al cinghiale. Al bar della sauna, Ludovica aveva scovato sotto una pila di dépliant quello di un night. Franco, dopo una rapida visione, aveva alzato gli occhi dal dépliant per dire a Ludovica che si trattava di uno strip bar, o qualcosa del genere, ma il sorrisetto della moglie lasciava intendere che sapeva già.
Così si misero in tiro. Lui fece la barba, si vestì, e poi fu spedito ad aspettare nella hall, dove lei lo raggiunse dopo un abbondante mezzo primo tempo di Olimpija Ljubljana vs Gorica. Ludovica veva un abito nero, nuovo e luccicante di pailettes, stretto, lungo al ginocchio e scollato, tacchi più alti del solito e calze nere, velate. A Franco si seccò la lingua in bocca.
A cena si gustò più gli occhi blu di sua moglie, esaltati dalla matita nera, che il pur ottimo filetto al tartufo. Più volte si chiese cosa ci facesse lì, con una donna così bella, dallo sguardo così intelligente, dagli zigomi così perfetti, dalle labbra così invitanti. Ad un certo punto, dopo che più volte era arrossita per certe cose che leggeva negli occhi di lui, gli aveva addirittura detto, sorridendo, di smetterla di guardarla a quel modo. E lui ci provò, riuscendoci per diversi minuti.
Finirono la cena con due pelinkovac con scorza d’arancia, necessari a trovare il coraggio di andare al non lontano night.
Il posto non era troppo diverso da quella specie di discoteca, l’unica della valle, che Ludovica frequentava da ragazzina, a parte la musica disco pop melodica slovena e i pali per la lap dance al posto dei cubi. La cosa diversa era la clientela. Gran parte delle ragazze, molto appariscenti, erano evidentemente lì per lavoro, mentre i maschi erano per lo più crucchi o italiani di mezza età, poveracci con molti soldi da spendere per comprarsi la sensazione di stare simpatici a qualcuna. Rare erano le coppie, tutte dai quaranta in su, anche loro turisti in cerca di trasgressione. Si sedettero ad un tavolino da cui si poteva vedere il via vai dalla pista al bar, e guardare la gente al banco. Una ballerina roteava seminuda sul suo palo, ma Franco non la trovò erotica. Piuttosto la trovò brava, molto brava. Quando lo disse a Ludovica lei rise di cuore.
«Sì certo: ora non dirmi che non guardi altre donne, che hai occhi solo per me.»
«Ma no, che c’entra» disse lui che giusto poco prima aveva notato una bionda seduta sullo sgabello del bar, che gli aveva lanciato uno sguardo che non sapeva decifrare. «E’ che mi pare una ginnasta, più che altro.»
Lei lo studiò, sorseggiando il suo daiquiri, ordinato perché le piaceva il nome (ma era buono). In effetti lo capiva, aveva pensato lo stesso. Decise di cambiare discorso e si avvicinò a lui per fargli notare che più di qualche uomo la stava guardando (e che la cosa la stava eccitando). Franco, stupito, si guardò attorno ed in effetti era vero (e, con sorpresa, la cosa lo stava eccitando). Lei se ne accorse e gli disse di portarla a ballare. Lui fece il giro del tavolo e le scostò la sedia.
Ballarono incollati, malgrado la musica, e del resto non era i soli a strusciarsi parecchio. Ma le altre coppie erano di solito composte da dipendenti del locale e clienti e, proprio per questo, nonostante Ludovica fosse di gran lunga la meno discinta in pista, calamitava la curiosità ed il desiderio degli astanti mentre Franco attirava sguardi pieni di invidia, col suo abito da discount che però portava meglio di tutti loro, con le sue spalle massicce da portantino.
«Ci guardano. Anzi: ti guardano» disse lui.
«Già. Vecchiacci bavosi...». E poi aggiunse, facendo pressione col suo bacino contro quello di lui, «e tutti vorrebbero essere te.»
«Puoi dirlo forte» disse lui convinto.
Le sorrise, ambigua. Gli fece un rapido occhiolino.
«Secondo me, si stanno chiedendo quanto mi paghi. Quanto mi darai per… avermi tutta tua, questa notte.»
Lui rise, pensando che probabilmente era pure vero, e lei continuò.
«E tu? Quanto mi daresti? Quanto pagheresti per avermi?»
Lui la guardò stupito, il suo sguardo divertito, quegli occhi blu, le labbra socchiuse. Le venne di dirle, senza mentirle, che le avrebbe dato tutto, la sua stessa vita, ogni giorno e ogni minuto e ogni secondo che fosse rimasto su questa terra e ancora oltre, e ogni sogno e ogni sospiro, e ogni goccia del suo essere angoli remoti inclusi. Ma non per ‘averla’: solo per starle accanto, per ammirarla esistere. Ma non parlò, e del resto lei glielo lesse negli occhi. Se lo strinse contro, gli posò la testa sul petto, e per un attimo ci furono solo loro, lì.
Ma erano lì, e non da soli, e presto si ricordarono del loro piano.
«Tu quanto chiederesti?» le disse lui. «Quanto chiederesti per farti scopare da qualcuno, qui dentro?»
Lei presa alla sprovvista, arrossì. Quei discorsi la eccitavano. L’avevano eccitata tutta la settimana. Avevano anche guardato insieme un sito di escort. Avevano imparato acronimi come CIF-CIM, CBB e poi Due e DP, Raidue (o 66), dirty talk...
«Ad esempio guarda quello» continuò Franco, per vedere fino a dove poteva arrivare. «Quanto chiederesti a quello?»
Lei guardò il tizio posato sul bancone. Aveva una faccia da squallido, forse venti anni più di lei, e più che guardarla la stava radiografando. I loro sguardi si incrociarono e si sentì quasi mancare le ginocchia. Franco la sorresse, stringendola a sé, indeciso tra eccitazione e preoccupazione. Lei percepì entrambe, e le sentì entrambe. Allora si ripigliò, si alzò sulle punte, si avvicinò al suo orecchio.
«Dipende da cosa vorrebbe farmi.»
«...e che cosa ti faresti fare?»
Lei non rispose subito. Poi Franco si sentì toccare una spalla. Si voltò. Era il tipo con la faccia da squallido.
«Posso?» disse con accento crucco.
Franco e Ludovica si guardarono smarriti. Ma era così che si faceva su qualunque pista da ballo del mondo, e quella era una pista da ballo. Così, meccanicamente, Franco si scansò e finì al tavolino a guardare un’impacciatissima Ludovica ballare con Faccia da squallido.
L’uomo l’aveva presa per la vita, e la teneva ben stretta, anche se in modo rispettoso. Poi le disse qualcosa, e Ludovica sollevò gli occhi interrogativa. Lo ascoltò attenta finché non scoppiò a ridere. Ridendo, guardò verso Franco, poi di nuovo l’uomo, che le sorrideva e pareva insistere. Faccia da squallido guardò verso Franco e ammiccò ghignando. Allora lei si fermò e, sempre gentile e sorridente, si schermì con le mani, gli disse qualcosa scuotendo il capo e tornò dal marito. Finì il suo daiquiri e fece cenno ad una cameriera di portarne altri due.
«Lo sai che mi ha detto Faccia da squallido?» gli disse. «Mi ha offerto 1500 euro per un overnight. 500 solo per andare di là con lui, nel privè.»
«Ch..che cosa?»
«Beh? Ti meraviglia che piaccia?»
«No. Che hai capito? Ma.. non me l’aspettavo.»
«Dice che si vede che non sono una professionista, ma solo una “in cerca di guai”, ha detto. E che è proprio questo che lo eccita.»
Rimasero in silenzio, a guardarsi in giro e meditare. Faccia da squallido era sempre al bancone e li teneva d’occhio.
Arrivò la cameriera. Mettendo i due cocktails sul tavolino, sventolò il suo sedere coperto a stento da una microgonna in faccia a Franco che non la notò nemmeno, tutto preso da un misto di eccitazione e oscenità. Brindarono e diedero un bel sorso.
«E tu che gli hai detto?» chiese Franco dopo un po’.
Ludovica lo guardò divertita, con uno sguardo che non le aveva mai visto. Franco conosceva, ma non aveva familiarità con aggettivi come lasciva, viziosa, dissoluta, depravata, e gli venivano in mente solo troietta e sgualdrina. Ma non c’era alcun biasimo in questi termini. C’era una forma di dolorosa complicità, straziante desiderio, voglia di prenderla, possederla. Ludovica gli prese una mano e la portò sotto al tavolino, sulla sua coscia.
«Gli ho risposto» disse avvicinandosi al suo orecchio e facendosi scorrere la mano di lui sulla calza fino a dove le calze finivano, «che dovevo chiederti il permesso.»
Quindi gli infilò la lingua in bocca, mentre la punta delle dita di Franco avevano ormai raggiunto l’umidiccio delle mutandine tra le cosce di lei. Quindi lei si scostò, gli tolse la mano da là sotto e se la portò alla bocca, baciandola prima di riporla sul tavolino.
Franco la guardò sorseggiare il daiquiri, completamente inebriato di femmina. Lei si guardava attorno, con quello sguardo da… cagna in calore, pensò. Al bancone Faccia di squallido continuava a puntarla, e Ludovica ricambiò lo sguardo.
«Allora che gli dico?»
Franco buttò giù il cocktail e si alzò, lasciò i soldi sul tavolo e si portò alla spalle di Ludovica, per scostarle la sedia. Lei si alzò e fece per girarsi, ma il marito la prese per i fianchi e la tirò a sé, infilando il naso tra i capelli che le cadevano sul collo.
«Puoi dirgli che stasera sei la mia puttana. E solo mia.»
Lei si sentì mancare il fiato, a sentirsi chiamare così. Spinse indietro il sedere e sentì l’erezione del suo uomo.

Dieci minuti dopo, in ascensore, mentre limonavano duro, le mani di Franco percepirono qualcosa di nuovo tra un fianco e la coscia di Ludovica, ma la porta scorrevole si aprì e Ludovica andò avanti, rimandando ogni ulteriore sopralluogo.
Lo spedì in bagno per primo, mentre lei abbassava le luci e cercava alla tv qualche programma con video musica. Li trovò e tolse l’audio, mentre cercava nello smartphone la app che gli avrebbe permesso di trovare una radio svizzera che dava solo jazz classico, specie a quell’ora. Con un brivido, mise qualcosa nel cassetto del comodino, un attimo prima che lui uscisse dal bagno con la sola canotta addosso. lei gli passò accanto, con uno sguardo allettante, carico di promesse. Lui la sculacciò, ma con più desiderio che forza. Lei fece un “uh!” teatrale, e ricambiò la pacca sul culo nudo di lui. Lo lasciò da solo a sentirla canticchiare in bagno. Franco si distese sul letto e aspettò.

Quando finalmente la porta del bagno si aprì, lei apparve in controluce, e si sistemò sullo stipite, in posa, per farsi smangiucchiare con gli occhi. Aveva indosso una vestaglietta nera, trasparente, corta, che Franco non sapeva chiamarsi négligé, come non sapeva che lei l’aveva comprata per l’occasione una settimana prima. In compenso sapeva cos’era una guepiere e Ludovica, sotto il négligé, ne indossava una, azzurro scura, con decorazioni in pizzo nero, con le stringhette che reggevano le calze. Ludovica camminò sui tacchi alti verso il letto, senza fretta, godendosi l’espressione stravolta del marito, ormai succube dei suoi fianchi, delle sue cosce, del suo culo sottolineato dalle mutandine di pizzo nero. In bagno, non aveva resistito e si era toccata per qualche secondo la fica. Si era infilata la mano nelle mutandine, guardandosi allo specchio, toccandosi il clitoride gonfio con le dita, facendole scivolare dentro come in un barattolo di marmellata. Ora si posò con una mano sul bracciolo della poltrona, dando le spalle a Franco, si chinò in avanti e lo fece di nuovo, ancora più eccitata dal fatto che lui la guardasse. Si voltò.
«Allora… cosa vuoi che faccia?»
Franco si alzò dal letto, le si mise di fianco e prese a tastarle il culo. Poi le si inginocchiò dietro, le scostò le mutandine e si godette un momento la visione del suo culo, dell’ano perfetto, della sua sua fica e della sua mano che, da davanti, rovistava tra le grandi labbra e il clitoride. Le passò le mani dalle caviglie alle ginocchia, e su lungo le calze fino ai fianchi. Poi la spinse ancora più giù, a 90 gradi sulla poltrona, e finalmente si decise a suggere dal suo favo, fino a contendere il clitoride alle dita di lei. Vinse la sua lingua, quando Ludovica con un gemito si abbandonò in avanti e dovette sorreggersi con due mani.
Franco continuò e dopo un po’, visto quello che aveva davanti, non resistette alla tentazione. Portò una delle mani sulla fica, per continuare a martoriare il clitoride della donna, e con la lingua circuì il suo buchetto posteriore.
«Oh! Siii, fammi di tutto…” mugugnò lei. «Stasera puoi farmi di tutto… sono la tua puttana, la tua troia.»
Quando la falange del medio le entrò di dietro, si piegò ancora più sui gomiti, tenendo il culo sollevato, in modo davvero osceno. Franco, con movimenti febbrili, le fece scendere le mutandine a mezza coscia, e poi riprese a solleticarle la fica con le dita di una mano, a penetrarla, mentre con l’altra mano e la lingua, si curava dell’ano. Aveva come un ronzio in testa, il cazzo durissimo, eccitatissimo all’idea di quello che stava per farle.
«Ora! Ti prego! Fammelo ora!» lo pregò. E poi «Lì!» gli gridò indicandogli il cassetto del comodino. Lui mollò la presa e ci si avventò senza pensarci. Ci trovò dentro un flacone che non riconobbe subito. Quando capì, grugnì soddisfatto e tornò da lei. Mentre la donna gemeva, lui le versò il lubrificante tra le natiche, la penetrò con due e poi tre dita appiccicose.
«Mettimelo dietro, Franco! Non ne posso più!» lo supplicò lei.
Lui ghignò.
«Perchè no?»
Si passo il gel sul cazzo, poi buttò via il flacone. Accompagnò il glande al buchetto, che pareva pulsare, fremere. Spinse un po’ e Ludovica si spinse indietro con le braccia sempre appoggiate ai braccioli.
«Sììì, amore...» gli urlò. «Tutta tua!»
Franco spinse ancora, lento e inesorabile. All’iniziò dovette forzare un po’, ma non troppo, ma poi Il glande entrò come risucchiato. Dalla gola di Ludovica uscivano versi gutturali, osceni, parole sconce. Franco ignorò le invocazioni della donna a spaccarla, a sfondarla, a sbatterla coma un puttana. La lasciava dire e intanto sentiva quel bel culo aprirsi, stringersi, rilassarsi e contrarsi. Perse il controllo lentamente, coscienziosamente. Quando sentì di non poter resistere oltre alle oscena richieste di Ludovica, fece colare un po’ di saliva sul buchetto, e poi lo spinse dentro tutto, quanto ce n’era.
D’un tratto lo tolse e, prima che lei potesse lamentarsi (o riprendere fiato), la prese per i fianchi e la scaraventò di pancia sul letto. Lei lo guardò da sopra una spalla, con uno sguardo tra il languido e l’interrogativo, contenta di essere trattata a quel modo.
«Cosa vuoi farmi ora?»
Lui non le rispose. Si distese su di lei, la baciò e lasciò che il suo pene trovasse di nuovo l’ano della donna sotto di lui. La penetrò di nuovo, godendosi ogni espressione della sua faccia. Lei smise di baciarlo quando le spinte si fecero più profonde, perse la testa e si lasciò andare a grugniti soffocati dalle lenzuola, ad ogni spinta. Franco aveva iniziato piano, sentendo sulle anche il sedere sodo della donna. Con le proprie cosce spinse quelle di lei, aprendogliele, allargandogliele, vincendo ogni resistenza. Quando la sentì aperta a sufficienza, andò fino in fondo, facendola gridare, e prese a scoparla forte, ad incularla, a sodomizzarla, godendosi ogni centimetro di quella loro prima volta, sussurrandole porcherie alle orecchie. Si scaricò dentro di lei mugghiando come un toro.
E quello fu solo l’inizio di una lunga notte.

-

continua...

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di
scritto il
2023-04-21
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