Claudio e Cecilia: la crisi dalla prospettiva di Cecilia
di
Maschio Vero
genere
sentimentali
Istanbul, la prospettiva di Cecilia
Il brusio del caffè era un rumore rassicurante, un muretto di suoni che la proteggeva dal suo vuoto interiore. Cecilia sorrise e annuì a un collega, fingendo di ascoltare, ma la sua mente era altrove. Lontana da Istanbul, lontana da quel giorno, lontana dal dolore che cercava di nascondere adagiandosi al chiasso che la circondava. Il suo corpo era in Turchia, ma il suo cuore era rimasto in Italia, in una stanza buia, con un uomo che non aveva mai capito fino in fondo.
La vide di nuovo. La loro ultima notte. Non era un ricordo, ma un fantasma che la seguiva ovunque. Non era passione, ma un disperato tentativo di attaccarsi a qualcosa che sapeva di star perdendo. Lei lo aveva spogliato lentamente, non per eccitarlo, ma per rimandare l'inevitabile. Per far durare quel momento un'eternità. Le sue dita avevano tracciato ogni cicatrice sul suo petto, conoscendo a memoria la mappa della sua pelle, ma desiderando che anche lui conoscesse la mappa della sua anima. Aveva inalato il suo odore, che era la cosa più vicina a casa che avesse mai conosciuto, e aveva appoggiato la guancia contro il suo collo, sentendo il calore che irradiava dalla sua pelle. Con un bacio profondo che era un ritorno a casa, aveva preso il suo sapore, il gusto di lui che sapeva di desiderio e di promesse non dette. Aveva sentito il peso del suo corpo su di lei, un peso rassicurante e allo stesso tempo pesante, come il futuro che lui non era pronto ad affrontare. L'aveva invitato ad entrare in lei, non solo fisicamente, ma con un'intimità che voleva fosse una promessa. Si era mossa sotto di lui, non seguendo il suo ritmo, ma guidandolo, come se la loro fosse l'ultima danza della loro vita. Gli aveva stretto i glutei con forza. Aveva sentito la reazione nelle sue mani che si stringevano nei suoi capelli, un tocco che le dava un brivido misto di eccitazione e paura. E ancora la sua presa intorno ai fianchi. Una stretta forte come se volesse possederla per sempre. Aveva avuto l’impressione che non fosse mai entrato così in profondità. Ricorda ancora i rumori umidi della sua intimità allagata. Il suo membro così possente l’aveva dilatata in ogni millimetro del suo corpo. Quando il momento era arrivato, non fu solo un'esplosione di piacere. Era una liberazione di tutta la sua paura, di tutto il dolore che aveva tenuto dentro per mesi. Aveva urlato, un grido che non era di piacere, ma di una enorme manifestazione di dolore e amore. Lo aveva stretto a sé dopo che erano venuti, con un abbraccio che non era possesso ma protezione, come se entrambi sapessero che quello era un momento fragile, un'oasi che presto sarebbe scomparsa.
Claudio apparve nel suo campo visivo. Immobile, con il borsone ai piedi, era solo un'ombra in una piazza assolata. Il suo arrivo fu uno shock, ma non fu una sorpresa. Un'onda di emozioni la travolse: rabbia, disprezzo, ma soprattutto, una profonda, estenuante pena. Non per sé stessa, ma per lui. Era lì, come sempre, a cercare di rimettere a posto i pezzi di qualcosa che lui stesso aveva rotto. Non era venuto per lei, ma per un'altra delle sue fughe. Claudio si avvicinò al tavolo e il suo sussurro, "Cecilia," risuonò come un'eco nel silenzio che si era fatto intorno a loro. Lei lo fissò, e nei suoi occhi, che una volta erano stati pieni di vita, non c'era più rabbia, ma un deserto ghiacciato. Con una calma innaturale, posò la tazza sul tavolo. Le sue parole arrivarono a lui come lame di ghiaccio, scandite e precise. "Sei venuto fin qui per chiedere perdono, Claudio? O solo per guardarti nel riflesso di ciò che hai distrutto?". Il suo tono non era di rabbia, ma di un'implacabile compassione che lo feriva più di qualsiasi insulto. Claudio rimase in piedi, la bocca socchiusa, incapace di rispondere. "Tu non hai tradito me", continuò lei, "hai tradito te stesso. E ora, figlio di puttana, sei venuto a chiedere a me di ricucire i tuoi pezzi, ma non è più il mio lavoro".
Si alzò, le sue due amiche e l'uomo si alzarono a loro volta. Senza guardarlo più, si incamminarono, lasciandolo solo in mezzo alla piazza. La Turchia, un attimo prima unica destinazione possibile, divenne per lui un luogo ostile. Ma per lei, era finalmente diventata una via di fuga. Mentre camminava, sentiva il dolore di quella perdita, ma per la prima volta, non era più il suo.
Il brusio del caffè era un rumore rassicurante, un muretto di suoni che la proteggeva dal suo vuoto interiore. Cecilia sorrise e annuì a un collega, fingendo di ascoltare, ma la sua mente era altrove. Lontana da Istanbul, lontana da quel giorno, lontana dal dolore che cercava di nascondere adagiandosi al chiasso che la circondava. Il suo corpo era in Turchia, ma il suo cuore era rimasto in Italia, in una stanza buia, con un uomo che non aveva mai capito fino in fondo.
La vide di nuovo. La loro ultima notte. Non era un ricordo, ma un fantasma che la seguiva ovunque. Non era passione, ma un disperato tentativo di attaccarsi a qualcosa che sapeva di star perdendo. Lei lo aveva spogliato lentamente, non per eccitarlo, ma per rimandare l'inevitabile. Per far durare quel momento un'eternità. Le sue dita avevano tracciato ogni cicatrice sul suo petto, conoscendo a memoria la mappa della sua pelle, ma desiderando che anche lui conoscesse la mappa della sua anima. Aveva inalato il suo odore, che era la cosa più vicina a casa che avesse mai conosciuto, e aveva appoggiato la guancia contro il suo collo, sentendo il calore che irradiava dalla sua pelle. Con un bacio profondo che era un ritorno a casa, aveva preso il suo sapore, il gusto di lui che sapeva di desiderio e di promesse non dette. Aveva sentito il peso del suo corpo su di lei, un peso rassicurante e allo stesso tempo pesante, come il futuro che lui non era pronto ad affrontare. L'aveva invitato ad entrare in lei, non solo fisicamente, ma con un'intimità che voleva fosse una promessa. Si era mossa sotto di lui, non seguendo il suo ritmo, ma guidandolo, come se la loro fosse l'ultima danza della loro vita. Gli aveva stretto i glutei con forza. Aveva sentito la reazione nelle sue mani che si stringevano nei suoi capelli, un tocco che le dava un brivido misto di eccitazione e paura. E ancora la sua presa intorno ai fianchi. Una stretta forte come se volesse possederla per sempre. Aveva avuto l’impressione che non fosse mai entrato così in profondità. Ricorda ancora i rumori umidi della sua intimità allagata. Il suo membro così possente l’aveva dilatata in ogni millimetro del suo corpo. Quando il momento era arrivato, non fu solo un'esplosione di piacere. Era una liberazione di tutta la sua paura, di tutto il dolore che aveva tenuto dentro per mesi. Aveva urlato, un grido che non era di piacere, ma di una enorme manifestazione di dolore e amore. Lo aveva stretto a sé dopo che erano venuti, con un abbraccio che non era possesso ma protezione, come se entrambi sapessero che quello era un momento fragile, un'oasi che presto sarebbe scomparsa.
Claudio apparve nel suo campo visivo. Immobile, con il borsone ai piedi, era solo un'ombra in una piazza assolata. Il suo arrivo fu uno shock, ma non fu una sorpresa. Un'onda di emozioni la travolse: rabbia, disprezzo, ma soprattutto, una profonda, estenuante pena. Non per sé stessa, ma per lui. Era lì, come sempre, a cercare di rimettere a posto i pezzi di qualcosa che lui stesso aveva rotto. Non era venuto per lei, ma per un'altra delle sue fughe. Claudio si avvicinò al tavolo e il suo sussurro, "Cecilia," risuonò come un'eco nel silenzio che si era fatto intorno a loro. Lei lo fissò, e nei suoi occhi, che una volta erano stati pieni di vita, non c'era più rabbia, ma un deserto ghiacciato. Con una calma innaturale, posò la tazza sul tavolo. Le sue parole arrivarono a lui come lame di ghiaccio, scandite e precise. "Sei venuto fin qui per chiedere perdono, Claudio? O solo per guardarti nel riflesso di ciò che hai distrutto?". Il suo tono non era di rabbia, ma di un'implacabile compassione che lo feriva più di qualsiasi insulto. Claudio rimase in piedi, la bocca socchiusa, incapace di rispondere. "Tu non hai tradito me", continuò lei, "hai tradito te stesso. E ora, figlio di puttana, sei venuto a chiedere a me di ricucire i tuoi pezzi, ma non è più il mio lavoro".
Si alzò, le sue due amiche e l'uomo si alzarono a loro volta. Senza guardarlo più, si incamminarono, lasciandolo solo in mezzo alla piazza. La Turchia, un attimo prima unica destinazione possibile, divenne per lui un luogo ostile. Ma per lei, era finalmente diventata una via di fuga. Mentre camminava, sentiva il dolore di quella perdita, ma per la prima volta, non era più il suo.
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