Claudio: il gioco si fa duro
di
Maschio Vero
genere
dominazione
Dopo la rivelazione di Martina, Claudio barcollò fuori dal bagno. Le ginocchia gli tremavano, ma non per il forte orgasmo di poco prima. I suoni dell'aeroporto tornarono a inondare la sua mente, assordanti. La folla, prima solo un rumore di fondo, divenne una marea di volti giudicanti. Passò il banco del noleggio auto, prese un taxi e si diresse verso il centro città come un gitante senza meta. Ogni semaforo rosso, ogni clacson e ogni frenata brusca era un pugno nello stomaco.
Quando arrivò, Roma antica era più bella che mai con le luci del tramonto che coloravano di arancione le mura millenarie. Per lui, però, era solo un'altra prigione dorata. Non osava fermarsi. Continuava a camminare. Fece buio. Arrivò per sfinimento sotto il portone del palazzo dove viveva. Non era fuggito da Cecilia, era fuggito da se stesso e ora, l’unica via di salvezza, forse, era un ritorno all’inferno che aveva creato. Fece le scale a due a due e arrivò all'appartamento che aveva condiviso con Cecilia negli ultimi mesi. La porta d'ingresso era un muro invalicabile, il confine tra il suo passato e il suo presente. Aprì la porta e la solitudine della casa lo colpì come un pugno nello stomaco. Entrato, si gettò il borsone a terra, ormai solo un involucro vuoto di una fuga fallita. Si sentì soffocare in quel silenzio. Un odore sottile e familiare di lei, di caffè e di fiori, indugiava ancora nell'aria. Sul tavolo del soggiorno, però, non c'era traccia della sua presenza. Si spostò. La stanza era grande, il letto comodo, ma lui non riusciva a stare fermo. Si sentiva soffocare, intrappolato tra l'ombra di Cecilia e la trappola di Martina. Era una trappola che lui stesso aveva costruito. Si sentì vuoto, come un pozzo senza fondo. Non c'era più nulla da cui scappare, non c'era più nulla da nascondere.
Il suo telefono vibrò. Era un messaggio da un numero non salvato in rubrica. "Ora che hai capito che non c'è più spazio per te, hai la possibilità di ripartire da zero, di ricominciare a vivere." Firmato Giorgio. Sì Giorgio, quel Giorgio. Non ebbe una reazione rabbiosa. Si stese. Ricominciare a vivere? Ma che significava? E in ogni caso Claudio non era così semplice. Sentiva il peso dei suoi errori che lo schiacciava. Le parole di Martina, "Aveva ragione Cecilia," continuavano a risuonargli in testa, come un'eco maligna. Scattò in piedi. Ricordava l’indirizzo della madre di Cecilia. Aveva bisogno di informazioni. Chiamò un taxi. Qualche minuto dopo era davanti alla porta della casa in cui Cecilia aveva trascorso l’infanzia. Suonò al campanello. L'anta della porta si aprì e apparve una donna anziana che non aveva mai visto, con un viso segnato dal tempo e uno sguardo di inesplicabile tristezza. "Cerchi Cecilia?" disse la donna con voce flebile. “Sono Claudio, il suo compagno,” disse mordendosi un labbro. "Non è a casa, e non tornerà," continuò la donna quasi sussurrando. Claudio disse che lo sapeva e che cercava informazioni su un certo Giorgio. La donna lo interruppe, il suo sguardo penetrante si fece più duro. "Non è per questo che è andata via. È andata via perché sa che, se si è persa, non è per le azioni di un altro, ma per le sue stesse. E sa che non sei tu il suo mostro, non lo sei mai stato. Sei solo un ragazzo che non ha mai saputo amare.”
Claudio la mandò al diavolo. Avrebbe mandato al diavolo il mondo intero se avesse potuto. Claudio si voltò e camminò, le scarpe che strisciavano sull’asfalto umido di Roma. La rabbia che l'aveva spinto ad alzare la voce svanì quasi all'istante, lasciando un vuoto ancora più grande di prima. Le parole della madre di Cecilia non erano state un'accusa, ma una sentenza. "Sei solo un ragazzo che non ha mai saputo amare." Si sentiva come un pugile messo al tappeto, non da un pugno, ma dalla consapevolezza di aver perso ogni battaglia. Roma, con le sue luci e le sue ombre, non era più un'antica prigione ma un labirinto infinito in cui si sentiva perduto. Camminò per ore, il tempo che si dissolveva in un ronzio indistinto. Le vie affollate, i rumori dei clacson e le risate degli sconosciuti erano un sottofondo assordante per il suo silenzio interiore. La disperazione aveva ceduto il passo a una fredda e tagliente lucidità. Aveva cercato risposte, ma ogni passo che faceva lo allontanava sempre di più dalla verità. L'unica via d'uscita era affrontare i suoi demoni, ma i demoni avevano già preso il volo, lasciandolo solo con la sua sconfitta. Si fermò in un angolo buio, lontano dalla folla. Tirò fuori il telefono, come se fosse un'ancora di salvezza. Rilesse il messaggio di Giorgio: "Ora che hai capito che non c'è più spazio per te, hai la possibilità di ripartire da zero, di ricominciare a vivere." Non era una sfida, ma una dichiarazione di vittoria. Claudio non si arrabbiò, ma sentì una fitta di gelosia che non aveva mai provato prima. Non era geloso di Cecilia, ma di Giorgio, che era riuscito a trovare la pace che lui aveva perso.
L’aria di Roma era ferma, satura di un calore umido e di profumo di gelsomino notturno. Claudio continuava a fissare lo schermo del telefono, la luce azzurrina che gli illuminava il volto spento. "Ricominciare a vivere," le parole di Giorgio gli risuonavano nella testa, vuote e beffarde. Ma come si ricomincia? La sua mente era una prigione di ferro e plastica, un labirinto senza fine dove le ombre di Cecilia e Martina lo tormentavano senza tregua. Scivolò in una stradina stretta e buia, lontano dai rumori del traffico, dove il silenzio era rotto solo dal suo respiro affannoso. La disperazione aveva ceduto il passo a una fredda e tagliente lucidità. Claudio cercò di ricomporre i pezzi, ma il puzzle non aveva più senso. Le parole della madre di Cecilia, l’umiliazione subita per mano di Martina, il messaggio di Giorgio: tutto si fondeva in un’unica, soffocante melma. Era un uomo distrutto, un ragazzo che non aveva mai saputo amare, costretto a vagare senza meta in un labirinto che aveva costruito con le sue mani. Si appoggiò al muro freddo di un vicolo, la testa che gli girava. Si accorse che era arrivato inconsapevolmente sotto gli uffici dell’ente dove lavorava Cecilia. Fu in quel momento che un'ombra si materializzò di fronte a lui. Non era Cecilia. Non era Martina. Era una donna che non aveva mai visto, ma i suoi occhi erano terribilmente familiari. Era l’immagine della donna che aveva cercato di dimenticare, ma in una forma più scura, più conturbante. Più matura e audace. Più troia. Aveva gli occhi verdi e penetranti, un viso dai tratti perfetti e le labbra piene. Indossava un vestito di seta nero che si appoggiava sul suo corpo come una seconda pelle. “Sei tu Claudio?" chiese con una voce bassa e rauca. Lui annuì, confuso. La donna si avvicinò ancora di più, il profumo dei suoi capelli che gli avvolgeva il viso, la sua bocca che si avvicinava al suo orecchio. "Giorgio mi ha detto che avevi bisogno di una figa affinché non ti perdessi” sussurrò la donna mentre la sua mano scivolava dalla spalla al suo collo, accarezzandolo con le dita. E Claudio, che sentì una fitta allo stomaco, non rispose. La sua mente era un campo di battaglia, ma il suo corpo reagiva istintivamente. Lei lo guardava con un’espressione di sfida e di dolore dipinta sul viso. Claudio sentì il suo cuore battere all’impazzata, il sangue che gli affluiva al viso. Non c'era passione in lei, solo la freddezza di un'offerta. Si sentiva un uomo che aveva appena perso l'ultima partita. Lei piegò il viso e lo spinse contro il muro, le sue mani che gli affondavano nella camicia. Claudio sentì un brivido scendergli lungo la schiena, un misto di paura e desiderio. La donna non parlava, i suoi occhi gli urlavano la sua vendetta. Lui si lasciò andare, la sua mente che si svuotava. Non c'era più nulla da fare, solo accettare la sua punizione.
Il volto della donna si avvicinò al suo. Non era un bacio, ma un possesso. Le sue labbra si posarono sulle sue, un tocco freddo e famelico che gli tolse il respiro. Sentì la sua mano scivolare lungo la sua schiena, poi scendere fino ai suoi pantaloni, sbottonandoli con una calma disarmante. Claudio tremava, ma non per la paura. La sua mente, un attimo prima un campo di battaglia, si svuotava, lasciando solo una sensazione di vuoto e di resa. A sorpresa la donna lo spinse contro il muro. Claudio si ritrovò con la schiena contro il freddo del cemento. Lei piegò il busto e con una lentezza glaciale gli sbottonò i pantaloni. Sentì le sue dita che gli scivolavano sulla pelle, fredde e indifferenti. La donna prese il suo sesso con una mano, il tocco di una dominatrice che si apprestava a consumare la sua preda. Claudio si lasciò andare, la sua mente che si svuotava. Non c'era più nulla da fare, solo accettare la sua punizione. La donna si inginocchiò. Il suo viso scuro e perfetto si abbassò, mentre l’odore della strada si faceva più forte, quasi inebriante. Sentì il suo sesso che veniva avvolto dalla sua bocca, un tocco esperto e famelico, ma privo di qualsiasi affetto. Non era un atto d'amore, ma una lezione. Lei lo succhiava con una violenza che gli mozzava il fiato e poi, con un movimento improvviso, si alzò, sputandogli il suo stesso sapore in bocca. "Non sei un uomo da sognare," sussurrò con una voce bassa e roca, "ma un'ossessione da vomitare."
La reazione di Claudio fu un ringhio primordiale. Il lupo che era in lui non poteva sopportare una tale umiliazione. L'afferrò per i capelli, una ciocca scura che si attorcigliò stretta tra le sue dita. Non c'era un briciolo di passione, solo la rabbia più pura. Strappò con una forza brutale la parte davanti del vestitino di seta, che si aprì rivelando la nudità di lei. Le mani di lui corsero a sfilare anche il reggiseno, scoprendo seni grandi e morbidi che nascondevano un'areola rosa chiara che contrastava con due capezzoli grossi e appuntiti e bruni. La passione esplose in un attimo, Claudio fece correre le mani lungo i fianchi e dietro le natiche sollevandola di peso. Si ritrovò in un attimo con le gambe di lei avvinghiate ai suoi lombi e dopo pochi passi la appoggiò alla parete stringendola in una morsa tra il muro e il suo corpo. Guardò i suoi occhi diventati languidi e vogliosi, rimanendo vagamente spiazzato mentre lei prese a sorridere maliziosa. L'uomo lentamente mollò la presa lasciando che i piedi di lei toccassero il pavimento. "In ginocchio," comandò. La donna attese un secondo e tra lo spiazzato e il divertito piegò le gambe fino ad adagiarsi al suolo. Claudio allora iniziò a chiavarla in bocca spingendo l’asta tutta dentro, sentendo le tonsille sbattere contro la cappella. Spinse fino a sentire le labbra della donna contro i testicoli. Lei iniziava a dimenarsi tendando di liberarsi, ma lui teneva forte il viso di lei bloccato in modo da continuare a spingere il cazzo fino in gola. “Ferma!” urlò fino a che la sentì arresa. Poi cacciò il cazzo dalle sue labbra, con lei che ebbe conati di vomito accovacciata a terra con la faccia a pochi centimetri dall’asfalto. Fu lì che lei venne sommersa da un liquido caldo. Claudio iniziò a pisciarle in faccia. Il volto della donna, pochi minuti prima fiero, iniziò a tremare. Era paura mista a eccitazione. Da carnefice era passata a vittima. Claudio allungò lentamente la mano, sollevandole delicatamente il volto con le dita. In quel momento, tutto il resto scomparve: il mondo esterno, le parole, i pensieri. Rimase lì, in quella posizione, lasciando che la comunicazione tra loro si esprimesse senza bisogno di parole. Gli sguardi si fissarono l'uno nell'altro.
"Alzati." La donna si sollevò al suo comando, mentre la mano di Claudio le guidava il viso verso l'alto. Si rimise in piedi e l'uomo si posizionò lentamente dietro di lei, liberandola dal vestito che la fasciava. La cerniera fece un sibilo sommesso scendendo fino ai suoi fianchi. La donna rimase, in piedi, nuda e immobile, in preda a un fremito di attesa e desiderio. Claudio afferrò con rapidità la cintura di seta del vestito e le cinse i polsi, annodandoli saldamente appena sopra i glutei. Una fitta di rabbia le guizzò nella mente: lei, che era un capo, si trovava a essere una preda sottomessa. Lo schema di Giorgio era stato ribaltato da Claudio. E lei era diventata schiava di un piacere che non sapeva definire, ma che le avvolgeva il corpo e la mente in modo incontrollabile e del tutto imprevisto. Gli occhi dell'uno nello sguardo dell'altra. "Alzati." La donna seguì il comando. Si rimise in piedi mentre l'uomo si spostava lentamente alle sue spalle sciogliendola dalle costrizioni del vestito che indossava. La zip scricchiolò nello scendere verso le natiche. La donna era lì in un vicolo vicino al centro della città, in piedi, nuda, ferma, in attesa e trepidante di desiderio. Claudio sfilò agilmente la cintura di seta accessoria al vestito passandogliela dietro i polsi per legarli stretti appena al di sopra dei glutei tondi e duri per anni di esercizi sopra (e sotto) la panca. Un moto di stizza attraversò la mente della donna, lei, ‘capo’ tramutata in preda sottomessa schiava di un piacere che non sapeva definire ma che le penetrava il corpo e la mente in maniera incontrollabile ed inaspettata.
In piedi, immobile, con i polsi legati, il cuore che batteva all'impazzata, percepì a malapena la presa potente di Claudio che le affondava le dita nei capelli, costringendola a sollevare il viso e a esporre il collo d'avorio. Un brivido la scosse quando il calore dei baci del suo aguzzino si irradiò dalla carotide a ogni nervo del suo corpo. Fluidi di passione riempivano l'interno della sua vagina, scivolando lungo il dorso della mano di lui, mentre le sue dita si addentravano nel suo corpo. Lampi di perverso piacere le saettavano nella mente, rendendola inerme come una bambola di pezza con le braccia vincolate. Esplose. Fu un orgasmo di una potenza inaudita, un'ondata rovente e senza precedenti. Urlò con una tale forza da far sobbalzare l'uomo che, scuotendo la testa, allentò la presa sul suo capo. Claudio guardò se qualcuno dalla strada li stesse osservando. Erano le tre di notte. Nemmeno un gatto in un angolo di Roma nascosto.
Lei scivolò di nuovo a terra, esausta. Debole. Confusa. Lui si tolse la giacca e gliela porse. Era praticamente nuda e con il vestitino strappato. A quel punto, lui sorrise per la prima volta dopo ore. La lasciò lì, abbandonata a se stessa, e nel mentre prese il cellulare dalla tasca. Scrisse un SMS: “Caro Giorgio, il prossimo a diventare il mio schiavo sarai tu! Saluti a Cecilia. A presto”.
(continua)
Per curiosità
Tg: @XYZXYZ22222
Quando arrivò, Roma antica era più bella che mai con le luci del tramonto che coloravano di arancione le mura millenarie. Per lui, però, era solo un'altra prigione dorata. Non osava fermarsi. Continuava a camminare. Fece buio. Arrivò per sfinimento sotto il portone del palazzo dove viveva. Non era fuggito da Cecilia, era fuggito da se stesso e ora, l’unica via di salvezza, forse, era un ritorno all’inferno che aveva creato. Fece le scale a due a due e arrivò all'appartamento che aveva condiviso con Cecilia negli ultimi mesi. La porta d'ingresso era un muro invalicabile, il confine tra il suo passato e il suo presente. Aprì la porta e la solitudine della casa lo colpì come un pugno nello stomaco. Entrato, si gettò il borsone a terra, ormai solo un involucro vuoto di una fuga fallita. Si sentì soffocare in quel silenzio. Un odore sottile e familiare di lei, di caffè e di fiori, indugiava ancora nell'aria. Sul tavolo del soggiorno, però, non c'era traccia della sua presenza. Si spostò. La stanza era grande, il letto comodo, ma lui non riusciva a stare fermo. Si sentiva soffocare, intrappolato tra l'ombra di Cecilia e la trappola di Martina. Era una trappola che lui stesso aveva costruito. Si sentì vuoto, come un pozzo senza fondo. Non c'era più nulla da cui scappare, non c'era più nulla da nascondere.
Il suo telefono vibrò. Era un messaggio da un numero non salvato in rubrica. "Ora che hai capito che non c'è più spazio per te, hai la possibilità di ripartire da zero, di ricominciare a vivere." Firmato Giorgio. Sì Giorgio, quel Giorgio. Non ebbe una reazione rabbiosa. Si stese. Ricominciare a vivere? Ma che significava? E in ogni caso Claudio non era così semplice. Sentiva il peso dei suoi errori che lo schiacciava. Le parole di Martina, "Aveva ragione Cecilia," continuavano a risuonargli in testa, come un'eco maligna. Scattò in piedi. Ricordava l’indirizzo della madre di Cecilia. Aveva bisogno di informazioni. Chiamò un taxi. Qualche minuto dopo era davanti alla porta della casa in cui Cecilia aveva trascorso l’infanzia. Suonò al campanello. L'anta della porta si aprì e apparve una donna anziana che non aveva mai visto, con un viso segnato dal tempo e uno sguardo di inesplicabile tristezza. "Cerchi Cecilia?" disse la donna con voce flebile. “Sono Claudio, il suo compagno,” disse mordendosi un labbro. "Non è a casa, e non tornerà," continuò la donna quasi sussurrando. Claudio disse che lo sapeva e che cercava informazioni su un certo Giorgio. La donna lo interruppe, il suo sguardo penetrante si fece più duro. "Non è per questo che è andata via. È andata via perché sa che, se si è persa, non è per le azioni di un altro, ma per le sue stesse. E sa che non sei tu il suo mostro, non lo sei mai stato. Sei solo un ragazzo che non ha mai saputo amare.”
Claudio la mandò al diavolo. Avrebbe mandato al diavolo il mondo intero se avesse potuto. Claudio si voltò e camminò, le scarpe che strisciavano sull’asfalto umido di Roma. La rabbia che l'aveva spinto ad alzare la voce svanì quasi all'istante, lasciando un vuoto ancora più grande di prima. Le parole della madre di Cecilia non erano state un'accusa, ma una sentenza. "Sei solo un ragazzo che non ha mai saputo amare." Si sentiva come un pugile messo al tappeto, non da un pugno, ma dalla consapevolezza di aver perso ogni battaglia. Roma, con le sue luci e le sue ombre, non era più un'antica prigione ma un labirinto infinito in cui si sentiva perduto. Camminò per ore, il tempo che si dissolveva in un ronzio indistinto. Le vie affollate, i rumori dei clacson e le risate degli sconosciuti erano un sottofondo assordante per il suo silenzio interiore. La disperazione aveva ceduto il passo a una fredda e tagliente lucidità. Aveva cercato risposte, ma ogni passo che faceva lo allontanava sempre di più dalla verità. L'unica via d'uscita era affrontare i suoi demoni, ma i demoni avevano già preso il volo, lasciandolo solo con la sua sconfitta. Si fermò in un angolo buio, lontano dalla folla. Tirò fuori il telefono, come se fosse un'ancora di salvezza. Rilesse il messaggio di Giorgio: "Ora che hai capito che non c'è più spazio per te, hai la possibilità di ripartire da zero, di ricominciare a vivere." Non era una sfida, ma una dichiarazione di vittoria. Claudio non si arrabbiò, ma sentì una fitta di gelosia che non aveva mai provato prima. Non era geloso di Cecilia, ma di Giorgio, che era riuscito a trovare la pace che lui aveva perso.
L’aria di Roma era ferma, satura di un calore umido e di profumo di gelsomino notturno. Claudio continuava a fissare lo schermo del telefono, la luce azzurrina che gli illuminava il volto spento. "Ricominciare a vivere," le parole di Giorgio gli risuonavano nella testa, vuote e beffarde. Ma come si ricomincia? La sua mente era una prigione di ferro e plastica, un labirinto senza fine dove le ombre di Cecilia e Martina lo tormentavano senza tregua. Scivolò in una stradina stretta e buia, lontano dai rumori del traffico, dove il silenzio era rotto solo dal suo respiro affannoso. La disperazione aveva ceduto il passo a una fredda e tagliente lucidità. Claudio cercò di ricomporre i pezzi, ma il puzzle non aveva più senso. Le parole della madre di Cecilia, l’umiliazione subita per mano di Martina, il messaggio di Giorgio: tutto si fondeva in un’unica, soffocante melma. Era un uomo distrutto, un ragazzo che non aveva mai saputo amare, costretto a vagare senza meta in un labirinto che aveva costruito con le sue mani. Si appoggiò al muro freddo di un vicolo, la testa che gli girava. Si accorse che era arrivato inconsapevolmente sotto gli uffici dell’ente dove lavorava Cecilia. Fu in quel momento che un'ombra si materializzò di fronte a lui. Non era Cecilia. Non era Martina. Era una donna che non aveva mai visto, ma i suoi occhi erano terribilmente familiari. Era l’immagine della donna che aveva cercato di dimenticare, ma in una forma più scura, più conturbante. Più matura e audace. Più troia. Aveva gli occhi verdi e penetranti, un viso dai tratti perfetti e le labbra piene. Indossava un vestito di seta nero che si appoggiava sul suo corpo come una seconda pelle. “Sei tu Claudio?" chiese con una voce bassa e rauca. Lui annuì, confuso. La donna si avvicinò ancora di più, il profumo dei suoi capelli che gli avvolgeva il viso, la sua bocca che si avvicinava al suo orecchio. "Giorgio mi ha detto che avevi bisogno di una figa affinché non ti perdessi” sussurrò la donna mentre la sua mano scivolava dalla spalla al suo collo, accarezzandolo con le dita. E Claudio, che sentì una fitta allo stomaco, non rispose. La sua mente era un campo di battaglia, ma il suo corpo reagiva istintivamente. Lei lo guardava con un’espressione di sfida e di dolore dipinta sul viso. Claudio sentì il suo cuore battere all’impazzata, il sangue che gli affluiva al viso. Non c'era passione in lei, solo la freddezza di un'offerta. Si sentiva un uomo che aveva appena perso l'ultima partita. Lei piegò il viso e lo spinse contro il muro, le sue mani che gli affondavano nella camicia. Claudio sentì un brivido scendergli lungo la schiena, un misto di paura e desiderio. La donna non parlava, i suoi occhi gli urlavano la sua vendetta. Lui si lasciò andare, la sua mente che si svuotava. Non c'era più nulla da fare, solo accettare la sua punizione.
Il volto della donna si avvicinò al suo. Non era un bacio, ma un possesso. Le sue labbra si posarono sulle sue, un tocco freddo e famelico che gli tolse il respiro. Sentì la sua mano scivolare lungo la sua schiena, poi scendere fino ai suoi pantaloni, sbottonandoli con una calma disarmante. Claudio tremava, ma non per la paura. La sua mente, un attimo prima un campo di battaglia, si svuotava, lasciando solo una sensazione di vuoto e di resa. A sorpresa la donna lo spinse contro il muro. Claudio si ritrovò con la schiena contro il freddo del cemento. Lei piegò il busto e con una lentezza glaciale gli sbottonò i pantaloni. Sentì le sue dita che gli scivolavano sulla pelle, fredde e indifferenti. La donna prese il suo sesso con una mano, il tocco di una dominatrice che si apprestava a consumare la sua preda. Claudio si lasciò andare, la sua mente che si svuotava. Non c'era più nulla da fare, solo accettare la sua punizione. La donna si inginocchiò. Il suo viso scuro e perfetto si abbassò, mentre l’odore della strada si faceva più forte, quasi inebriante. Sentì il suo sesso che veniva avvolto dalla sua bocca, un tocco esperto e famelico, ma privo di qualsiasi affetto. Non era un atto d'amore, ma una lezione. Lei lo succhiava con una violenza che gli mozzava il fiato e poi, con un movimento improvviso, si alzò, sputandogli il suo stesso sapore in bocca. "Non sei un uomo da sognare," sussurrò con una voce bassa e roca, "ma un'ossessione da vomitare."
La reazione di Claudio fu un ringhio primordiale. Il lupo che era in lui non poteva sopportare una tale umiliazione. L'afferrò per i capelli, una ciocca scura che si attorcigliò stretta tra le sue dita. Non c'era un briciolo di passione, solo la rabbia più pura. Strappò con una forza brutale la parte davanti del vestitino di seta, che si aprì rivelando la nudità di lei. Le mani di lui corsero a sfilare anche il reggiseno, scoprendo seni grandi e morbidi che nascondevano un'areola rosa chiara che contrastava con due capezzoli grossi e appuntiti e bruni. La passione esplose in un attimo, Claudio fece correre le mani lungo i fianchi e dietro le natiche sollevandola di peso. Si ritrovò in un attimo con le gambe di lei avvinghiate ai suoi lombi e dopo pochi passi la appoggiò alla parete stringendola in una morsa tra il muro e il suo corpo. Guardò i suoi occhi diventati languidi e vogliosi, rimanendo vagamente spiazzato mentre lei prese a sorridere maliziosa. L'uomo lentamente mollò la presa lasciando che i piedi di lei toccassero il pavimento. "In ginocchio," comandò. La donna attese un secondo e tra lo spiazzato e il divertito piegò le gambe fino ad adagiarsi al suolo. Claudio allora iniziò a chiavarla in bocca spingendo l’asta tutta dentro, sentendo le tonsille sbattere contro la cappella. Spinse fino a sentire le labbra della donna contro i testicoli. Lei iniziava a dimenarsi tendando di liberarsi, ma lui teneva forte il viso di lei bloccato in modo da continuare a spingere il cazzo fino in gola. “Ferma!” urlò fino a che la sentì arresa. Poi cacciò il cazzo dalle sue labbra, con lei che ebbe conati di vomito accovacciata a terra con la faccia a pochi centimetri dall’asfalto. Fu lì che lei venne sommersa da un liquido caldo. Claudio iniziò a pisciarle in faccia. Il volto della donna, pochi minuti prima fiero, iniziò a tremare. Era paura mista a eccitazione. Da carnefice era passata a vittima. Claudio allungò lentamente la mano, sollevandole delicatamente il volto con le dita. In quel momento, tutto il resto scomparve: il mondo esterno, le parole, i pensieri. Rimase lì, in quella posizione, lasciando che la comunicazione tra loro si esprimesse senza bisogno di parole. Gli sguardi si fissarono l'uno nell'altro.
"Alzati." La donna si sollevò al suo comando, mentre la mano di Claudio le guidava il viso verso l'alto. Si rimise in piedi e l'uomo si posizionò lentamente dietro di lei, liberandola dal vestito che la fasciava. La cerniera fece un sibilo sommesso scendendo fino ai suoi fianchi. La donna rimase, in piedi, nuda e immobile, in preda a un fremito di attesa e desiderio. Claudio afferrò con rapidità la cintura di seta del vestito e le cinse i polsi, annodandoli saldamente appena sopra i glutei. Una fitta di rabbia le guizzò nella mente: lei, che era un capo, si trovava a essere una preda sottomessa. Lo schema di Giorgio era stato ribaltato da Claudio. E lei era diventata schiava di un piacere che non sapeva definire, ma che le avvolgeva il corpo e la mente in modo incontrollabile e del tutto imprevisto. Gli occhi dell'uno nello sguardo dell'altra. "Alzati." La donna seguì il comando. Si rimise in piedi mentre l'uomo si spostava lentamente alle sue spalle sciogliendola dalle costrizioni del vestito che indossava. La zip scricchiolò nello scendere verso le natiche. La donna era lì in un vicolo vicino al centro della città, in piedi, nuda, ferma, in attesa e trepidante di desiderio. Claudio sfilò agilmente la cintura di seta accessoria al vestito passandogliela dietro i polsi per legarli stretti appena al di sopra dei glutei tondi e duri per anni di esercizi sopra (e sotto) la panca. Un moto di stizza attraversò la mente della donna, lei, ‘capo’ tramutata in preda sottomessa schiava di un piacere che non sapeva definire ma che le penetrava il corpo e la mente in maniera incontrollabile ed inaspettata.
In piedi, immobile, con i polsi legati, il cuore che batteva all'impazzata, percepì a malapena la presa potente di Claudio che le affondava le dita nei capelli, costringendola a sollevare il viso e a esporre il collo d'avorio. Un brivido la scosse quando il calore dei baci del suo aguzzino si irradiò dalla carotide a ogni nervo del suo corpo. Fluidi di passione riempivano l'interno della sua vagina, scivolando lungo il dorso della mano di lui, mentre le sue dita si addentravano nel suo corpo. Lampi di perverso piacere le saettavano nella mente, rendendola inerme come una bambola di pezza con le braccia vincolate. Esplose. Fu un orgasmo di una potenza inaudita, un'ondata rovente e senza precedenti. Urlò con una tale forza da far sobbalzare l'uomo che, scuotendo la testa, allentò la presa sul suo capo. Claudio guardò se qualcuno dalla strada li stesse osservando. Erano le tre di notte. Nemmeno un gatto in un angolo di Roma nascosto.
Lei scivolò di nuovo a terra, esausta. Debole. Confusa. Lui si tolse la giacca e gliela porse. Era praticamente nuda e con il vestitino strappato. A quel punto, lui sorrise per la prima volta dopo ore. La lasciò lì, abbandonata a se stessa, e nel mentre prese il cellulare dalla tasca. Scrisse un SMS: “Caro Giorgio, il prossimo a diventare il mio schiavo sarai tu! Saluti a Cecilia. A presto”.
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