Claudio, Cecilia e Luisa

di
genere
trio

Claudio si alzò, le labbra di Luisa ancora umide del suo seme, il sapore crudo e acerbo che gli restava in bocca come una firma. La baciò, non per affetto, ma per suggellare l'atto, per incorporare la sua stessa vittoria. Lei aveva chiuso gli occhi, esausta, il corpo tremante come una corda di violino appena percossa, la vulva rossa e dilatata, ora solo un ricordo della furia che l'aveva travolta. Lui si staccò. Non c'era soddisfazione emotiva, solo la fredda consapevolezza di aver eseguito un lavoro con precisione chirurgica. Aveva distrutto il fantasma di Cecilia, non con l'odio, ma con l'indifferenza brutale del dominio. L'aveva costretta ad ascoltare la sua irrilevanza. Il clic che aveva chiuso la telefonata non era la fine di un amore, ma la fine di un gioco in cui lui era stato una pedina. Ora, lui era il giocatore. Luisa si sollevò a fatica, il suo corpo che cadeva in avanti. Claudio la prese e la mise a sedere sul bordo del letto. I suoi occhi, prima vitrei per il delirio, ora mostravano una debolezza spaventosa, mista a un'adorazione totalizzante.
"Padrone”, sussurrò, cercando la sua mano. La sua voce era bassa, priva di quel tono sognante e misurato che aveva prima di incontrarlo. "Non andartene. Ti prego. Non lasciarmi in questo modo. Ti amo. Ho bisogno di te. Sono la tua troia". Poi si lasciò cadere sul letto e si mise in posizione fetale. Claudio le sfiorò il viso con il dorso della mano. Non provava attrazione per lei, ma una profonda, quasi scientifica, curiosità per la sua completa resa. Luisa era diventata la prova vivente della sua teoria: chi sa distruggere sé stesso, può distruggere chiunque altro, semplicemente offrendo loro un piacere che li rende schiavi. Il suo sguardo si posò sul telefono a terra che non mostrava segni di vita elettrica. Controllò il suo telefono: Giorgio era ancora in silenzio. Ma ora, Claudio sapeva che quel silenzio non era un'arma. Era la morte. Giorgio non si era arreso. Giorgio aveva solo perso la sua ultima pedina, e aveva capito che il suo avversario non giocava più a scacchi, ma a un gioco molto più vecchio e crudele. Claudio, ignorando il messaggio con la foto, inviò un altro SMS a Giorgio. Breve, essenziale. "Grazie per la presentazione. È stato un debutto indimenticabile. Tua sorella è deliziosa. Spero che tu stia bene".
Odorava di sesso. Ma non aveva voglia di eliminare le tracce della chiavata con Luisa. Non ancora. Prese abiti freschi di lavanderia e si vestì con calma, come se nulla fosse accaduto. Si voltò che si era addormentata di un sonno innaturale. La coprì con un plaid. Poi andò nello studio. Prese un foglio e scrisse: "Tirati la porta alle spalle quando esci. Non cercarmi. Se lo farai, non sarò più il tuo salvatore. Sarò il tuo giudice". Uscì dall'appartamento. Non c'era più fretta, né paura. Non era fuggito da Cecilia, né da Giorgio. Era fuggito da se stesso ed ora aveva un appuntamento con gente realmente pericolosa. Non con Giorgio, Cecilia e la donna del vicolo. Doveva chiudere un affare con i russi. Prese un taxi. Direzione Civitavecchia. Porto, darsena commerciale.
La notte trascorse veloce su un mercantile battente bandiera messicana. Alle prime luci del giorno scese molto più leggero di prima. C’era una macchina nera ad attenderlo. Salì e, accomodandosi sul sedile di dietro, recuperò i pensieri del giorno prima: Cecilia, Luisa. Si fece lasciare all’Eur. Aveva un’ultima faccenda da sbrigare. Un deposito e due firme. Tornò all’aperto e si incamminò fino a Piramide. Da lì un taxi per casa.
La mattinata a Civitavecchia con i russi - un affare freddo, veloce, che gli aveva fruttato molto più di quanto Giorgio o Cecilia potessero mai valere - lo aveva svuotato dell'adrenalina residua, lasciandolo con una lucidità tagliente. Era tornato il giocatore, e la sua casa era di nuovo il suo covo. Salì le scale, la mano sulla ringhiera in ferro battuto. L'odore di sesso, che non si era preoccupato di eliminare, era ancora nell'aria, una firma invisibile della notte. Arrivò al piano, aprì la porta, e il silenzio che si aspettava fu brutalmente interrotto. Sentì delle voci concitate provenire dalla cucina: un miscuglio di toni alti e singhiozzi repressi. Luisa e la sua ragazza, Carla, stavano litigando. Claudio posò le chiavi sulla mensola con un gesto lento e deliberato. Il suono non fu forte, ma bastò a far calare il silenzio in cucina. Si avviò, il volto impassibile, e le trovò: Luisa seduta a tavola, i capelli arruffati e gli occhi gonfi, e Carla in piedi di fronte a lei, una donna magra, pallida di rabbia, mascolina con i tratti marcati evidenziati da un taglio dei capelli corto e ispido, che stringeva il telefono rotto di Luisa in mano. Appena Carla lo vide, la rabbia che aveva in corpo esplose in una furia cieca. Si avventò su Claudio con la mano alzata. Claudio non si scompose. Mosse solo un passo indietro, bloccandola con un avambraccio sul petto prima che lei potesse colpirlo. Il suo tocco non fu violento, ma assoluto, sufficiente a fermarla e a ricordarle la differenza di peso e di controllo. "Ferma," disse Claudio, la sua voce calma e piatta, più pericolosa di un grido. Rilasciò Carla quel tanto che bastava per non farla cadere, ma tenendola a distanza. I suoi occhi si rivolsero prima a Carla, poi a Luisa, senza alcuna emozione. "Tu", si rivolse a Carla, mantenendo il braccio in una barriera invisibile. "Chi sei e cosa vuoi nella mia casa?". Non era una domanda, era un'ingiunzione a identificarsi. Poi, senza attendere risposta, si voltò verso Luisa, che lo fissava con una paura mista a una gioia quasi folle, l'adorazione non spenta dalla situazione. La sua voce si fece di ghiaccio, scandendo ogni parola. "E tu", indicando il tavolo dove era visibile il foglio con il suo messaggio, "perché sei ancora qui? E, cosa fondamentale, perché non sei sola?". Lui aveva impartito un ordine assoluto: Non cercarmi. Tirati la porta alle spalle. La presenza di Luisa non era solo una disobbedienza; era una negazione totale della sua nuova, perfetta strategia di dominio. La sua vendetta non era su Giorgio, o su Carla. Era sulla disobbedienza. E questo non poteva permetterlo. Carla si liberò dal braccio di Claudio con uno strattone rabbioso e, ansimando, si versò un bicchiere d'acqua rovesciandone metà sul tavolo. L'altra metà la bevve in un sorso, gli occhi che gli lanciavano fulmini. Fu Luisa a parlare, la voce spezzata non più dal desiderio, ma da una paura palpabile. Si rannicchiò sulla sedia. "Ho paura, Padrone. Quando Giorgio ha chiamato, non urlava per la foto... urlava per quello che gli ho detto io dopo. E non oso uscire. Ho paura che mi uccida". Carla sbatté il bicchiere sul tavolo. "Uccidere? Ma di cosa stai parlando? Sei ridicola, Luisa! Mi hai svegliato alle sei chiamandomi da un numero sconosciuto e mi hai detto che eri in pericolo in questa... in questa tana di un predatore, e ora dici che hai paura di tuo fratello? Ha visto una foto, ti avrà urlato contro, fine della storia! Adesso vestiti e andiamo. Subito!". Claudio, che aveva osservato la scena con la freddezza di un entomologo, si rivolse a Carla. Il suo tono era misurato, ma il contenuto era un rimprovero velato. "Non ti è stato chiesto di esprimere opinioni in casa mia. E non ti è stato chiesto di alzare la voce". Fece un passo verso di lei, e Carla, pur ribollendo, fece inconsciamente un passo indietro. "Bevi la tua acqua e aspetta. O esci. Ma in silenzio". Poi si voltò verso Luisa. Lei lo guardava, l'adorazione ancora presente, ma mescolata a un terrore genuino. "Ha paura che la uccida," ripeté Claudio, le labbra che si incurvavano in un sorriso lento. Non era un sorriso di gioia, né di divertimento, ma di pura, gelida ironia. Scosse la testa e rise. Era una risata secca, breve, che non raggiungeva gli occhi. "L'illuso padrone del gioco... Giorgio che uccide. Luisa, tesoro caro, Giorgio non uccide nessuno. Giorgio è un esteta. Distrugge in modo pulito. Mette in scena la disperazione, non il sangue. È abituato a giocare con i sentimenti, non con i cadaveri". Si appoggiò al bordo del tavolo, avvicinandosi a Luisa, il suo sguardo ora intenso e predatorio. "Il tuo problema, Luisa, non è che lui ti uccida. Il tuo problema è che tu vuoi che lui ti uccida, perché la sua rabbia sarebbe una prova che tu, e quello che hai fatto, contano qualcosa. Ma a Giorgio non importa più. Non più, ora che ho interrotto la sua preziosa messa in scena". Fece scorrere lo sguardo su Carla, poi di nuovo su Luisa, che ora tremava non più di piacere, ma per le sue parole. "Tu non hai paura di morire. Tu hai paura di tornare a vivere in un mondo dove la tua trasgressione è stata solo un inconveniente. Il foglio è lì. L'ordine è lo stesso. Se hai finito di esibirti, esci. Entrambe. Adesso". L'aria nella cucina si era fatta di cera, pesante per la rabbia repressa di Carla e la gelida autorità di Claudio. Fu in quel momento di tensione immobile che il rumore ruppe ogni equilibrio: lo squillo insistente e stridulo del citofono. Non era un suono discreto; era un assalto, un allarme che pretendeva risposta immediata. Prima che Claudio potesse muovere un muscolo o impartire un nuovo ordine, Luisa ebbe uno scatto felino e improvviso. La paura di Giorgio si era momentaneamente spenta, sostituita da una nuova, febbrile urgenza. Si lanciò verso la cornetta del citofono, la afferrò e premette il pulsante di risposta. "Sì?" ansimò, la voce ancora roca e vibrante per le ore di delirio sessuale. Dall'altoparlante grattò una voce che Claudio riconobbe all'istante, sottile, tesa, ma carica di una determinazione inaspettata. Era Cecilia. "Sono qui sotto," disse Cecilia, ignorando l'interlocutore. La sua voce non era rotta dai singhiozzi di prima; era affilata come un rasoio. "E non me ne vado finché non parlo con Claudio. Fammi salire, subito". Claudio rimase immobile, le mani appoggiate al tavolo. La sua vittoria di poche ore prima – la telefonata interrotta, il silenzio di Giorgio, la sottomissione di Luisa – si sgretolò in un istante. Cecilia non si era arresa. Aveva avuto bisogno di qualche ora per processare il trauma, e ora era lì, non per piangere, ma per rivendicare il suo ruolo nel gioco. Non era più in Turchia. Non era con Giorgio. Luisa si voltò verso Claudio, il suo viso pallido, gli occhi che chiedevano permesso. La sua mano era ancora sulla cornetta, sospesa tra l'obbedienza all'ordine ricevuto e la sua nuova, cieca devozione al suo padrone. Carla, vedendo la svolta, si animò di nuovo, percependo un'alleata inaspettata nel caos. Si avvicinò a Luisa, sussurrandole con ferocia: "Non aprirle! Dille che è uno sbaglio!". Claudio, tuttavia, li ignorò entrambi. La sua attenzione era tutta per la voce nell'interfono. Capì immediatamente. Questa non era una vittima. Era la sua vera sfidante, l'unica persona che poteva comprendere la natura del suo potere e, forse, neutralizzarla. Fece un passo lento verso Luisa. Le prese la cornetta dalla mano e la appese con un clack secco. Si rivolse a Luisa, gli occhi che bruciavano di un'autorità rinnovata. "Tu ora vai in camera. Ti vesti. Ti lavi la faccia. E aspetti". Non ammetteva repliche. Poi si avvicinò alla porta e premette il pulsante di apertura del portone con il dito. L'aveva invitata ad entrare. Si voltò verso Carla, l'espressione di un uomo che stava per godersi una partita attesa da tempo. "Tu," le disse, con un sorriso gelido. "Sei la benvenuta. Avrai il posto in prima fila per lo spettacolo che non ti saresti mai aspettata". Luisa, in uno stato di sottomissione estatica, si ritirò in camera da letto. Carla rimase inchiodata, il suo volto un misto di rabbia impotente e curiosità morbosa. Pochi istanti dopo, la porta si aprì e Cecilia entrò. I suoi occhi asciutti e taglienti incontrarono quelli di Claudio. Non c'era bisogno di parole; ogni accusa, ogni spiegazione, era superflua. L'odore acre del sesso nell'aria e la presenza di Carla bastavano a narrare l'intera storia. Cecilia non era venuta per piangere; era venuta per riprendersi il campo di battaglia. I due si mossero l'uno verso l'altra. Non si toccarono subito, ma la tensione fra i loro corpi era così densa da sembrare una scarica elettrica. Claudio non le permise di parlare. La prese, non con tenerezza, ma con la forza di chi deve disarmare un avversario. La spinse verso il tavolino del soggiorno, quello stesso tavolino dove giacevano i libri e dove la resa di Luisa si era consumata poche ore prima. Claudio rovesciò i libri con un fracasso secco. Senza dire una parola, Cecilia rispose alla sua aggressione con una furia pari. Le sue mani strapparono la camicia di Claudio, i bottoni che schizzavano via come proiettili. I loro vestiti caddero velocemente, stracciati in un impeto che non lasciava spazio alla dolcezza. La bocca di Claudio si scontrò con la sua, un bacio non famelico, ma violento e possessivo, un tentativo reciproco di inghiottire l'anima dell'altro. Lui la sollevò e la fece sedere sul piano di legno, le sue cosce fredde a contatto con la superficie. Cecilia rispose avvinghiandogli le gambe alla vita. Claudio strappò il perizoma viola di Cecilia e la penetrò con un colpo secco e profondo, un gesto di rivendicazione brutale. Il tavolino cigolò sotto l'impatto dei loro corpi. Lui non cercava il piacere, ma il controllo. Si muoveva con una violenza ritmica, i suoi colpi duri e implacabili, spingendola contro il legno freddo. Cecilia non emetteva i gemiti sottomessi di Luisa; i suoi erano ansimi rabbiosi, morsi strozzati sulla spalla di lui, suoni di lotta, non di resa. I loro sguardi rimasero fissi, come in una sfida senza quartiere. Era un duello, dove il sesso era l'unica arma rimasta, e ogni spinta era una rivendicazione: io non sono la tua vittima. Claudio affondava in lei con tutto il suo peso. Il ritmo si fece frenetico, una furia cieca che ignorava ogni confine di intimità o tenerezza. Lui premeva il suo corpo contro quello di Cecilia, inondando ogni millimetro di spazio tra loro. Le mani di lei si affondarono nei suoi capelli, tirando con forza non per desiderio, ma per forzarlo a guardarla. Nel mezzo della furia, Claudio si chinò e le sussurrò all'orecchio, le parole più taglienti della sua vittoria. "Adesso," ansimò Claudio, il suo respiro caldo contro la sua pelle, "sai cosa ho fatto. E adesso, sai che non cambierà nulla". Cecilia rispose serrando i denti, il suo sguardo un misto di trionfo e rassegnazione. "L'unica cosa che so, Claudio," rispose con una voce appena udibile, "è che sei tornato a casa. Che sono tornata a casa". Mentre i loro corpi si muovevano in un crescendo di rabbia e sesso, Carla rimaneva nell'angolo della cucina, paralizzata. L'aria era satura di odore, sudore e un'aggressività così palpabile da farle tremare la vista. L'atto tra Claudio e Cecilia non era seducente; era distruttivo, un'affermazione di un legame tossico e indissolubile, e Carla capì che in confronto, la furia estatica di Luisa era stata solo un'innocua deviazione. Claudio era al culmine, spingendosi nella figa di Cecilia con una ferocia rabbiosa, i loro corpi che sbattevano ritmicamente contro il tavolino cigolante. I gemiti di Cecilia erano aspri, di lotta, ogni suono un atto di sfida. Fu in quel momento di furia cieca che Claudio sentì qualcosa di strano. Il gemito di Cecilia cambiò. Non era più solo rabbia o dolore forzato; c'era una nota nuova, un sussurro strozzato che suonava come una sorpresa inebriante. I suoi fianchi, che prima rispondevano con resistenza, si rilassarono in un modo che Claudio non aveva provocato. Lui la guardò negli occhi, confuso. Lo sguardo di Cecilia era fisso oltre la sua spalla. I suoi occhi si spalancarono in una fusione di shock e piacere che lo lasciò interdetto. Claudio non fece in tempo a voltarsi. Fu un tocco. Un calore improvviso, umido e avvolgente, che risalì le sue cosce tese. Luisa era tornata. Silenziosa, non vista, si era vestita a metà. Era strisciata fuori dalla camera da letto e, con la sottomissione assoluta di chi ha trovato la sua vera vocazione, si era inginocchiata ai piedi del tavolino. Mentre Claudio penetrava Cecilia, Luisa aveva affondato il viso tra le sue cosce. Il calore che Claudio sentì era il fiato di Luisa, e il brivido che gli corse lungo la schiena fu la sensazione della lingua calda di lei che gli avvolgeva le palle. Non era un'azione goffa; era un culto. Cecilia, sotto di lui, stava gemendo ora di un piacere che era sia suo che... riflesso. La mano di Luisa non era ferma sul sesso di Claudio; l'altra mano, con le unghie laccate color perla, si era mossa con precisione chirurgica e si era posata sull'ano di Cecilia, ancora completamente esposta.
Luisa non stava solo leccando Claudio, stava deflorando la cavità di Cecilia con un tocco delicato ma determinato. Era entrata con un dito e l'unghia laccata color perla fino in fondo. La sinfonia del sesso divenne un trio perverso. Claudio si sentì intrappolato, non tra due donne, ma tra due forze della natura che stavano annullando il suo controllo. La rabbia feroce che lo guidava fu spazzata via da un'ondata di piacere che non aveva previsto: la sottomissione di Luisa amplificava la sua performance, e la risposta inattesa di Cecilia rendeva il tutto un atto di totale possessione. Claudio non era più il Padrone che comandava. Era la fonte, il punto focale di un'energia sessuale scatenata e triangolata. I suoi occhi si chiusero, il corpo teso in un piacere brutale, quasi doloroso. "Basta," ansimò Cecilia in preda al piacere assoluto, la sua voce rotta in un gemito acuto. Ma le sue unghie si conficcarono nelle spalle di Claudio, non per fermarlo, ma per spingerlo più forte. Carla, nell'angolo della cucina, portò una mano alla bocca. Il suo disgusto iniziale si era fuso in una paralizzante, oscura estasi. Lei non era una spettatrice; era una testimone involontaria di un rito che aveva superato ogni morale e ogni controllo. Claudio raggiunse il culmine con un ruggito strozzato, un'esplosione che lo fece ricadere pesantemente su Cecilia. Luisa, avida, accolse il suo seme e continuò a leccare. Cecilia, esausta. Quando Claudio riaprì gli occhi, i loro sguardi si incrociarono. C'era un'unica, inequivocabile verità nella stanza: il gioco era governato dal gioco stesso e non più dagli attori. Luisa era il desiderio sottomesso di Giorgio. Cecilia era la sua ossessione vendicativa. E Claudio? Claudio era solo l'interruttore che aveva messo in moto una macchina che nessuno di loro, nemmeno lui, poteva più fermare. Cecilia continuava a godere. Non aveva mai avuto un orgasmo così lungo. Luisa ruppe il silenzio delle parole: "e ora tocca a me…".
scritto il
2025-09-26
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