Marco

di
genere
voyeur


Quel giorno cambiò ogni cosa. Uguale a tanti, diverso da ognuno. Fu così che avvenne.

Marco non era quello che dava a vedere. Chi lo avesse incontrato, nei corridoi della biblioteca, non lo avrebbe preso in grande considerazione. Gentile, educato, sempre disponibile, sì. Ma come trasparente. Passava accanto alle persone senza quasi spostare l’aria, rifuggiva ogni azione che in qualche modo lo mettesse in evidenza. Eppure, chi lo avesse conosciuto solo pochi anni prima, lo avrebbe descritto in modo affatto differente.

Aveva un bar, ben avviato, in centro. Con lui lavorava la moglie. Niente figli, non per volontà né per malattie o disfunzioni. Per ragioni misteriose non erano mai venuti. Con il senno del poi si sarebbe potuto dire meglio così.

Tutto cambiò con l’incidente. Sua moglie morì, lui sopravvisse. Andò così, non fu colpa di nessuno. Di certo non sua. Un ubriaco li investì mentre attraversavano la strada. Un caso, solo un maledetto caso. L’attività ne risentì, inevitabilmente. Alla fine, dovette vendere la licenza ed il locale.

Si ritrovò solo, senza più un lavoro, in una casa troppo grande per una sola persona. Vendette l’appartamento e si trasferì in uno più piccolo, periferico.
Si mise a cercare lavoro, ma a 48 anni non era vecchio e nemmeno giovane. Evitò gli annunci relativi a bar e ristoranti. Gli avrebbero ricordato comunque sua moglie, e questo non poteva sopportarlo. Aveva un diploma di geometra ma non aveva mai praticato. Una cosa amava: i libri.

Così, quando lesse che la biblioteca cercava una sorta di tuttofare decise di rispondere. I compiti erano quanto mai vari. Dall’aiuto nella catalogazione e sistemazione negli scaffali dei volumi acquistati, all’assistenza a qualche utente in difficoltà, fino alla pulizia a fine giornata dei locali.
Per un uomo come lui, prima così gioviale e pieno di vita, un impiego come quello sarebbe sembrato una sorta di sepoltura anticipata. Questo prima. Ora non chiedeva di meglio che un’occasione per lavorare senza pensare a ciò che aveva perso. Senza pensare a lei. Essere occupato era quello che contava. Da cosa era poco importante.
Si presentò e, contro ogni sua previsione, fu assunto.

Lavorava con un orario spezzato, che terminava dopo che tutti gli altri dipendenti se ne erano già andati da un pezzo. Questo per consentirgli di eseguire le pulizie senza nessuno a disturbarlo. In realtà, per quanto la pausa pranzo glielo consentisse, non usciva mai. Si portava qualcosa da casa e mangiava nei locali magazzino della biblioteca. In mezzo ai libri, silenziosi e discreti spettatori di quella vita anzitempo ritirata dalla mischia del mondo.
In particolare, amava soffermarsi nella sala ipogea dell’archivio.
Quell’odore, la vista dei dorsi in pelle e i titoli, spesso sontuosi e in latino, lo faceva sentire in un santuario per pochi adepti. Essere in mezzo a libri così rari e preziosi, gli dava come la sensazione, illusoria certo, di poter dominare il tempo. Come se lo si potesse riavvolgere. Come se sua moglie potesse essere ancora viva se, un autore, per un motivo sconosciuto, avesse scritto ch’ella ancora avrebbe respirato l’aria di questo pianeta. Illusione, si. Ma illusione cosciente, dolorosa, seppur necessaria a che lui potesse trovare la forza di respirarla, quell’aria.

Fu li che la conobbe. Anna. Più giovane di qualche anno, una bellezza discreta, non esibita. Non per questo meno bella.
Non parlava molto. Anzi, se si escludono gli argomenti strettamente attinenti il lavoro, non sembrava interessata ad intrattenere qualsivoglia discorso.
A lui, Anna, piaceva. Gli piaceva quell’alone di mistero, la sensazione di aver di fronte un essere irraggiungibile, in questo così simile a lui. Si sentiva in colpa per questo. Combattuto tra il ricordo di un amore dolorosamente sottratto e l’interesse per un’altra donna, seppure sfuggente. Forse proprio perché sfuggente.

Anche il corpo di lei gli piaceva. Anche se sempre avvolto in abiti che, se non castigati, di certo non ammiccavano, il suo corpo attirava sempre il suo sguardo.
Sarà stato per quel modo fiero di muoversi, quello sguardo dritto. Forse per le mani, curate, nervose. Lievi sulle pagine dei libri. Mani di cui si sorprendeva a fantasticare carezze impudiche, provandone poi vergogna.
Che dire poi dello sguardo? Raro che si posasse su di lui, ma quando accadeva sentiva come se lo trapassasse da parte a parte, una spada che non uccideva ma feriva il cuore e toglieva il respiro.

Si ripeteva che non doveva. Tentava di evitare di stare da soli, di guardarla e di parlarle. Ma accadeva. Lei era spesso in archivio e, se necessario, chiedeva il suo aiuto per prelevare o riporre pesanti volumi.
Lo faceva sempre con il suo fare gentile ma algido, distaccato. Lui era un inserviente, nulla di più. Ma si può impedirsi di provare ciò che si prova? Marco continuava a fantasticare, consapevole dell’assurdità di tali pensieri ma incapace di allontanarli dalla sua mente.

Ma se, come si dice, la dove abbonda il peccato sovrabbonda la Grazia, seppure nessun peccato ci fosse, la Grazia decise di dare il meglio di sé. Così, per sfizio si potrebbe dire.

Una sera, quando ormai le luci erano spente e Marco s’appressava a portare a termine le sue ultime mansioni quotidiane, un rumore attirò la sua attenzione. L’ora era più tarda della norma, poiché quel giorno si era preso in paio d’ore di permesso per svolgere alcune incombenze burocratiche e doveva, quindi, recuperare il tempo perduto.

Dapprima non comprese donde provenisse il rumore. Le sale apparivano vuote e silenziose, gli uffici del piano abbandonati dai loro temporanei abitanti.
Seppure un po’ timoroso Marco si avviò alle scale che portavano all’archivio, unico locale non visibile dalla sua posizione.
Un tuffo al cuore lo colse quando vide la luce filtrare sotto la porta socchiusa.
Calma, si disse. Potrebbero averla scordata accesa. Contro tale tesi vi era che solo Anna scendeva in archivio, e lei era sempre attentissima a spegnere tutto prima di andarsene.

Il rumore, però, si ripeté. Ora non vi era più alcun dubbio. Qualcuno era in archivio. Un ladro? Possibile. Di libri rari? Improbabile. Allora chi, e cosa avrebbe potuto rubare?
Con circospezione Marco si avvicinò alla porta dell’archivio, spingendola appena per evitare che un eventuale cigolio potesse mettere in allarme l’intruso.
Non era, però, preparato, alla scena che gli si parò dinnanzi.

Seduta ad una delle sedie prospicenti il tavolo vi era lei, Anna. Era certo si trattasse di lei. La riconosceva dai capelli, e dall’abito elegante senza appariscenza. Anche il profumo tradiva la sua identità. Da che la conosceva aveva sempre usato lo stesso e Marco, ormai, aveva imparato ad intuirne la presenza semplicemente mediante l’olfatto. Di fronte alla donna stava un leggio e, sopra di esso, un libro aperto.
Marco vedeva la scena da una posizione che gli consentiva una discreta visuale e che, allo stesso tempo, gli assicurava di non essere visto.

Che ci faceva Anna li, a quell’ora? Perché poi con un libro dinnanzi? Quale libro leggeva? Molte domande, nessuna risposta.
Per un motivo che non sapeva spiegarsi Marco titubava, rimanendo li, sulla porta, senza decidersi a spingerla ed entrare, ponendo le stesse domande alla stessa Anna.
Vedeva le labbra della donna muoversi leggermente mentre leggeva. Non intuiva cosa stesse dicendo, ma era chiaro che ripeteva a bassa voce il racconto.

Accanto a lei la borsa aperta, lasciata sul tavolo. La lettura proseguiva, le parole fluivano dalle labbra della donna senza che lui le potesse cogliere. Fino a quando vide la mano destra di lei entrare nella borsa, muoversi al suo interno alla ricerca di qualcosa e uscirne trionfante, stringendo l’oggetto della ricerca: un dildo, un dildo realistico.

Marco era impietrito. Non era un ragazzino. Sapeva bene che Anna era donna con desideri ancora vivi. Almeno così immaginava, considerando la età di lei. Solo non avrebbe mai pensato potesse vederla così.

Del resto, anche lui li aveva, questi desideri. Li combatteva per quel senso di vergogna, quasi di tradimento che lo coglieva se si soffermava a pensarci. Ma erano sempre li. Ogni volta gli ricordavano che era vivo, lui. La moglie era morta ma lui, per una crudele condanna o una immeritata e forse non meno crudele pietà, no. Lui era vivo.

Anna proseguiva la lettura. Le labbra, però, non ripetevano più le parole. La sua bocca si dedicava a quella simulazione plastica della virilità con la stessa voluttà e dedizione con cui si sarebbe potuto immaginare si sarebbero accanite su un membro reale. Avvolgendolo con la lingua. Succhiandolo e accogliendolo nell’umido calore della sua bocca. Strusciandolo tra i seni scoperti, sui capezzoli ritti.

Marco non poteva non immaginare quale ineffabile piacere avrebbe provato se, al posto di un simile oggetto inanimato, vi fosse stato il suo membro.
Invece di un freddo cilindro di plastica il calore pulsante e vivo del suo pene a gustare ogni assalto, ogni passaggio della lingua sul glande gonfio e teso. Quale sensazione avrebbe provato ad affondare tra le morbide e calde mammelle di lei? Quale brivido avrebbe provocato ogni discesa nella sua bocca?

Il suo corpo reagiva a una simile vista, concentrando il sangue laddove mente e corpo trovavano piena sintonia. Inarrestabile, l’erezione gonfiava i suoi pantaloni, rendendoli una dolorosa e sadica costrizione.

Mentre la bocca giocava in quel modo una mano discese, fermandosi all’altezza del pube. Cosa stesse facendo, Marco poteva solo immaginarlo. Il vestito, sollevato sulle cosce, non consentiva la vista. I sospiri di lei, però, rivelavano l’oggetto di quelle carezze lasciando all’immaginazione la facoltà di colmare la carenza della visione.

Ora Anna non leggeva più. I suoni che la sua bocca emetteva erano gemiti strozzati, inarticolati. Perfettamente comprensibili a chiunque li avesse ascoltati, qualunque fosse la lingua.
Il dildo abbandonò la bocca di Anna e si diresse verso un’altra cavità, non meno calda e umida di quella che lasciava. La trovò e si immerse in essa, mentre il corpo della donna scivolava sulla sedia per aprire a quella desiderata invasione la sua intimità.

Ci vollero alcuni minuti perché la mano, muovendo con sapienza il dildo nel sesso gonfio e allagato di lei, facesse salire il piacere fino al raggiungimento dell’agognata meta.
Il corpo teso, il respiro interrotto prima dell’emissione di grida di piacere lasciate fluire senza controllo, il viso quasi irriconoscibile nel punto più alto dell’orgasmo sancirono la fine di quella scena cui, incapace di andarsene, Marco aveva assistito.

Per tutto il tempo una mano aveva carezzato la forma tesa che dilatava i pantaloni. Ora non poteva più trattenere la prepotenza con cui il suo corpo reclamava una soddisfazione troppo a lungo rimandata.

Lasciò rapidamente la sua postazione di osservazione privilegiata, guadagnò l’ingresso del vicino bagno, liberò l’erezione dalla costrizione della stoffa e con una vemenza quasi feroce, imposta dall’impellenza del desiderio insoddisfatto, portò a termine il più piacevole atto di onanismo della sua vita.

Il contenuto del lavandino, quando la tensione finalmente si sciolse, rivelava l’intensità del piacere non meno del tempo in cui, per propria volontà, tale piacere era stato negato. Si guardò allo specchio. Il volto arrossato e le pupille appena dilatate erano segni di quanto appena avvenuto. Si ricompose, lavò le mani e rimosse gli abbondanti e densi fiotti che striavano la ceramica e inondavano l’aria sovrastante dell’inconfondibile odore del seme maschile.

Uscì dal bagno appena in tempo per scontrarsi con Anna che, nel frattempo, aveva lasciato la sala archivio per riprendere le scale e guadagnare l’uscita.

Si trovarono l’uno di fronte all’altra e ,forse per la prima volta, si videro.


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2021-12-05
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