Claudio e Cecilia: la crisi

di
genere
sentimentali

Il pensiero di Cecilia era diventato troppo assolutizzante. Pesante, alienante. Claudio la amava, era amato, ma come sempre gli accadeva dopo qualche mese di sesso elettrizzante, iniziava a sentirne il peso e i limiti al suo essere un uomo sentimentalmente errante. Ogni bacio, ogni graffio, ogni parola non detta diventava un fardello insopportabile.

Era una sera di fine inverno. Cecilia si trovava in Turchia, in viaggio di lavoro con i colleghi. Claudio, sul divano, dopo aver fatto zapping più per noia che per volontà, cercò un rifugio in un bar qualunque. Scese in cortile, entrò in macchina e iniziò a girare senza meta. A un certo punto fu attratto da un’insegna al neon: “Il Covo dei Senza Casa”. Parcheggiò ed entrò senza aspettative.

Si ritrovò in un posto caotico, angusto, dove le luci basse nascondevano i volti e le vite. Il suo “radar” da predatore percepì subito una vibrazione. E la vide in un angolo, in compagnia di altre due ragazze. Cristina (seppe poi) era una biondina giovanissima, con i capelli lisci che le arrivavano sulle scapole. Molto magra, al limite dello skinny. Ci fu un breve incrocio di sguardi, un suo sorriso non ricambiato. Nessun cruccio, ovviamente. Claudio tirò dritto e cercò un posto isolato. Non era convinto, così optò per uno sgabello al bancone, nell’angolo più lontano dall’ingresso. Ordinò a un barman sovrappeso un gin tonic e un tramezzino al tonno, guardandosi intorno con disinvoltura.

A un certo punto, vide al tavolo di Cristina i segni di una litigata. La sua voce era alta, acuta, piena di una rabbia giovane e superficiale che non conosceva il peso della disperazione. Poi, con un gesto secco, si allontanò dalle amiche e si sedette al bancone a pochi metri da Claudio. Non aveva il profumo di Cecilia, né la sua rabbia, né la sua disperazione. Aveva anche le tette più piccole di Cecilia e almeno dieci anni in meno, ma un culetto piccolo, tondo e sodo. Al netto di questo, era una ragazza qualunque, con la pelle liscia e lo sguardo perso. Claudio la vide muoversi come un felino in cerca di una preda. Capì subito che la ragazza era in cerca di guai o di un cazzo grosso, di una via di fuga veloce da un'altra, più banale, serata in bianco passata con le amiche. Claudio le ordinò un rum di venticinque anni, che era più vecchio di lei. Lei lo ringraziò e si avvicinò allo sgabello più vicino con un sorriso da gatta morta. Malizioso, ma mellifluo.

Non ci furono molte parole tra loro, né sguardi d'intesa. Prevaleva per entrambi solo la pura, spudorata necessità di un corpo da cui trarre appagamento. Lui si alzò. Lei si alzò, lo seguì fuori, e camminarono in un silenzio che non era imbarazzo, ma solo la fredda consapevolezza di un accordo tacito. Andarono a piedi in una stanza di un albergo fatiscente alla fine della strada. Nessuna eleganza o comodità, solo odore di disinfettante e di anonimato. Claudio si sentì sporco e il copriletto costellato di macchie aggravava la sensazione di sudiciume. Non c'era un dialogo, solo un bisogno. Non c'era l'elettricità del primo incontro, solo la stanchezza di una fuga.

Claudio afferrò quindi un profilattico dalla tasca interna della giacca di pelle e condusse Cristina in bagno. La spogliò con una furia cieca. Lei, in risposta a un suo sguardo, appoggiò una gamba alla parete, offrendogli il suo sesso. Lui indossò il preservativo e si appoggiò contro di lei. La penetrò e lei gridò il suo piacere. Gli urlò che voleva che la scopasse, che la prendesse selvaggiamente, senza ritegno. Le sue spinte profonde e secche la sollevarono nella doccia, il piacere immenso. Spinto dal desiderio, la girò e la mise a pecorina, con l’acqua che le scorreva lungo la schiena curva. A ogni spinta, la sua estasi aumentava. Voleva che lei fosse la sua cosa, una marionetta piantata sul suo cazzo mentre la penetrava. Anche lui gridava di piacere. E venne per la prima volta.

Si asciugarono e, ancora nudi, aprirono il letto e si stesero. Lui iniziò leccandole i polpacci e poi l’interno cosce. Il desiderio non accennava a diminuire. Lui raggiunse rapidamente la sua figa gonfia di piacere e la divorò con la sua lingua agile. Lei gli premette la testa tra le cosce per aumentare il piacere. Le sue mani le strinsero i seni con una forza che la riempì di piacere. Quando lui sentì che lei non ce la faceva più, si tirò su, indossò un nuovo preservativo e la penetrò. Sopra di lei, delicatamente, mosse il bacino avanti e indietro, riempiendola con il suo pene avido. Lei chiuse gli occhi, godendosi le sue spinte forti. Venne rapidamente, completamente abbandonata tra le sue braccia.

Ma lui era ancora assetato di sesso. La girò e la mise a quattro zampe. Giocherellò con le dita sul suo clitoride, usando il liquido del suo orgasmo per penetrarle meglio l’ano. Sorpresa all’inizio, il suo desiderio per lui e il suo perenne desiderio di arrendersi la fecero iniziare ad apprezzare. Quando lui sentì che era pronta, spinse deciso il suo pene tra le sue natiche desiderose. Lei stava assaporando quel piacere per la prima volta e si aggrappò alle lenzuola per non urlare di gioia. Lui venne allora di nuovo, in quello spazio angusto.

Seguì solo un silenzio vuoto. Claudio non provò sollievo. Il suo piacere non era un'onda che montava, ma una rabbia che si era spenta, lasciandolo più vuoto di prima. Si vestì in silenzio. Non la baciò. Non la guardò. Uscì dalla stanza e non si voltò più. Sentì un senso di libertà, ma era la libertà di un uomo che aveva appena tradito sé stesso. Era di nuovo solo, ma questa volta il suo cuore non batteva forte per la paura di un amore profondo, ma per la nausea di una fuga che sapeva inevitabile. Tornò a casa e chiamò Cecilia. Al quinto squillo, lei rispose allegra. Lui fu brutale. Le disse della giovanissima Cristina e dell’albergo. Punto per punto. Lei rimase in silenzio per alcuni secondi. “Figlio di puttana,” e un clic. Questo fu tutto. E la Turchia divenne un posto lontanissimo, come Cecilia.
scritto il
2025-09-10
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