L'adulterio di Franco Bianchi - Ep.7. “Entriamo?”

di
genere
etero

Non scesero da quel volo per un bel po’ e la settimana successiva Franco fece una cosa strana: invitò a cena sua moglie, facendole brillare gli occhi. E Ludovica era davvero bella, quando le brillavano gli occhi blu. Aveva saputo di un posto, ad un’oretta di strada (per loro montanari era normale guidare tanto), e voleva portarcela. Non c’era un motivo, non c’era una ricorrenza, o un compleanno, né altre scuse. Voleva solo stare con lei.
Per l’occasione nel pomeriggio era stato dal barbiere, aveva tirato fuori l’abito buono. Aveva pure messo la cravatta. Poi si era messo ad aspettare sul divano, guardando un documentario sui disastri aerei finché, alzando lo sguardo aveva visto Ludovica. Lei gli sorrideva imbarazzata, con quegli occhi che avrebbero placato una carica di cavalleria. Era stata anche lei dal parrucchiere, aveva le labbra rosse, gli occhi truccati, le ciglia lunghissime, e i capelli raccolti sulla nuca mettevano in risalto due orecchini che non facevano altro che decorare i suoi lobi. Aveva un vestito rosso che non aveva mai visto e che metteva in risalto la pelle chiara delle sue spalle, lasciate scoperte. Aveva i tacchi, le calze velate.
L’imbarazzo di Ludovica, per nulla abituata a vestirsi così per uscire con lui, svanì vedendo lo sguardo del marito, la sua espressione. La divertì lo stupore di Franco, la bocca che si socchiudeva inebetita, ma anche si scaldò fino ad arrossire, leggendo il desiderio che traboccava dallo sguardo di lui. Franco si alzò dal divano lento, in trance, e come una pietra che prende a rotolare, si avvicinò a sua moglie. Lei sollevò un dito e lo puntò al suo petto, facendo mezzo passo indietro.
“Eh, no, caro”, disse mentre il dito giocava con la cravatta. “Sono stata troppo a prepararmi. Quello che cerchi lo avrai, ma dopo. Ora recupera la mandibola da dove ti è caduta e prendi il mio soprabito, che stasera mi aprirai le porte, scosterai la sedia e pagherai il conto. Ok?”

La cittadina in cui erano andati era una città molto antica e piccola, diciamo ‘una punta di città’. Dopo la cena, passeggiarono nel minuscolo centro e, sopra un ponte vecchio di sei secoli carezzato in quel momento dalla luna, mentre un torrente gorgogliava limpido 50 metri in basso, sotto un lampione dove Lili Marlene avrebbe potuto attendere il suo uomo, Ludovica gli concesse il primo bacio.
Poi fecero di nuovo il giro, con Franco orgoglioso di portare al braccio una tale bellezza, e lo rifecero ancora perché stavano bene e non volevano andarsene, ridacchiando di tanto in tanto quando Ludovica dava segni di incertezza sull’acciottolato a causa dei tacchi alti.
D’un tratto ripassarono davanti ad un albergo dall’aria decadente. Aveva l’aria di un posto di passaggio, di un’alcova per innamorati clandestini, con quella piccola hall e l’insegna che prima non avevano quasi notato, tutti intenti a chiacchierare dei fatti loro.
“Entriamo?” disse Ludovica.
Lui la guardò sorpreso. Era serena, gioiosa, invitante. Impossibile dire di no a quegli occhi.

L’anziano portiere di notte non fece una piega a dare le chiavi ad una coppia senza bagagli a mezzanotte passata. Rispose con un eloquente “vedremo domani” a Ludovica che chiedeva se servivano documenti. Quindi salirono le più piccole scale monumentali, in marmo, che avessero mai visto, a testimonianza che quello doveva essere stato un piccolo e delizioso albergo quando da quelle parti comandava l’Imperatore Franz Joseph, che li scrutò passare da dietro i suoi baffoni da un quadro tra secondo e terzo piano.
La loro camera era al IV e profumava di pulito, ma anche di peccato, come tutte le camere di albergo che danno l’idea di averne viste di ogni tipo. Però era carina e, una volta che ebbero aperto la porta finestra che dava su un minuscolo terrazzino, scoprirono che si affacciava proprio sul ponte. Nel silenzio della cittadina addormentata, si sentiva lo scorrere tra i sassi del torrente.
Franco abbandonò il suo cappotto su una sedia e allentò la cravatta. Guardò la silhouette di sua moglie affacciata al balcone e le si avvicinò. La strinse tra le sue braccia da dietro e rimasero insieme così per qualche minuto, a godersi il chiaro di luna e il fresco della sera. Poi lei si voltò e si baciarono, a lungo, finché Ludovica gli sussurrò “spogliami”.
Le tolse il soprabito e la riprese tra le braccia baciandola di nuovo. Avevano scopato parecchio, da quando era tornata da Bologna, sempre facendo anche l’amore, ma ogni volta era come se ci fosse un che di nuovo. Le mani dell’uomo si riempirono delle sue spalle nude, della sua schiena, dei fianchi, del suo culo. Franco non era così pratico da accorgersene subito, ma lo fece quando con una mano raggiunse la coscia di Ludovica, e risalì lungo le calze fino a scoprire che si trattava di autoreggenti, che non le aveva mai visto addosso. E la scoperta gli piacque, e lei se ne accorse e avvampò per il piacere che sentiva di aver destato nel suo uomo. Poi la mano risalì, fino al sedere lasciato in parte scoperto dalle mutandine pensate per non segnare il sedere quando si indossano abiti stretti come quello. Quelle mutandine piacquero parecchio a Franco.
La cerniera dell’abito di Ludovica scese senza intoppi e lei emerse dal suo vestito rosso come una dea sul piedistallo dei suoi tacchi, con le autoreggenti, le mutandine e il reggiseno nero coordinato, senza fronzoli ma perfettamente capace di sottolinearne le linee dei seni e del sedere. Mentre si baciavano, la donna aveva aperto la camicia all’uomo, intrigata dal vederlo così inconsuetamente elegante e poi Franco la vide, letteralmente, grazie allo specchio sull’anta dell’armadio, inginocchiarsi davanti a lui, armeggiare un attimo con cintura e patta, tirare fuori il suo affare già barzotto, accarezzarlo e portarselo alla bocca. Avevano iniziato ad esplorare quel tipo di rapporti nelle ultime settimane, piuttosto timidamente, ed ogni volta era meglio. Franco si rilassò, guardando quella splendida donna leccare e succhiare l’affare che non ci mise molto a sollevarsi. Guardò le sue labbra aprirsi, la sua lingua fare capolino, mentre lo specchio gli rimandava la sua schiena che terminava armoniosa nelle mutandine, che sottolineavano con malizia quel bel sedere, mentre le spalle e la nuca accompagnavano l’andare e venire della sua caldissima bocca.
A Franco, che ormai aveva indosso solo la canotta a spalla stretta che, avevano scoperto, eccitava particolarmente Ludovica mettendo in risalto le sue spalle muscolose, venne una gran voglie di ricambiarle la cortesia.
Con gentilezza la fece sollevare e la fece sedere sul letto. Le si accovacciò davanti e, mentre lei si abbandonava all’indietro, lui le allargò le cosce e ci si ficcò nel mezzo. Come detto, per lui era una cosa nuova. Era volenteroso e appassionato, e con l’esperienza stava acquisendo metodo. Diede il primo bacio scostando di lato le mutandine, poi ci ripensò e gliele tolse. Quindi si rimise al lavoro, guidato dai gemiti di approvazione di Ludovica, dalle sue mani sulla nuca, tra i suoi capelli. Oramai aveva imparato a riconoscere certi punti all’interno che raggiungeva con le dita, e soprattutto aveva imparato a dare del tu al clitoride, che ora sapeva blandire con la lingua morbida e aperta o circuire con la lingua a punta, e infine (e questo strappò l’inevitabile gemito dell’amata) aveva imparato a stringerlo tra le labbra, inebriato a sua volta dagli odori e umori dell’amante.
All’improvviso lei ebbe un fremito, poi gli sfuggì via facendo leva sui gomiti. Lui alzò gli occhi sorpreso e vide che gli sorrideva lasciva, con lo sguardo di quando era in bilico tra voglia e desiderio e la perdita di ogni controllo. Aveva ancora le calze e i tacchi, mentre il reggiseno era finito altrove quando lui aveva raggiunto i capezzoli di lei durante il cunnilingus. Franco pensò volesse essere penetrata e prese a risalire il suo corpo fino a che il suo pene raggiunse la giusta altezza. Ma lei aveva altri programmi.
Con un gesto che l’uomo assecondò, lo ribaltò sulla schiena e poi gli si mise sopra, nel più noto dei numeri che hanno un significato in quei giochi, offrendo il sesso alla bocca dell’uomo, mentre la sua bocca si impadroniva del suo pene. Franco rimase sorpreso, ma in quelle settimane aveva imparato a godersi con gioia quelle novità. Mentre sentiva che la bocca di Ludovica si riempiva del suo affare, le sue mani trovarono il modo di aprire le cosce della donna, passando dall’esterno, garantendogli un accesso rovesciato ma comodo al suo sesso e una visuale insolita e oscena dal suo culo, del suo piccolo e delizioso ano, che ben presto prese ad accarezzare con le dita intrise dei suoi umori, incoraggiato da un “siiii” soffiato da Ludovica.
Franco fece del suo meglio, ma ben presto dovette soccombere e abbandonarsi alla foga. Più lei destava il suo piacere con la bocca, più lui si lasciava andare a slinguate profonde e profane, a suzioni del clitoride e della fica. D’un tratto le disse chiaro e tondo che stava per venire e lei, per tutta risposta, gli ingoiò il cazzo fino alla radice. Lui allora perse anche l’ultimo barlume di controllo ed esplose mentre un suo indice scivolò dentro il culo della moglie che venne con lui, con la bocca piena del suo seme, la lingua del marito in fondo alla fica, un suo dito in culo.

[L'autore gradisce molto i commenti, anche critici, e vi invita a seguirlo su: https://raccontiviola.wordpress.com/]
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scritto il
2023-04-18
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