L'adulterio di Franco Bianchi - Ep.2. "Che bastardo..."

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genere
tradimenti

Le lezioni di Norma Calisso erano di martedì sera ed il martedì divenne il giorno preferito di Franco Bianchi. Dopo la prima lezione, si era ritrovato a pensare a quella donna più volte ma non era un sentimentale e non verbalizzava la faccenda. Si limitava a provare una specie di leggerezza, come dopo il primo spritz della serata, senza dirsi niente.
E finalmente era arrivato martedì e l’aveva rivista. Era entrata in classe con una giacchetta di quelle che si abbottonano sulla pancia, avrebbe detto lui (che non aveva dimestichezza con termini come ‘blazer corto’), e sotto un paio di jeans stretti. “Che gran culo!” pensò Franco, e sorrise pensandoci mentre scriveva la data sul suo quaderno degli appunti. Si sentiva come al secondo spritz. Poi pensò alla lezione, perché Norma ci sapeva fare, o almeno così gli parve. Ascoltarla era appassionante o forse ad essere appassionanti erano le sue labbra, i suoi occhi vispi sotto gli occhiali, il pensiero del suo culo su quella sedia e dei suoi seni nella camicetta che spuntava dalla giacca. O forse tutto insieme.
Uscendo la salutò con un sorrisone estasiato, che lei ricambiò. Se Franco avesse guardato nel momento giusto oltre la propria spalla, avrebbe forse notato un lampo di delusione negli occhi di lei. Ma a Franco le cose bisognava dirgliele chiare e tonde, non era portato per i messaggini subliminali delle laureate in stregoneria, e se ne andò fischiettando contento e rilassato, come al terzo spritz.

Così lei si decise ad essere più chiara. Il martedì successivo la vide entrare con un’altra di quelle giacchette, anche più stretta in vita, e con una gonna di quelle pieghettate, direbbe lui (che non aveva dimestichezza con termini come ‘plissettata’), lunga al ginocchio, che le scendeva sul culo in modo fantastico. E stavolta Franco non rise affatto, ma arrossì e distolse lo sguardo. Ludovica indossava ben poche gonne, e per lui le calze nere velate erano roba da film. Norma Calisso invece sì. Non era alta ma aveva proprio due belle gambe, due bei piedi infilati in scarpe alte il giusto. Franco però era anche uno studente serio, e vide di scacciare ogni pensiero e concentrarsi.
Alla fine della lezione, un altro del corso lo fermò per dirgli che la settimana prossima non ci sarebbe stato, e voleva assicurarsi che lui ci fosse, per farsi dare gli appunti. Franco gli disse che non c’era un problema e che, come si usa in Friuli, si sarebbe sdebitato pagando da bere. L’altro se ne andò ridendo e, mentre riassettava le sue cose, si accorse che Norma Calisso era ancora seduta.
«Franco, scusami...» gli chiese come imbarazzata.
«Che c’è? Stai male?»
«Macchè, una sciocchezza» rispose Norma ridendo. «Una sciocchezza. Solo che… puoi andare un attimo alla porta?
Lui andò alla porta, come un ragazzino che fa il palo tenendo d’occhio il corridoio. Lei si alzò e, accanto alla cattedra, si passò le mani su una calza, dalla caviglia al ginocchio e poi, da sopra la gonna, dal ginocchio a mezza coscia dove pizzicò e tirò verso l’alto quello che pure Franco capì essere l’orlo di un’autoreggente (e anche solo l’espressione ‘calza autoreggente’ lo eccitava). Ci mise pochi secondi, poi Norma Calisso ripeté l’operazione con l’altra calza con la nonchalance di chi si allaccia una scarpa. Franco, sgomento, non perse un movimento.
«Ecco fatto, grazie» concluse lei. «Mi erano scese.
Poi se ne andò passandogli accanto, lasciandolo a morire nella nuvola del proprio profumo.
Franco la guardò allontanarsi inebetito. I suoi capelli che ondeggiavano seguendo il movimento delle sue caviglie, il suo culo. Deglutì e andò a prendere le sue cose.
Filò a casa, cercando di non pensarci, restando quindi ben concentrato su ciò a cui cercava di non pensare.
Quando rincasò, tutto taceva e capì che probabilmente Ludovica era già a letto. Si versò un amaro e si sedette sul divano, facendo zapping in modo automatico, senza l’audio e senza badarci granché, fermandosi alle pubblicità e cambiando quando al termine capiva che si trattava dell’ennesimo programma interessante come una lattina vuota. Dopo una ventina di minuti, finito quello e un altro amaro, si decise ad andarsene a dormire. Fece le sue abluzioni e si infilò nel letto attento a non svegliare Ludovica. Ma, come aveva previsto e nonostante i suoi sforzi, appena chiuse gli occhi il ricordo di Norma Calisso tornò da lui. Ricordò il suo profumo, le sue calze, l’ondeggiare dei suoi fianchi. Non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine immaginata delle sue cosce calde sotto la gonna, le ‘autoreggenti’ che le ‘erano scese’. Prima di rendersene conto il suo affare premeva per uscire dalle mutande. Il sonno di Ludovica pareva agitato e anche lui si muoveva per trovare la posizione su un fianco, dandole la schiena.
D’un tratto, mentre lui era in ansia per come rilassarsi, sentì Ludovica che si avvicinava, mettendosi a cucchiaio contro la sua schiena. Sentì il suo alito contro il lobo dell’orecchio.
«Dormi?» sussurrò la donna con voce calda, eccitata.
Lui bofonchiò di sì, come se l’avesse appena svegliato.
La bocca di lei posò un bacino sulla parte alta dell’orecchio, e poi seguì un morsetto. Sentì una mano, quella rimasta sotto, che gli carezzava le natiche, e un’altra che dal petto scendeva in basso, fino ad infilarsi sotto al pigiama per incontrare il suo cazzo ormai tiratissimo.
«Amore che fai? E’ tardi…» mugugnò.
«Voglio che mi scopi per bene» gli soffiò nell’orecchio.
Franco a questo punto non poteva fare altro. Si voltò e trovò subito la bocca della moglie.
“Sei un gran pezzo di fica, Ludovica” pensò Franco. “E certo che ora ti scopo per bene, come meriti”.
Nella penombra, i pochi vestiti volarono via in un attimo e in un attimo il suo cazzo trovò la fica della moglie.
«Sei un lago, Ludo, sei bagnata e calda… bollente…» iniziò Franco mentre iniziava il suo andirivieni.
Lei lo zittì infilandogli la lingua in bocca. Lui prese a fotterla con forza, con vigoria, facendo cigolare il letto, sbattendola e chiavandola e tutto il resto. “Che fica mia moglie”, pensò Franco. “Meglio di quella zoccola di Norma”. Dare nella sua testa della zoccola a Norma Calisso lo eccitò, e ripeté il pensiero. Le diede della puttana, della troia, se la immaginò oscena, con le cosce aperte a far risalire la gonna, le autoreggenti.
«Scopami amore, scopami!» sussurrò Ludovica, ma Franco la sentì e non la sentì, immaginando ormai di essere sopra Norma Calisso. E Ludovica pareva godere parecchio, con gli occhi chiusi, si agitava incontro al suo cazzo, come per prenderne di più. La sentì gridare un “siiii!” di quelli di ventre, di fica. Se possibile Franco si eccitò ancora di più e le diede gli ultimi colpi ancora più duri, e allora Ludovica spalancò gli occhi e si guardarono venire, lui dentro di lei, lei attorno a lui.
Sollevandosi sulle braccia, lui si rese conto che anche solo nel pensiero l’aveva tradita. Aveva finto di essere lì con lei, mentre con la testa era altrove. Mentre scopavano aveva pensato ad un’altra. “Che bastardo…” pensò.
“«Ti amo, amore,» sussurrò prima di rotolarle al fianco. Si sentiva un verme, e si addormentò pensando di essere un verme, ma che voleva senz’altro, sopra ogni cosa, la fica di Norma Calisso.

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scritto il
2023-03-31
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