La notte che ha cambiato la mia vita. Innesco

Scritto da , il 2021-09-02, genere sentimentali

MIA MADRE
Mia madre smise di avere una famiglia il giorno che suo padre morì, ucciso dalle botte fasciste. Aveva quattro anni. Poco dopo le porte dell’Istituto le si aprirono davanti. Si sarebbero richiuse alle sue spalle solo 21 anni dopo, nel 1961.
Prima Istituti religiosi, poi fascisti, ed infine nuovamente religiosi. Mia nonna era sarta, povera. Non poteva mantenere sé stessa e la bambina, e prese la decisione più sofferta.
Quando tornò dal campo di concentramento tedesco era una donna spenta. La sola foto rimasta di lei rimanda l’immagine di una donna spenta, che guarda l’inferno dal quale il corpo tornò ma in cui la mente rimase. Si risposò, ebbe altri due figli, entrambi finiti in collegio. Il secondo marito, alcolista, non era in grado di essere padre. A pensarci oggi, per quanto doloroso, fu l’unico modo di salvarla. Lei e i suoi fratellastri. Morì di tumore uterino. Se le malattie hanno un’origine non solo fisica, credo che questo fatto dica molto sulla sua sofferenza in quanto madre.
Uscita senza un soldo, un lavoro, con un’istruzione ferma alla terza elementare, mia madre trovò lavoro in un bar di Via Po, una delle vie principali di Torino, che collega Piazza Vittorio e Piazza Castello, piazze ugualmente conosciute e centrali.
Della vita conosceva poco o nulla. Funerali, cui partecipava poiché le famiglie bene della città richiedevano ai cortei funebri le ragazze per cantare gli inni sacri e fare numero. Siccome il servizio era a pagamento le suore usavano mandarle per aumentare le entrate. Cucito e ricamo, con cui confezionavano tovaglie e corredi che finivano nelle case di giovani spose benestanti.
A parte questo, nulla. Regole, quelle sì. Tante regole, morali e no. Affetto poco, molto poco.
Fu così che usci nel mondo post-bellico senza la struttura mentale per affrontare quanto era li fuori.
MIO padre
L’ho detto. Di lui so solo nome, Luigi, e lavoro, macchinista ferroviere. Sposato, con almeno un altro figlio o figlia.
Conobbe mia madre sul treno verso Asti, che mia madre prendeva quando andava da certe sue zie. Portava quasi sempre occhiali da sole. Alto? Colore capelli? Com’era il suo fisico? Che carattere aveva? Nulla. Solo buchi.
MIO PADRE
Mio Padre era un omone. 140 chilogrammi quando si sposò. Mia madre spariva accanto a lui. Aveva vissuto con sua madre fino alla morte di quest’ultima, avvenuta per problemi cardiaci. Convinto di essere orfano di padre. In realtà il genitore era vivo e vegeto e abitava a due isolati da lui. Se non gli avessero negato l’eredità a causa della sua esistenza in vita non lo avrebbe mai saputo. Dopo il primo incontro, avvenuto alla cima di una vecchia scala di pietra, con mio nonno armato di bastone quando capì chi avesse di fronte, ripresero i rapporti. Mio Padre era così. Cercava sempre di giustificare tutti. Si poteva cambiare quanto era avvenuto? No. Quindi perché darsene cruccio? Risolsero i problemi burocratici e poi si videro ancora. Quando mio nonno ebbe il primo infarto mio Padre si propose di prenderselo in casa. Ma il nonno, che si chiamava Vittorio, non era in grado di vivere con altre persone. Venne a casa nostra fino alla fine, ma sempre vivendo da solo. E mio Padre fece promettere a mia madre che avrebbe sempre pagato per la cura della sua tomba nel cimitero di Torino. Così è, ancora oggi. La sola volta che ho visto mio Padre vacillare è stato al funerale del suo. Non aveva solo rimosso, o razionalizzato. Aveva perdonato.
IO
Io fui concepito in un alloggio di una zona di Torino sorta dopo il secondo conflitto mondiale. Un alloggio preso in prestito da un collega.
Quante volte si videro, cosa provassero l’una per l’altra, lo ignoro. Mi è sempre parso assurdo che mia madre non avesse mai chiesto il cognome, un minimo di informazioni circa quell’uomo che, a suo dire, l’aveva affascinata. Andò così. Lei dice che se ne innamorò.
Un giorno, però, qualcosa andò storto. Il coito non venne interrotto in tempo e la natura decise che una nuova vita sarebbe iniziata: la mia.
Quando mia madre gli disse che gli doveva parlare (come glielo disse? Telefonò, si videro, si scrissero? Mia madre non lo ricorda) lui mangiò la foglia e sparì. Le diede un appuntamento cui non si presentò, accanto all’edicola all’angolo tra corso Vittorio e via Po. Mia madre viveva all’epoca in una delle soffitte di Via Po, sopra al bar presso cui lavorava.
Furono i proprietari del bar che la aiutarono indirizzandola ad un istituto per le madri, oggi si direbbe single, nella prima collina torinese. Li io nacqui. Li rimasi quattro mesi insieme a lei. Poi dovette affidarmi, dovendo lavorare, ad una donna che teneva bambini presso casa sua.
E li rimasi fino all’anno di età o poco più.
IL MATRIMONIO
Rimasto solo mio Padre mise un annuncio matrimoniale sulla Stampa. Mia madre lo vide e decise di rispondere. Si scrissero un paio di volte e poi si videro.
Come fosse mio Padre lo si intuisce da li. Quando lei si presentò sola, lui le chiese dove fossi io. Lei rispose che ero dalla signora. In fondo chi vuole una donna con prole al seguito? E se poi fosse stato un disgraziato? Meglio sondare prima. Lui pretese l’indirizzo, presero il tram e dopo venti minuti io ero con loro. Passai tutto il giorno con loro. Di quel giorno ho una foto con me pisello al vento disteso sulla copertina al Parco del Valentino.
Non gli ci volle nulla di più. Decise che se per lei andava bene si sarebbero sposati, prese i documenti e in breve tempo convolarono a nozze.
La foto della giornata ritrae mio padre con l’Unità in tasca, giornale comprato e letto al bar prima di andare in municipio per la cerimonia. Tranquillo. Deciso. Mia madre, al contrario, sembra una corda di violino tesa allo spasimo. Esile, quasi una bambina se paragonata a lui. Le si legge in faccia la preoccupazione che qualcuno sappia, la vergogna. Un sentimento sotterraneo me sempre presente con lei. Una bambina di 28 anni. Ancora oggi molti suoi lati lo sono. Ma come avrebbe potuto essere diverso? Ha fatto quello che poteva con quel poco che la vita le aveva offerto.
Al compimento del mio primo anno di vita, trovata e preparata la casa, entrai ufficialmente in famiglia. Quel giorno nacqui per la seconda volta. Quando iniziai a parlare e, per la prima volta, dissi papà eravamo a passeggio. Mio Padre non disse nulla, mi prese sulle sue spalle e mi portò così per un lungo tratto di strada. Mia madre dice che aveva gli occhi lucidi. Lui non diceva di voler bene, di amare. Lo faceva. Così mi ha insegnato. Vivendo.







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