La burrata
di
Milo Desideri
genere
gay
Nel cuore del supermercato, dove l’aria era intrisa dell’odore di formaggi stagionati e carni affumicate, Marco il salumiere affettava prosciutto con la precisione di un chirurgo. I suoi muscoli tesi sotto la camicia bianca, macchiata nell’area delle ascelle di sudore, catturavano la luce fluorescente dei neon come un invito proibito. Era un uomo di trent’anni, con barba incolta e occhi scuri che promettevano tempesta, labbra turgide e carnose, naso aquilino che già diceva tutto.
Davanti a lui si fermò un uomo. Alto, camicia aperta quel tanto che bastava per lasciare indovinare il calore della pelle e dei peli. Marco lo notò subito - o forse sarebbe più onesto dire che lo stava aspettando da giorni, da quando l’aveva visto passare tra le corsie con la sua fidanzata, con un carrello pieno di pannolini ed omogenizzati. Un neo-papà, stavolta tutto solo.
«Buon pomeriggio…» disse l’uomo, con un mezzo sorriso, senza prendere il numeretto, fila vuota. La voce gli scivolò addosso come olio extravergine d’oliva. «Cosa desidera?» chiese Marco, tenendo il coltello in tensione come un’estensione del proprio braccio. «Ho visto il culatello in offerta. Me lo consiglia? Ha un sapore… morbido?» Le parole caddero intenzionali, pesate come fette sottilissime di salame. Marco non distolse lo sguardo, pur sentendo un brivido corrergli lungo la spina dorsale. Tagliò una fetta di prosciutto e la posò sul banco per farla assaggiare il cliente. «Gliela faccio provare…». L’uomo osservava il salumiere, soprattutto le sue mani. Poi assaggiò di gusto.
«Ottimo, ne vorrei due etti, poi…» aggiunse, abbassando la voce, «avreste per caso della burrata? Di quella buona. Di quella che si apre e si lascia andare» Marco annuì piano. Quando si voltò per prenderla dal frigo poco più in là, era come se il suo corpo parlasse al posto suo. Prese la burrata con delicatezza – la sacca bianca tesa, lucida, quasi viva – e la posò dentro una confezione di plastica con un gesto lento. L’uomo, avvicinandosi alla zona dei formaggi, trattenne il sospiro e si passò la lingua sul labbro superiore, assicurandosi che il salumiere potesse osservarlo. Marco rimase di sasso.
Fu quello il momento. Il punto in cui tutto ciò che fino ad allora era stato gioco di sguardi e doppi sensi diventò una richiesta carnale, inevitabile.
«Se vuole, però» disse Marco, «posso prenderle quella più fresca. È in magazzino.» Lo disse con naturalezza, ma gli occhi erano già una garanzia di ciò che sarebbe accaduto. L’uomo sorrise. «Allora mi accompagni, da questo lato. Entrarono nel magazzino senza farsi vedere, era una zona interdetta ai clienti: una porta battente, un corridoio breve, odore di salumi e formaggi. La luce era più bassa, più morbida, come se quel posto fosse stato costruito apposta per custodire segreti. Marco appoggiò la burrata su un bancale. Le loro figure, vicine, parevano due linee destinate a congiungersi.
«È questa quella che voleva?» mormorò Marco, avvicinandosi. «Dipende» rispose l’uomo, che ora aveva un nome – Luca – «me la fa sentire?»
Le parole restarono sospese, come caciotte a stagionare.
Marco prese la burrata, la sollevò con entrambe le mani e la osservò insieme a lui. La sacca tremava leggermente, il cuore cremoso pronto a rompersi al minimo tocco.
«È morbida…» sussurrò Luca.
«Sì.»
«Il latte scivola tra le dita, vero?»
«Sì.»
Non serviva altro.
Marco posò la burrata, ma le sue dita indugiarono sul collo del cliente, accarezzandolo come se tra le mani avesse una crema idratante. Luca seguì quel movimento con lo sguardo, lento, ardente. Quando rialzò gli occhi, la burrata non era più solo un alimento. Era un’idea. Una metafora. Un’arma di seduzione.
«Sa,» disse Luca, «lei ha un modo di maneggiare i prodotti da vero esperto.»
«E lei ha un modo di guardarmi… che mi fa venire voglia di sporcarmi le mani sul serio.»
Sorrisero. Le distanze evaporarono.
Luca fu il primo a muoversi: afferrò la nuca di Marco e lo baciò con una fame trattenuta troppo a lungo. Un bacio bagnato, profondo, che sapeva di culatello e desiderio represso. Marco rispose spingendolo contro il bancale, le mani sporche di latte che già slacciavano bottoni, strappavano stoffa, cercavano pelle.
Si spogliarono in fretta, camicie che cadevano sul laminato, pantaloni abbassati con l’urgenza di fare fretta. Non volevano essere scoperti, forse. Il cazzo di Marco era già duro, spesso, venoso come un salame di prima scelta; quello di Luca più lungo, elegante, con la cappella lucida di precum.
Marco prese la burrata di nuovo. Con un gesto lento, quasi religioso, ne stracciò la pelle. Il cuore cremoso esplose tra le sue dita, bianco, denso, ma pronto a scaldarsi contro la pelle del maritino voglioso. Ne raccolse una manciata e la spalmò sul petto di Luca, disegnando linee lente che colavano sui capezzoli. Luca si inarcò all’indietro, assalito da un brivido di godimento. «Cazzo, sì…» gemette.
Marco continuò: portò la crema alla bocca di Luca, gliela fece assaggiare dalla punta delle dita. Luca succhiò avidamente, leccando, mordicchiando, gli occhi chiusi in estasi. Poi Marco ne prese dell’altra e la avvolse intorno al proprio cazzo, masturbandosi piano davanti a lui, la burrata che scivolava come il lubrificante più osceno e più puro che avessero mai usato.
Luca si girò di sua iniziativa, si chinò sul bancale, le mani aperte sul legno grezzo. Offrì il culo sodo, teso, già lucido di sudore. Marco non aspettò. Raccolse altra burrata, la scaldò tra i palmi, poi la spinse tra le natiche di Luca, spalmandola generosamente sull’ano stretto. Un dito entrò facilmente, poi due, poi tre, la crema che facilitava tutto, che rendeva ogni movimento bagnato, viscido, indecente.
«Fottimi,» sussurrò Luca, la voce rotta. «Fottimi con quella burrata dentro.» Marco si posizionò, la cappella gonfia premette contro il buco morbido e cremoso. Spinse. Entrò di colpo, fino in fondo, strappando a Luca un grido che era metà dolore, metà liberazione. Il calore del culo, la viscosità della burrata, il profumo di latte e sesso che riempiva il magazzino: tutto era perfetto.
Scopò con ritmo crescente, i fianchi che sbattevano contro le natiche di Luca, la burrata che schizzava a ogni affondo, colando sulle palle, sul pavimento, sui loro corpi. Luca si masturbava furiosamente, il braccio teso, i gemiti che si facevano sempre più animaleschi.
«Vengo… cazzo, Marco, vieni dentro…»
Marco afferrò i fianchi di Luca con entrambe le mani, lo tenne fermo e diede le ultime spinte violente, profonde. Vennero insieme: Luca schizzò sul bancale in lunghi fiotti bianchi che si mischiavano alla burrata ormai a terra, Marco si svuotò dentro di lui con un ruggito basso, il seme che si univa alla crema in un’unione sacrilega e perfetta.
Rimasero così un istante, ansanti, uniti e unti, la burrata ormai ridotta a una pozza lattiginosa sotto di loro. Poi Marco uscì piano, il cazzo ancora duro che lasciava un filo cremoso tra i loro corpi. Luca si girò, lo baciò piano, questa volta dolce, quasi grato.
«Questa,» sussurrò contro le sue labbra, «è la burrata più buona che abbia mai assaggiato.»
Marco rise, un suono caldo e profondo. «Torna domani, te ne lascio un po’ da parte…»
E nel magazzino, tra cartoni e odore di latte e sborra, la promessa era già scritta.
Davanti a lui si fermò un uomo. Alto, camicia aperta quel tanto che bastava per lasciare indovinare il calore della pelle e dei peli. Marco lo notò subito - o forse sarebbe più onesto dire che lo stava aspettando da giorni, da quando l’aveva visto passare tra le corsie con la sua fidanzata, con un carrello pieno di pannolini ed omogenizzati. Un neo-papà, stavolta tutto solo.
«Buon pomeriggio…» disse l’uomo, con un mezzo sorriso, senza prendere il numeretto, fila vuota. La voce gli scivolò addosso come olio extravergine d’oliva. «Cosa desidera?» chiese Marco, tenendo il coltello in tensione come un’estensione del proprio braccio. «Ho visto il culatello in offerta. Me lo consiglia? Ha un sapore… morbido?» Le parole caddero intenzionali, pesate come fette sottilissime di salame. Marco non distolse lo sguardo, pur sentendo un brivido corrergli lungo la spina dorsale. Tagliò una fetta di prosciutto e la posò sul banco per farla assaggiare il cliente. «Gliela faccio provare…». L’uomo osservava il salumiere, soprattutto le sue mani. Poi assaggiò di gusto.
«Ottimo, ne vorrei due etti, poi…» aggiunse, abbassando la voce, «avreste per caso della burrata? Di quella buona. Di quella che si apre e si lascia andare» Marco annuì piano. Quando si voltò per prenderla dal frigo poco più in là, era come se il suo corpo parlasse al posto suo. Prese la burrata con delicatezza – la sacca bianca tesa, lucida, quasi viva – e la posò dentro una confezione di plastica con un gesto lento. L’uomo, avvicinandosi alla zona dei formaggi, trattenne il sospiro e si passò la lingua sul labbro superiore, assicurandosi che il salumiere potesse osservarlo. Marco rimase di sasso.
Fu quello il momento. Il punto in cui tutto ciò che fino ad allora era stato gioco di sguardi e doppi sensi diventò una richiesta carnale, inevitabile.
«Se vuole, però» disse Marco, «posso prenderle quella più fresca. È in magazzino.» Lo disse con naturalezza, ma gli occhi erano già una garanzia di ciò che sarebbe accaduto. L’uomo sorrise. «Allora mi accompagni, da questo lato. Entrarono nel magazzino senza farsi vedere, era una zona interdetta ai clienti: una porta battente, un corridoio breve, odore di salumi e formaggi. La luce era più bassa, più morbida, come se quel posto fosse stato costruito apposta per custodire segreti. Marco appoggiò la burrata su un bancale. Le loro figure, vicine, parevano due linee destinate a congiungersi.
«È questa quella che voleva?» mormorò Marco, avvicinandosi. «Dipende» rispose l’uomo, che ora aveva un nome – Luca – «me la fa sentire?»
Le parole restarono sospese, come caciotte a stagionare.
Marco prese la burrata, la sollevò con entrambe le mani e la osservò insieme a lui. La sacca tremava leggermente, il cuore cremoso pronto a rompersi al minimo tocco.
«È morbida…» sussurrò Luca.
«Sì.»
«Il latte scivola tra le dita, vero?»
«Sì.»
Non serviva altro.
Marco posò la burrata, ma le sue dita indugiarono sul collo del cliente, accarezzandolo come se tra le mani avesse una crema idratante. Luca seguì quel movimento con lo sguardo, lento, ardente. Quando rialzò gli occhi, la burrata non era più solo un alimento. Era un’idea. Una metafora. Un’arma di seduzione.
«Sa,» disse Luca, «lei ha un modo di maneggiare i prodotti da vero esperto.»
«E lei ha un modo di guardarmi… che mi fa venire voglia di sporcarmi le mani sul serio.»
Sorrisero. Le distanze evaporarono.
Luca fu il primo a muoversi: afferrò la nuca di Marco e lo baciò con una fame trattenuta troppo a lungo. Un bacio bagnato, profondo, che sapeva di culatello e desiderio represso. Marco rispose spingendolo contro il bancale, le mani sporche di latte che già slacciavano bottoni, strappavano stoffa, cercavano pelle.
Si spogliarono in fretta, camicie che cadevano sul laminato, pantaloni abbassati con l’urgenza di fare fretta. Non volevano essere scoperti, forse. Il cazzo di Marco era già duro, spesso, venoso come un salame di prima scelta; quello di Luca più lungo, elegante, con la cappella lucida di precum.
Marco prese la burrata di nuovo. Con un gesto lento, quasi religioso, ne stracciò la pelle. Il cuore cremoso esplose tra le sue dita, bianco, denso, ma pronto a scaldarsi contro la pelle del maritino voglioso. Ne raccolse una manciata e la spalmò sul petto di Luca, disegnando linee lente che colavano sui capezzoli. Luca si inarcò all’indietro, assalito da un brivido di godimento. «Cazzo, sì…» gemette.
Marco continuò: portò la crema alla bocca di Luca, gliela fece assaggiare dalla punta delle dita. Luca succhiò avidamente, leccando, mordicchiando, gli occhi chiusi in estasi. Poi Marco ne prese dell’altra e la avvolse intorno al proprio cazzo, masturbandosi piano davanti a lui, la burrata che scivolava come il lubrificante più osceno e più puro che avessero mai usato.
Luca si girò di sua iniziativa, si chinò sul bancale, le mani aperte sul legno grezzo. Offrì il culo sodo, teso, già lucido di sudore. Marco non aspettò. Raccolse altra burrata, la scaldò tra i palmi, poi la spinse tra le natiche di Luca, spalmandola generosamente sull’ano stretto. Un dito entrò facilmente, poi due, poi tre, la crema che facilitava tutto, che rendeva ogni movimento bagnato, viscido, indecente.
«Fottimi,» sussurrò Luca, la voce rotta. «Fottimi con quella burrata dentro.» Marco si posizionò, la cappella gonfia premette contro il buco morbido e cremoso. Spinse. Entrò di colpo, fino in fondo, strappando a Luca un grido che era metà dolore, metà liberazione. Il calore del culo, la viscosità della burrata, il profumo di latte e sesso che riempiva il magazzino: tutto era perfetto.
Scopò con ritmo crescente, i fianchi che sbattevano contro le natiche di Luca, la burrata che schizzava a ogni affondo, colando sulle palle, sul pavimento, sui loro corpi. Luca si masturbava furiosamente, il braccio teso, i gemiti che si facevano sempre più animaleschi.
«Vengo… cazzo, Marco, vieni dentro…»
Marco afferrò i fianchi di Luca con entrambe le mani, lo tenne fermo e diede le ultime spinte violente, profonde. Vennero insieme: Luca schizzò sul bancale in lunghi fiotti bianchi che si mischiavano alla burrata ormai a terra, Marco si svuotò dentro di lui con un ruggito basso, il seme che si univa alla crema in un’unione sacrilega e perfetta.
Rimasero così un istante, ansanti, uniti e unti, la burrata ormai ridotta a una pozza lattiginosa sotto di loro. Poi Marco uscì piano, il cazzo ancora duro che lasciava un filo cremoso tra i loro corpi. Luca si girò, lo baciò piano, questa volta dolce, quasi grato.
«Questa,» sussurrò contro le sue labbra, «è la burrata più buona che abbia mai assaggiato.»
Marco rise, un suono caldo e profondo. «Torna domani, te ne lascio un po’ da parte…»
E nel magazzino, tra cartoni e odore di latte e sborra, la promessa era già scritta.
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