Gravità Zero, Desiderio Infinito
di
Black Gotik
genere
fantascienza
Ivan fluttuava nella penombra della cabina della stazione orbitale, il suo corpo nudo sospeso come un satellite in orbita. I muscoli delle sue spalle e del torace si stagliavano nella luce soffusa dei pannelli a led, mentre i tatuaggi cibernetici, fili argentei e geometrici che gli attraversavano il braccio destro, palpitavano debolmente, sincronizzati col battito del suo cuore. La gravità zero gli donava una grazia felina, ogni movimento lento e misurato, come se il tempo si fosse liquefatto attorno a lui. Le sue natiche sode si contraevano appena per mantenere la posizione; il suo cazzo, semieretto, oscillava pigro davanti a lui, un peso caldo e vivo che non aveva fretta di trovare casa.
Dall’ingresso, la silenziosa Caterina si librò dentro. Indossava solo una tuta termica sottilissima, un secondo vincente che le aderiva come pelle liquida: il tessuto le disegnava i seni piccoli e tondi, la linea sottile della vita, l’arco perfetto del suo culo, e là dove il tessuto era più opaco, il piccolo monticolo del pube. I capezzoli turgidi sporgevano in due coni vischiosi, duri come chicchi di caffè, e i suoi occhi scuri, quasi neri riflettevano la stessa fame che Ivan sentiva crescere dentro. Alle sue spalle, attraverso il finestrino di osservazione, la Terra era un globo blu e bianco che girava pigro, indifferente ai desideri di carne.
«Katerina Borisovna,» mormorò Ivan con l’accento che faceva vibrare la “r” come un colpo di tosse. «Volevi un po’ di... fisica sperimentale?»
Lei non rispose a parole; si limitò a spingere via dalla parete con la pianta del piede, librandosi verso di lui. Quando fu a un palmo, allungò le dita della mano sinistra e gli tracciò un cerchio sul petto, intorno al tatuaggio più grosso: una spira di circuito che sembrava un cuore stilizzato. Il contatto elettrificò entrambi. Ivan afferrò i suoi fianchi, la tuta termica caldissima sotto i palmi. Con un sospiro trattenuto, la tirò a sé; i loro corpi si scontrarono in un soffio d’aria compressa, e allora le loro bocche si trovarono.
Il bacio fu un uragano in slow motion. Lingue che si cercavano, si attorcigliavano, si mordicchiavano. Saliva calda che saziava più del cibo liofilizzato. Caterina gemette contro le sue labbra, il suono riverberò nella cabina vuota. Ivan affondò le dita nei capelli corvini, ingarbugliandoli, e spostò la testa di lei per poterle mordere il lobo dell’orecchio. Lei si contorse, le gambe si attorcigliarono alla sua vita; la tuta le strisciò sul clitoride, eccitandola ancora di più.
«Prendimi,» sussurrò con la voce rotta. «Non voglio più aspettare.»
Ivan accarezzò la linea della sua schiena fino alla cintura della tuta, poi afferrò il velcro e lo strappò con un ssshh secco che risuonò come un orgasmo in anticipo. Il tessuto si spalancò, scoprendole le piccole tette che tremavano di desiderio, i capezzoli duri come chiodi. Lui abbassò la testa, avvolgendo una punta tra le labbra, succhiando forte finché non sentì il sapore metallico della pelle conciata dai raggi UV. Caterina si aggrappò alle sue spalle, annaspando. Il piacere la fece tremare; le sue unghie gli scavavano la nuca.
Con una spinta delicata ma ferma, Ivan la spinse contro la parete ricoperta di schiuma isolante. Le luci bianche le scolpivano il volto, quegli occhi neri che lo guardavano come se volesse divorarlo. Lui si spostò più in basso, tracciando un sentiero di baci umidi lungo il suo sterno, il ventre, l’interno coscia. La tuta gli restava appesa alle anche, ostacolo fastidioso; la infilò giù con un colpo secco, lasciandola attorcigliata alle caviglie. Il suo odore, pelle calda e un retrogusto di caffè espresso, lo fece impazzire. Spalancò le sue cosce fluttuanti e la sua lingua trovò il clito, un piccolo fagiolo duro che batteva contro la punta.
Caterina urlò. Un urlo acuto che rimbalzò sui pannelli, distorto dal microfono ambientale. Ivan le passò le braccia sotto le ginocchia per tenerla ferma o per quanto la mancanza di gravità permettesse, e cominciò a leccarla con movimenti circolari, lenti e costanti. Ogni volta che la lingua scivolava in basso, stringeva le labbra intorno al clito, succhiava, poi risaliva con una falcata veloce. Il gusto di lei, salato, un po’ amaro, vagamente di piscio di ricambio, era l’elisir più raro della stazione. Il suo respiro accelerava, le pareti della cabina tremavano.
«Ivan... Ivan, ti prego...» balbettava, la voce che si spezzava. Allora lui cambiò ritmo: affondò due dita nella fica bagnata, muovendole a uncino verso l’alto, mentre la lingua continuava a martellare il piccolo dio del piacere. Caterina sgranò gli occhi, la bocca spalancata in un “O” silenzioso, poi lo schianto: un orgasmo che le fece irrigidire tutto il corpo, i muscoli della fica che stringevano le dita di Ivan in spasmi convulsi, il liquido caldo che gli inzuppava il mento. Lui continuò a lambirla finché le contrazioni non si plasmarono in un fremito di over sensibilità.
La lasciò fluttuare indietro, il volto lucente di umori femminili. I loro sguardi si incontrarono, carichi di complicità. «Gusto di stella,» brontolò Ivan con un sorriso da lupo. Lei rise, un suono rauco, poi si trascinò a sé con forza e lo baciò, leccandogli via il proprio sapore dal labbro inferiore.
«Tocca a te, cosmonauta,» sussurrò, afferrandogli il cazzo ora completamente duro, un bastone di pelle tesa e calda che vibrava al tatto. Le dita di Caterina non gli fecero domande: lo accarezzarono dal basso in alto, scoprendo il glande lucido, poi lo strinsero appena, misurandone il polso accelerato. Con un movimento fluido, come se danzasse in assenza di gravità, si aprì le cosce e lo guidò dentro di sé.
Il primo affondo fu lento: Ivan infilò la testa, si fermò, le lesse l’espressione negli occhi, poi spinse finché le sue palle non sbatterono contro le natiche di lei. Entrambi trattennero il respiro quella sensazione di pienezza, in assenza di peso, era come se il tempo si fosse formato intorno al loro punto di contatto. Poi Caterina allungò le gambe avvolgendogli la vita, lo trasse a sé con forza, e il loro ritmo cominciò.
Non c’era “sopra” o “sotto”: i corpi fluttuavano, rimbalzavano lenti l’uno contro l’altra. Ogni spinta spediva Ivan più a fondo, il suo cazzo che strisciava lungo il punto G di Caterina, la sua pelle che scivolava bagnata e ruvida al tempo stesso. Lei gemeva, i capelli fluttuavano come una nera aureola, le mani si aggrappavano a quelle di lui, intrecciandosi sopra la loro testa. Lui le baciava il collo, mordicchiava la clavicola, poi tornava a mordere delicatamente il lobo dell’orecchio, soffiando parole sporche in russo: «Ты моя маленькая звезда...»
La pressione saliva: la respirazione diveniva un ansimare condiviso. Ivan accelerò, i muscoli glutei contratti a ogni colpo; le natiche di Caterina vibravano contro la parete della cabina, un tonfo soffice e costante. Il piacere gli saliva dalle palle su per la spina dorsale, un serpente caldo che cercava l’uscita. Caterina, in preda a un secondo orgasmo imminente, strinse i muscoli interni, massaggiando il suo cazzo con il calore umido della fica. Ivan ringhiò, un suono animale che le risuonò dentro.
«Viene dentro di me,» gli ordinò con voce strozzata. «Voglio sentirti esplodere.»
Lui non ebbe bisogno di sentirglielo dire due volte. Con un ultimo colpo secco, si immerse completamente e lasciò andare: il cazzo pulsò, una, due, tre volte, scaricando ondate di sperma caldo che schizzavano contro le pareti interne di lei, riempiendola. Caterina sentì il calore che le inondava il ventre, seguito da una fitta di contrazioni che la fecero urlare di nuovo, questa volta un urlo più basso, prolungato. I loro gemiti si fusero in un unico mantra, un urlo di estasi che la Terra, lontana, non avrebbe mai potuto udire.
Restarono uniti, fluttuando nel centro della cabina, le braccia avvinghiate, il cazzo di Ivan che si afflosciava lentamente dentro di lei, il sperma che colava in filamenti bianchi nell’aria. Il cuore di entrambi batteva forte, il sangue che urlava nelle orecchie, ma intorno regnava il silenzio assoluto del vuoto. Caterina accarezzò la nuca di Ivan, baciandogli la fronte imperlata di sudore.
«Penserà qualcuno che abbiamo commesso un sacrilegio?» domandò con una risatina.
Ivan sorrise, ancora un po’ intontito. «Nello spazio, nessuno può sentirti godere... a meno che tu non sia collegato alla scheda di bordo.» Scoppiarono entrambi a ridere, il suono vibrava contro i pannelli.
La Terra continuava a ruotare, indifferente, ma per la prima volta da settimane la cabina della stazione non era solo un posto dove analizzare dati o riparare circuiti; era diventato il loro letto, il loro cielo, il loro rifugio. E mentre fluttuavano abbracciati, sperma e umori flottanti in gocce sferiche, Caterina fece una promessa muta a se stessa: avrebbero esplorato ogni centimetro di quel nuovo universo, insieme, senza più tornare indietro.
Dall’ingresso, la silenziosa Caterina si librò dentro. Indossava solo una tuta termica sottilissima, un secondo vincente che le aderiva come pelle liquida: il tessuto le disegnava i seni piccoli e tondi, la linea sottile della vita, l’arco perfetto del suo culo, e là dove il tessuto era più opaco, il piccolo monticolo del pube. I capezzoli turgidi sporgevano in due coni vischiosi, duri come chicchi di caffè, e i suoi occhi scuri, quasi neri riflettevano la stessa fame che Ivan sentiva crescere dentro. Alle sue spalle, attraverso il finestrino di osservazione, la Terra era un globo blu e bianco che girava pigro, indifferente ai desideri di carne.
«Katerina Borisovna,» mormorò Ivan con l’accento che faceva vibrare la “r” come un colpo di tosse. «Volevi un po’ di... fisica sperimentale?»
Lei non rispose a parole; si limitò a spingere via dalla parete con la pianta del piede, librandosi verso di lui. Quando fu a un palmo, allungò le dita della mano sinistra e gli tracciò un cerchio sul petto, intorno al tatuaggio più grosso: una spira di circuito che sembrava un cuore stilizzato. Il contatto elettrificò entrambi. Ivan afferrò i suoi fianchi, la tuta termica caldissima sotto i palmi. Con un sospiro trattenuto, la tirò a sé; i loro corpi si scontrarono in un soffio d’aria compressa, e allora le loro bocche si trovarono.
Il bacio fu un uragano in slow motion. Lingue che si cercavano, si attorcigliavano, si mordicchiavano. Saliva calda che saziava più del cibo liofilizzato. Caterina gemette contro le sue labbra, il suono riverberò nella cabina vuota. Ivan affondò le dita nei capelli corvini, ingarbugliandoli, e spostò la testa di lei per poterle mordere il lobo dell’orecchio. Lei si contorse, le gambe si attorcigliarono alla sua vita; la tuta le strisciò sul clitoride, eccitandola ancora di più.
«Prendimi,» sussurrò con la voce rotta. «Non voglio più aspettare.»
Ivan accarezzò la linea della sua schiena fino alla cintura della tuta, poi afferrò il velcro e lo strappò con un ssshh secco che risuonò come un orgasmo in anticipo. Il tessuto si spalancò, scoprendole le piccole tette che tremavano di desiderio, i capezzoli duri come chiodi. Lui abbassò la testa, avvolgendo una punta tra le labbra, succhiando forte finché non sentì il sapore metallico della pelle conciata dai raggi UV. Caterina si aggrappò alle sue spalle, annaspando. Il piacere la fece tremare; le sue unghie gli scavavano la nuca.
Con una spinta delicata ma ferma, Ivan la spinse contro la parete ricoperta di schiuma isolante. Le luci bianche le scolpivano il volto, quegli occhi neri che lo guardavano come se volesse divorarlo. Lui si spostò più in basso, tracciando un sentiero di baci umidi lungo il suo sterno, il ventre, l’interno coscia. La tuta gli restava appesa alle anche, ostacolo fastidioso; la infilò giù con un colpo secco, lasciandola attorcigliata alle caviglie. Il suo odore, pelle calda e un retrogusto di caffè espresso, lo fece impazzire. Spalancò le sue cosce fluttuanti e la sua lingua trovò il clito, un piccolo fagiolo duro che batteva contro la punta.
Caterina urlò. Un urlo acuto che rimbalzò sui pannelli, distorto dal microfono ambientale. Ivan le passò le braccia sotto le ginocchia per tenerla ferma o per quanto la mancanza di gravità permettesse, e cominciò a leccarla con movimenti circolari, lenti e costanti. Ogni volta che la lingua scivolava in basso, stringeva le labbra intorno al clito, succhiava, poi risaliva con una falcata veloce. Il gusto di lei, salato, un po’ amaro, vagamente di piscio di ricambio, era l’elisir più raro della stazione. Il suo respiro accelerava, le pareti della cabina tremavano.
«Ivan... Ivan, ti prego...» balbettava, la voce che si spezzava. Allora lui cambiò ritmo: affondò due dita nella fica bagnata, muovendole a uncino verso l’alto, mentre la lingua continuava a martellare il piccolo dio del piacere. Caterina sgranò gli occhi, la bocca spalancata in un “O” silenzioso, poi lo schianto: un orgasmo che le fece irrigidire tutto il corpo, i muscoli della fica che stringevano le dita di Ivan in spasmi convulsi, il liquido caldo che gli inzuppava il mento. Lui continuò a lambirla finché le contrazioni non si plasmarono in un fremito di over sensibilità.
La lasciò fluttuare indietro, il volto lucente di umori femminili. I loro sguardi si incontrarono, carichi di complicità. «Gusto di stella,» brontolò Ivan con un sorriso da lupo. Lei rise, un suono rauco, poi si trascinò a sé con forza e lo baciò, leccandogli via il proprio sapore dal labbro inferiore.
«Tocca a te, cosmonauta,» sussurrò, afferrandogli il cazzo ora completamente duro, un bastone di pelle tesa e calda che vibrava al tatto. Le dita di Caterina non gli fecero domande: lo accarezzarono dal basso in alto, scoprendo il glande lucido, poi lo strinsero appena, misurandone il polso accelerato. Con un movimento fluido, come se danzasse in assenza di gravità, si aprì le cosce e lo guidò dentro di sé.
Il primo affondo fu lento: Ivan infilò la testa, si fermò, le lesse l’espressione negli occhi, poi spinse finché le sue palle non sbatterono contro le natiche di lei. Entrambi trattennero il respiro quella sensazione di pienezza, in assenza di peso, era come se il tempo si fosse formato intorno al loro punto di contatto. Poi Caterina allungò le gambe avvolgendogli la vita, lo trasse a sé con forza, e il loro ritmo cominciò.
Non c’era “sopra” o “sotto”: i corpi fluttuavano, rimbalzavano lenti l’uno contro l’altra. Ogni spinta spediva Ivan più a fondo, il suo cazzo che strisciava lungo il punto G di Caterina, la sua pelle che scivolava bagnata e ruvida al tempo stesso. Lei gemeva, i capelli fluttuavano come una nera aureola, le mani si aggrappavano a quelle di lui, intrecciandosi sopra la loro testa. Lui le baciava il collo, mordicchiava la clavicola, poi tornava a mordere delicatamente il lobo dell’orecchio, soffiando parole sporche in russo: «Ты моя маленькая звезда...»
La pressione saliva: la respirazione diveniva un ansimare condiviso. Ivan accelerò, i muscoli glutei contratti a ogni colpo; le natiche di Caterina vibravano contro la parete della cabina, un tonfo soffice e costante. Il piacere gli saliva dalle palle su per la spina dorsale, un serpente caldo che cercava l’uscita. Caterina, in preda a un secondo orgasmo imminente, strinse i muscoli interni, massaggiando il suo cazzo con il calore umido della fica. Ivan ringhiò, un suono animale che le risuonò dentro.
«Viene dentro di me,» gli ordinò con voce strozzata. «Voglio sentirti esplodere.»
Lui non ebbe bisogno di sentirglielo dire due volte. Con un ultimo colpo secco, si immerse completamente e lasciò andare: il cazzo pulsò, una, due, tre volte, scaricando ondate di sperma caldo che schizzavano contro le pareti interne di lei, riempiendola. Caterina sentì il calore che le inondava il ventre, seguito da una fitta di contrazioni che la fecero urlare di nuovo, questa volta un urlo più basso, prolungato. I loro gemiti si fusero in un unico mantra, un urlo di estasi che la Terra, lontana, non avrebbe mai potuto udire.
Restarono uniti, fluttuando nel centro della cabina, le braccia avvinghiate, il cazzo di Ivan che si afflosciava lentamente dentro di lei, il sperma che colava in filamenti bianchi nell’aria. Il cuore di entrambi batteva forte, il sangue che urlava nelle orecchie, ma intorno regnava il silenzio assoluto del vuoto. Caterina accarezzò la nuca di Ivan, baciandogli la fronte imperlata di sudore.
«Penserà qualcuno che abbiamo commesso un sacrilegio?» domandò con una risatina.
Ivan sorrise, ancora un po’ intontito. «Nello spazio, nessuno può sentirti godere... a meno che tu non sia collegato alla scheda di bordo.» Scoppiarono entrambi a ridere, il suono vibrava contro i pannelli.
La Terra continuava a ruotare, indifferente, ma per la prima volta da settimane la cabina della stazione non era solo un posto dove analizzare dati o riparare circuiti; era diventato il loro letto, il loro cielo, il loro rifugio. E mentre fluttuavano abbracciati, sperma e umori flottanti in gocce sferiche, Caterina fece una promessa muta a se stessa: avrebbero esplorato ogni centimetro di quel nuovo universo, insieme, senza più tornare indietro.
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