La nascita di Marika 2

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La nascita di Marika 2

Non passò molto tempo da quel giorno. Dentro di me continuava a ribollire la confusione per ciò che era accaduto tra me e Cesare: non riuscivo a capire perché mi fossi lasciato andare, perché avessi permesso a me stesso di provare certe emozioni. Mi tormentavo con quei pensieri mentre, seduto al bar, facevo colazione in silenzio.

Fu allora che sentii una mano posarsi leggera sulla mia spalla. Mi voltai di scatto e vidi Cesare, con il suo solito sorriso tranquillo, mentre ordinava un caffè al bancone.

— Ciao, che fai qui da solo? — mi chiese con tono allegro.

— Sto facendo colazione — risposi, cercando di sembrare disinvolto.

— Eh sì, si vede — rise lui. — Posso farti compagnia?

Annuii. — Certo.

Si sedette di fronte a me e, dopo un attimo di silenzio, mi guardò dritto negli occhi. — Ma cos’è successo? Non ti sei più fatto vedere… è per caso successo qualcosa con Fabio?

Scossi la testa. — No, niente di tutto questo. È solo che sono preso dallo studio, e poi il nuoto… ho sempre qualcosa da fare.

— Capisco — disse lui, accennando un sorriso comprensivo. — Succede a tutti di attraversare periodi così.

Bevve un sorso del suo caffè, poi aggiunse con tono più serio: — Senti, ti devo parlare di una cosa importante. Vieni con me, devo sistemare un paio di cose e poi pranziamo insieme.

Esitai. — Non so… mia madre mi aspetta per pranzo.

Lui rise piano. — Non preoccuparti, l’avviso io che sei con me.

Lo guardai, indeciso. Dentro di me una parte voleva dire di no, mantenere le distanze, ma un’altra parte — quella che ancora non riuscivo a controllare — era già pronta ad alzarsi e seguirlo.
Uscimmo dal bar e salimmo sulla sua Lancia Thema nera. L’interno profumava di cuoio e di qualcosa di familiare, forse il suo dopobarba. Cesare mise in moto e partimmo in direzione di Roma. La strada scorreva veloce sotto di noi, e per un po’ restammo in silenzio, accompagnati solo dal rumore regolare del motore.
Poi, senza troppi giri di parole, Cesare ruppe il silenzio.
Le sue parole furono dirette, spiazzanti. Io rimasi immobile, incapace di reagire. Il tono era quello di chi non chiede, ma pretende, quello che abbiamo fatto a casa mia mi è piaciuto molto e voglio che diventi la mia troia.
Mi voltai verso di lui, cercando di riprendere fiato. — Ti stai sbagliando, Cesare… — dissi piano. — Quello che è successo è stato un errore. Non voglio che accada di nuovo.
Lui sorrise appena, ma nei suoi occhi non c’era ironia, solo una calma inquietante. — Un errore? — ripeté. — A me non sembrava.
Le sue parole mi colpirono più di uno schiaffo. Dentro di me lottavano due forze opposte: la vergogna e qualcosa di più oscuro, qualcosa che non volevo riconoscere.
Cesare non alzò la voce, ma il suo tono cambiò. Divenne più profondo, più deciso.
— Non devi avere paura di quello che sei, Marco. Non ancora. Ti aiuterò io a capirlo.
Abbassai lo sguardo, cercando di nascondere la confusione che mi bruciava dentro. Il paesaggio fuori dal finestrino correva via, sfocato, come se il mondo intero stesse scappando da quella macchina.
— Dopo pranzo — continuò lui — conoscerai una persona. È tempo che tu scopra davvero chi sei.
Non risposi. Il cuore mi batteva forte, e per un attimo ebbi la sensazione di non avere più il controllo né di me stesso, né di ciò che stava per accadere.
Solo allora capii che da quel momento in poi, niente sarebbe stato più come prima.
scritto il
2025-10-23
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