Claudio libera Luisa
di
Maschio Vero
genere
etero
Claudio guardò il suo telefono. La foto di Luisa, nuda e tremante, era stata inviata a Giorgio. Le due spunte blu comparvero quasi subito. Un brivido freddo gli corse lungo la schiena, un misto di vittoria e inquietudine. Attese, ma il suo telefono rimase muto. Giorgio l’illuso padrone del gioco, era in silenzio. E quel silenzio era un'arma più potente di qualsiasi insulto.
L’attesa, prima della deflagrazione finale, fu rotta da un suono reale che arrivava dall'interno dell'appartamento. Il telefono di Luisa squillò, una, due, tre volte. Claudio sentì il suo respiro farsi affannoso. Poi, la voce di Luisa, un sussurro spezzato. "Giorgio...". Le due sillabe, pronunciate con terrore e stupore, furono un'eco maligna nel silenzio dell'appartamento. Poi un urlo, un grido acuto e disperato, e il tonfo sordo del telefono che si schiantava contro il muro.
Claudio si sentì pieno di adrenalina. Il suo piano, la sua vendetta, non era stata un trionfo, ma un'ulteriore umiliazione arrecata. Non aveva distrutto solo Giorgio, ma anche Luisa, e in quel grido aveva sentito tutta la sconfitta umana. Uscì sul balcone, accese una sigaretta e fumò, osservando il fumo che si disperdeva nell'aria umida di Roma. L'odore del tabacco lo riportò alla realtà, lo costrinse a guardare in faccia le sue ossessioni. Era sempre quel ragazzo che non aveva mai saputo amare, costretto a vagare senza meta in un labirinto che aveva costruito con le sue mani.
Tornò in camera. Si aspettava di trovare Luisa in lacrime, in preda alla disperazione. Ma la scena che trovò lo lasciò senza parole. Luisa non era a terra, ma a metà letto, le gambe oscenamente divaricate, i piedi poggiati a terra. Non piangeva, non si disperava. Si masturbava forte, con tre dita nella vagina, gli occhi chiusi, un'espressione di estasi e disperazione dipinta sul viso. Claudio non capiva. La sua mente, un attimo prima un campo di battaglia, si svuotò. Non c'era più nulla da fare, nulla da nascondere, nulla da combattere. Il suo piano era fallito: la sua vendetta, invece di distruggere, aveva creato un mostro. E quel mostro, lo capì in un attimo, non era Luisa, ma lui. Claudio non riuscì a distogliere lo sguardo. Si aspettava una reazione di dolore, di rabbia, forse di un crollo isterico. Invece, aveva davanti a sé l'immagine più cruda e inaspettata di un'assoluta liberazione. Luisa non era una vittima, non più. Le lacrime che le solcavano il viso non erano di tristezza, ma di un piacere che era nato dall'umiliazione.
Claudio si sentì un'ombra impotente in quella stanza. La sua vittoria, la sua vendetta, invece di distruggere, aveva risvegliato qualcosa di primordiale in Luisa. Quel piacere, che Claudio non aveva mai provato in quel modo, la stava consumando. I suoi gemiti non erano di dolore, ma di un godimento estremo, un'estasi che la faceva tremare.
Claudio si sentì un intruso. Il suo piano stava deviando in orizzonti non calcolati. Aveva voluto infliggere un colpo mortale a Giorgio, ma aveva solo scalfito una superficie. Nessun messaggio da Giorgio. Ma non era più il collega di Cecilia che Claudio doveva guardare. Non ora. I suoi occhi erano fissi su Luisa, che continuava a masturbarsi forte, con le dita nella fica, gli occhi spalancati fissi verso il soffitto. I suoi gemiti, che prima erano un misto di terrore e piacere, ora erano solo desiderio osceno e animale. L'aveva scatenata, le aveva dato il permesso di essere ciò che non era mai stata. Lui era il suo carnefice, ma anche il suo salvatore. Luisa si bloccò per un attimo, aprì gli occhi e lo guardò, il sudore che le imperlava il viso. La vagina spalancata che si contraeva ancora in spasmi incontrollabili. "Riempi... riempimi... di più," urlò, la sua voce rotta dal desiderio. "Ancora...!". Quello che Luisa gli stava offrendo non era un crollo, ma una resa, un'implorazione. E Claudio, il campione dei pesi massimi dell'autodistruzione, sapeva che il potere più grande non è nel distruggere, ma nel dominare.
Si avvicinò al letto. Le parole di Luisa, "riempimi... di più... ancora!", gli risuonavano nella mente come un inno alla sua vittoria. Non si abbassò a toccarla, ma si limitò a osservarla, i suoi occhi fissi sul corpo che tremava al ritmo serrato di orgasmi ripetuti. Era uno spettacolo osceno, ma per lui era arte. Era la prova che la sua vendetta, in fondo, aveva funzionato. Aveva colpito Giorgio nel suo punto più debole, non distruggendo Luisa, ma liberandola in un mondo che lui non avrebbe più potuto controllare.
Luisa con una espressione meravigliosa di sottomissione totale sussurrò: “Ti prego, ho bisogno di te". Claudio sorrise, un sorriso senza gioia, ma pieno di un potere inaspettato. Non era un predatore, non più. Era un Dio. E Luisa, in quel momento, era la sua devota. Le parole di Luisa, "riempimi... di più... ancora!", gli risuonavano nella mente come un tamburo antico. Claudio si inginocchiò lentamente di fronte a lei. Poggiò il suo membro sulla vulva di Luisa, ora non più rosa ma rossa e gonfia per il piacere selvaggio che l'aveva travolta. Non la penetrò ancora, ma strusciò piano tra le labbra della vagina, sentendo il calore umido e la contrazione dei suoi muscoli. Luisa sussultò, un lamento basso e profondo le uscì dalla gola. La sua mano si tese verso il suo sesso, ma lui si scansò, il suo volto impassibile. La stava torturando. La stava costringendo a implorare. E più lei implorava, più lui sentiva che il suo potere era assoluto.
"Ti prego," sussurrò Luisa, "ho bisogno di te. Impal-impal-impalami...". Claudio continuò a strusciare il suo membro contro la sua vagina. Luisa tremava, il suo corpo scosso da spasmi incontrollabili. Non era un atto d'amore, non era un atto di sesso. Era un atto di potere. E Claudio, lo capì in quel momento, era finalmente libero. Libero dal suo passato, libero dalla sua rabbia, libero dalla sua stessa autodistruzione. E in quella libertà aveva trovato un nuovo, inaspettato, senso di pace.
Luisa, al culmine della sua disperazione e del suo desiderio, iniziò a implorare di essere “sfondata”. “Chiavata”. “Fottuta”. Il suono della sua voce era musica per le orecchie di Claudio. Lui la guardò negli occhi, i suoi fissi su di lei, un'espressione di potere e di dominio dipinta sul suo volto. Lei era un'altra vittima, un altro trofeo, un'altra prova della sua vittoria. E in quel momento, Claudio lo capì. Non aveva più bisogno di Giorgio, non aveva più bisogno di Cecilia. Aveva trovato la sua verità. E quella verità era il potere.
Claudio, con un movimento secco, iniziò a stantuffare forte. Il suo corpo spingeva in quello di Luisa con una brutalità priva di pietà e dolcezza. Lei gemette, un suono che era metà terrore e metà sorpresa, ma il terrore si fuse subito in un brivido scuro e sensuale. A un certo punto Claudio spinse con tutta la forza il membro all’interno della vagina di Luisa e tendendo i suoi reni in posizione concava si immobilizzò colmandola in ogni millimetro. Rimasero sospesi in un non tempo e in un non luogo. Lei per la prima volta sentì di appartenersi completamente con una sensazione di completezza che non aveva mai percepito. Lui per la prima volta la guardò profondamente negli occhi. I loro sguardi si fusero più di quanto stessero facendo con i corpi. Attraverso la cappella gonfia e stretta nella figa di lei, Claudio percepiva il battito cardiaco di Claudia. Inizio a muoversi lentamente assecondando il suo pulsare. Luisa spostò le sue mani, con le dita affusolate e le unghie curate corte e laccate color perla, sui glutei di Claudio affondando nella carne di lui, Claudio percepì che Luisa era completamente in suo possesso. Stava chiavando il suo corpo e stava fottendo il suo cervello. Ricominciò a possederla con una furia precisa e chirurgica. Voleva farle raggiungere un piacere assoluto. In quell'istante, il cellulare di Claudio iniziò a squillare. Era Cecilia. Il nome apparve sullo schermo, una luce fredda che squarciava l’intimità nella stanza. Claudio non rispose. Continuò a pompare, i suoi movimenti sempre più violenti, la sua mente ossessionata solo dal ritmo del suo corpo. Luisa, dilatata in maniera innaturale era ancor più affogata in un delirio potentissimo di orgasmi continui: urlava e tremava senza soluzione di continuità; il suo corpo scosso da spasmi incontrollabili. Le sue grida si mescolavano ai colpi profondi di Claudio, un suono primordiale che riempiva la stanza. Lei schizzava umori dappertutto e l'odore si fondeva con quello del sudore, un'essenza di un piacere selvaggio e totale.
Il telefono di Claudio continuava a squillare. Lui, senza smettere di spingere tutto il cazzo dentro il corpo profanato di Luisa, afferrò il cellulare dall’angolo del materasso. Aprì la conversazione, ma non parlò. Sentì la voce sottile di Cecilia, un sussurro spezzato dal dolore. "Claudio... basta, fermati..." Lui tacque. Con la mano, aprì il microfono del vivavoce, lo mise vicino al corpo di Luisa e continuò a scoparla come un Dio. Luisa, senza controllo, continuava a urlare e a chiedere a Claudio sempre più cazzo, le sue parole un lamento di sottomissione e di desiderio.
Claudio si tese, i suoi sensi che si fondevano in una sinfonia di suoni e sensazioni. Da una parte, il corpo di Luisa, i suoi gemiti, le sue urla, il suo piacere. Dall'altra, i singhiozzi di Cecilia, un suono che gli squarciava il cuore. Luisa, al culmine dell'orgasmo, urlò il suo nome. "Padrone... Padrone... Claudio, mio salvatore… ti amo...”. Il clic dal telefono fu un suono assordante. Cecilia aveva riattaccato. Il suo silenzio era l'unica risposta che Claudio avesse mai desiderato, l'unica prova della sua vittoria. E in quel momento, Claudio lo capì. Non aveva più bisogno di Giorgio, non aveva più bisogno di Cecilia. Aveva trovato la sua verità. E quella verità era il potere. Il potere di prendere una ragazza sognatrice e romantica e farla diventare una troia dipendente dal suo cazzo. Luisa riprese il centro della scena con una preghiera: “Schizzami dentro. Riempimi del tuo succo. Fammi essere la tua troia per sempre”. Claudio non eseguiva. Comandava. Si alzò, le infilò il membro in bocca. Le labbra di Luisa, avide e arrossate si strinsero intorno al glande di Claudio che la dissetò con un getto infinito e caldo che le arrivò in gola per poi sgorgare dal lato sinistro della bocca e poi sul collo sopra il seno. Lei chiuse gli occhi. Lui la baciò assaporando il suo sperma che aveva un sapore inedito crudo e acerbo.
L’attesa, prima della deflagrazione finale, fu rotta da un suono reale che arrivava dall'interno dell'appartamento. Il telefono di Luisa squillò, una, due, tre volte. Claudio sentì il suo respiro farsi affannoso. Poi, la voce di Luisa, un sussurro spezzato. "Giorgio...". Le due sillabe, pronunciate con terrore e stupore, furono un'eco maligna nel silenzio dell'appartamento. Poi un urlo, un grido acuto e disperato, e il tonfo sordo del telefono che si schiantava contro il muro.
Claudio si sentì pieno di adrenalina. Il suo piano, la sua vendetta, non era stata un trionfo, ma un'ulteriore umiliazione arrecata. Non aveva distrutto solo Giorgio, ma anche Luisa, e in quel grido aveva sentito tutta la sconfitta umana. Uscì sul balcone, accese una sigaretta e fumò, osservando il fumo che si disperdeva nell'aria umida di Roma. L'odore del tabacco lo riportò alla realtà, lo costrinse a guardare in faccia le sue ossessioni. Era sempre quel ragazzo che non aveva mai saputo amare, costretto a vagare senza meta in un labirinto che aveva costruito con le sue mani.
Tornò in camera. Si aspettava di trovare Luisa in lacrime, in preda alla disperazione. Ma la scena che trovò lo lasciò senza parole. Luisa non era a terra, ma a metà letto, le gambe oscenamente divaricate, i piedi poggiati a terra. Non piangeva, non si disperava. Si masturbava forte, con tre dita nella vagina, gli occhi chiusi, un'espressione di estasi e disperazione dipinta sul viso. Claudio non capiva. La sua mente, un attimo prima un campo di battaglia, si svuotò. Non c'era più nulla da fare, nulla da nascondere, nulla da combattere. Il suo piano era fallito: la sua vendetta, invece di distruggere, aveva creato un mostro. E quel mostro, lo capì in un attimo, non era Luisa, ma lui. Claudio non riuscì a distogliere lo sguardo. Si aspettava una reazione di dolore, di rabbia, forse di un crollo isterico. Invece, aveva davanti a sé l'immagine più cruda e inaspettata di un'assoluta liberazione. Luisa non era una vittima, non più. Le lacrime che le solcavano il viso non erano di tristezza, ma di un piacere che era nato dall'umiliazione.
Claudio si sentì un'ombra impotente in quella stanza. La sua vittoria, la sua vendetta, invece di distruggere, aveva risvegliato qualcosa di primordiale in Luisa. Quel piacere, che Claudio non aveva mai provato in quel modo, la stava consumando. I suoi gemiti non erano di dolore, ma di un godimento estremo, un'estasi che la faceva tremare.
Claudio si sentì un intruso. Il suo piano stava deviando in orizzonti non calcolati. Aveva voluto infliggere un colpo mortale a Giorgio, ma aveva solo scalfito una superficie. Nessun messaggio da Giorgio. Ma non era più il collega di Cecilia che Claudio doveva guardare. Non ora. I suoi occhi erano fissi su Luisa, che continuava a masturbarsi forte, con le dita nella fica, gli occhi spalancati fissi verso il soffitto. I suoi gemiti, che prima erano un misto di terrore e piacere, ora erano solo desiderio osceno e animale. L'aveva scatenata, le aveva dato il permesso di essere ciò che non era mai stata. Lui era il suo carnefice, ma anche il suo salvatore. Luisa si bloccò per un attimo, aprì gli occhi e lo guardò, il sudore che le imperlava il viso. La vagina spalancata che si contraeva ancora in spasmi incontrollabili. "Riempi... riempimi... di più," urlò, la sua voce rotta dal desiderio. "Ancora...!". Quello che Luisa gli stava offrendo non era un crollo, ma una resa, un'implorazione. E Claudio, il campione dei pesi massimi dell'autodistruzione, sapeva che il potere più grande non è nel distruggere, ma nel dominare.
Si avvicinò al letto. Le parole di Luisa, "riempimi... di più... ancora!", gli risuonavano nella mente come un inno alla sua vittoria. Non si abbassò a toccarla, ma si limitò a osservarla, i suoi occhi fissi sul corpo che tremava al ritmo serrato di orgasmi ripetuti. Era uno spettacolo osceno, ma per lui era arte. Era la prova che la sua vendetta, in fondo, aveva funzionato. Aveva colpito Giorgio nel suo punto più debole, non distruggendo Luisa, ma liberandola in un mondo che lui non avrebbe più potuto controllare.
Luisa con una espressione meravigliosa di sottomissione totale sussurrò: “Ti prego, ho bisogno di te". Claudio sorrise, un sorriso senza gioia, ma pieno di un potere inaspettato. Non era un predatore, non più. Era un Dio. E Luisa, in quel momento, era la sua devota. Le parole di Luisa, "riempimi... di più... ancora!", gli risuonavano nella mente come un tamburo antico. Claudio si inginocchiò lentamente di fronte a lei. Poggiò il suo membro sulla vulva di Luisa, ora non più rosa ma rossa e gonfia per il piacere selvaggio che l'aveva travolta. Non la penetrò ancora, ma strusciò piano tra le labbra della vagina, sentendo il calore umido e la contrazione dei suoi muscoli. Luisa sussultò, un lamento basso e profondo le uscì dalla gola. La sua mano si tese verso il suo sesso, ma lui si scansò, il suo volto impassibile. La stava torturando. La stava costringendo a implorare. E più lei implorava, più lui sentiva che il suo potere era assoluto.
"Ti prego," sussurrò Luisa, "ho bisogno di te. Impal-impal-impalami...". Claudio continuò a strusciare il suo membro contro la sua vagina. Luisa tremava, il suo corpo scosso da spasmi incontrollabili. Non era un atto d'amore, non era un atto di sesso. Era un atto di potere. E Claudio, lo capì in quel momento, era finalmente libero. Libero dal suo passato, libero dalla sua rabbia, libero dalla sua stessa autodistruzione. E in quella libertà aveva trovato un nuovo, inaspettato, senso di pace.
Luisa, al culmine della sua disperazione e del suo desiderio, iniziò a implorare di essere “sfondata”. “Chiavata”. “Fottuta”. Il suono della sua voce era musica per le orecchie di Claudio. Lui la guardò negli occhi, i suoi fissi su di lei, un'espressione di potere e di dominio dipinta sul suo volto. Lei era un'altra vittima, un altro trofeo, un'altra prova della sua vittoria. E in quel momento, Claudio lo capì. Non aveva più bisogno di Giorgio, non aveva più bisogno di Cecilia. Aveva trovato la sua verità. E quella verità era il potere.
Claudio, con un movimento secco, iniziò a stantuffare forte. Il suo corpo spingeva in quello di Luisa con una brutalità priva di pietà e dolcezza. Lei gemette, un suono che era metà terrore e metà sorpresa, ma il terrore si fuse subito in un brivido scuro e sensuale. A un certo punto Claudio spinse con tutta la forza il membro all’interno della vagina di Luisa e tendendo i suoi reni in posizione concava si immobilizzò colmandola in ogni millimetro. Rimasero sospesi in un non tempo e in un non luogo. Lei per la prima volta sentì di appartenersi completamente con una sensazione di completezza che non aveva mai percepito. Lui per la prima volta la guardò profondamente negli occhi. I loro sguardi si fusero più di quanto stessero facendo con i corpi. Attraverso la cappella gonfia e stretta nella figa di lei, Claudio percepiva il battito cardiaco di Claudia. Inizio a muoversi lentamente assecondando il suo pulsare. Luisa spostò le sue mani, con le dita affusolate e le unghie curate corte e laccate color perla, sui glutei di Claudio affondando nella carne di lui, Claudio percepì che Luisa era completamente in suo possesso. Stava chiavando il suo corpo e stava fottendo il suo cervello. Ricominciò a possederla con una furia precisa e chirurgica. Voleva farle raggiungere un piacere assoluto. In quell'istante, il cellulare di Claudio iniziò a squillare. Era Cecilia. Il nome apparve sullo schermo, una luce fredda che squarciava l’intimità nella stanza. Claudio non rispose. Continuò a pompare, i suoi movimenti sempre più violenti, la sua mente ossessionata solo dal ritmo del suo corpo. Luisa, dilatata in maniera innaturale era ancor più affogata in un delirio potentissimo di orgasmi continui: urlava e tremava senza soluzione di continuità; il suo corpo scosso da spasmi incontrollabili. Le sue grida si mescolavano ai colpi profondi di Claudio, un suono primordiale che riempiva la stanza. Lei schizzava umori dappertutto e l'odore si fondeva con quello del sudore, un'essenza di un piacere selvaggio e totale.
Il telefono di Claudio continuava a squillare. Lui, senza smettere di spingere tutto il cazzo dentro il corpo profanato di Luisa, afferrò il cellulare dall’angolo del materasso. Aprì la conversazione, ma non parlò. Sentì la voce sottile di Cecilia, un sussurro spezzato dal dolore. "Claudio... basta, fermati..." Lui tacque. Con la mano, aprì il microfono del vivavoce, lo mise vicino al corpo di Luisa e continuò a scoparla come un Dio. Luisa, senza controllo, continuava a urlare e a chiedere a Claudio sempre più cazzo, le sue parole un lamento di sottomissione e di desiderio.
Claudio si tese, i suoi sensi che si fondevano in una sinfonia di suoni e sensazioni. Da una parte, il corpo di Luisa, i suoi gemiti, le sue urla, il suo piacere. Dall'altra, i singhiozzi di Cecilia, un suono che gli squarciava il cuore. Luisa, al culmine dell'orgasmo, urlò il suo nome. "Padrone... Padrone... Claudio, mio salvatore… ti amo...”. Il clic dal telefono fu un suono assordante. Cecilia aveva riattaccato. Il suo silenzio era l'unica risposta che Claudio avesse mai desiderato, l'unica prova della sua vittoria. E in quel momento, Claudio lo capì. Non aveva più bisogno di Giorgio, non aveva più bisogno di Cecilia. Aveva trovato la sua verità. E quella verità era il potere. Il potere di prendere una ragazza sognatrice e romantica e farla diventare una troia dipendente dal suo cazzo. Luisa riprese il centro della scena con una preghiera: “Schizzami dentro. Riempimi del tuo succo. Fammi essere la tua troia per sempre”. Claudio non eseguiva. Comandava. Si alzò, le infilò il membro in bocca. Le labbra di Luisa, avide e arrossate si strinsero intorno al glande di Claudio che la dissetò con un getto infinito e caldo che le arrivò in gola per poi sgorgare dal lato sinistro della bocca e poi sul collo sopra il seno. Lei chiuse gli occhi. Lui la baciò assaporando il suo sperma che aveva un sapore inedito crudo e acerbo.
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