L'oscuro passeggero terza parte

di
genere
etero

Dopo tutta quella passione, dopo le onde lunghe del piacere e il silenzio che ne era seguito, finalmente il corpo di Bea si rilassò. Le membra si fecero pesanti, la mente ancora tiepida di immagini e impulsi. Si alzò dal pavimento con movimenti lenti, come chi ha appena attraversato qualcosa di sacro e segreto, e raggiunse la camera da letto.

Lasciò scivolare la canottiera, si sfilò il tanga e si stese nuda sul lenzuolo fresco. Non c’era bisogno di coperte. Il calore era tutto dentro di lei.

Chiuse gli occhi.

E il sonno la prese subito, ma non fu un sonno pacifico.

Le immagini si sovrapponevano, confuse, frammentate. Morbide, violente, sensuali e distorte. Non era più in grado di distinguere chi fosse. In un momento si ritrovava con le mani legate dietro la schiena, il volto premuto contro un albero coperto di muschio, il respiro che rimbalzava contro la corteccia. In un altro era stesa, le braccia trattenute sopra la testa, le ginocchia aperte e qualcuno — o più d’uno — che la esplorava, la prendeva, la scomponeva con lentezza e decisione.

Non riusciva a parlare. Non voleva.
Il piacere saliva, saliva ancora.
E nel sogno… le sembrava di non appartenersi più.

Era una cosa, un dono, un corpo da usare.

E nel mezzo di quel vortice, la voce.

Quella stessa voce, morbida e tagliente.
Quella donna.

— «Troia…»

Solo un sussurro.
Ma bastò.

Bea si svegliò di colpo. Di scatto.

Il cuore in gola. Il respiro spezzato. Il sudore freddo sulla schiena. Le lenzuola in disordine sotto di lei, e un’umidità precisa tra le cosce. Il corpo le pulsava, ogni fibra ancora vibrante, come se il sogno non fosse finito davvero. Come se l’avesse seguita anche nel risveglio.

Aveva avuto un orgasmo. Nel sonno.
La pelle ne portava ancora il segno.

Si portò una mano alla fronte, cercando di capire.
Il respiro ancora irregolare. Il buio intorno.

E nella mente, nell’orecchio, come se qualcuno gliel’avesse sussurrata solo un attimo prima…

“Troia.”

Sussurrata. Intima. Inconfondibile.

Il bicchiere si riempì d’acqua sotto la luce fioca della cucina. Bea lo portò alle labbra e bevve lentamente, in piccoli sorsi, sentendo il liquido fresco scendere giù per la gola ancora arsa. La casa era immersa nel silenzio assoluto, tagliato solo dal canto regolare dei grilli, fuori. Il frinire sommesso sembrava un sussurro continuo, ipnotico, come se la natura stessa stesse vegliando su di lei. O, forse, la stesse avvisando.

Era nuda. La pelle ancora umida, le cosce ancora segnate.
Ogni passo tra il letto e la cucina era stato un eco silenzioso del sogno appena spezzato.
Ogni battito del cuore un promemoria.

Ma non era solo il corpo a esserle cambiato.
Era qualcosa di più profondo.

C’era una percezione nuova, precisa, nitida.
Qualcosa dentro di lei.

Un’ombra viva. Un inquilino silenzioso che aveva trovato spazio tra le sue certezze, scavando piano, senza farsi notare… fino a ora. Lo sentiva lì, tra lo sterno e il ventre, non come un peso, ma come una presenza. Un passeggero oscuro. Un’altra parte di lei, finalmente emersa dal fondo.

Non aveva un volto, né un nome, ma aveva voce.
Era la voce che aveva sussurrato “troia” nel sogno.
La stessa che l’aveva spinta ad accettare. A godere.
A lasciarsi andare a ciò che, solo fino a pochi giorni prima, le sarebbe sembrato impensabile.

Non era posseduta. Era liberata.

E quella parte, quel passeggero oscuro, non voleva amore.
Non cercava dolcezza, né legami, né protezione.

Voleva solo piacere.
Crudo. Puro. Carnale.
Senza compromessi, senza giustificazioni.
Senza moralità.

Era l’istinto. L’anima bestiale dell’essere umano.
Era la fame che si libera del suo stesso pudore.

E lei, Bea… non lo temeva.
Lo riconosceva. Lo accoglieva.

Perché dentro di sé sapeva una verità che nessuno poteva più toglierle: quella parte era sempre stata lì. Solo che ora aveva smesso di nasconderla. Non era più spettatrice. Ora guidava.

Bea appoggiò il bicchiere nel lavello con un lieve tintinnio.

Il battito del cuore era tornato regolare.
Il respiro, calmo.
Gli occhi, sereni.

La consapevolezza del suo nuovo compagno di viaggio non la spaventava.
La tranquillizzava.
L’accompagnava verso il ritorno al letto.

Si stese di nuovo tra le lenzuola. Il buio le sembrava più denso, ma non ostile.
Era solo una nuova casa.
Un nuovo silenzio.
Un nuovo inizio.

Il passeggero si era seduto accanto a lei.
Silenzioso. Vigile.
Pronto a condurla verso ciò che nessuno avrebbe osato immaginare.

E con lui… Bea si addormentò.

Quando aprì gli occhi, la luce del mattino era già entrata dalla finestra, morbida, ancora dorata. Bea rimase distesa un istante, in ascolto. Il suo corpo… era in pace.

Nessuna tensione, nessun rimorso. Il battito regolare, la pelle calda ma quieta, la mente limpida come l’acqua di un lago all’alba. Si sentiva lucida, serena, decisa. Come se la notte avesse chiuso un cerchio e lei si fosse risvegliata in equilibrio con la parte più profonda — e finalmente riconosciuta — di sé.

Si alzò senza fretta, nuda. Il passo era naturale, morbido, consapevole.
Oggi sarebbe tornata nel bosco.
Ma sapeva che non avrebbe solo corso.

Se l’occasione si fosse presentata — e in fondo lo sapeva già — non si sarebbe tirata indietro. Non avrebbe analizzato, frenato, chiesto.
Avrebbe preso.
Guidata da chi, da giorni, camminava accanto a lei.
Il passeggero oscuro.
Non un’ombra, non un istinto cieco. Ma una presenza reale, silenziosa, fedele. Il compagno di viaggio che le aveva mostrato la strada verso sé stessa.

Andò in bagno e si lavò con attenzione. Gesti lenti, profondi, consapevoli. Non era solo cura del corpo, era rispetto. Preparazione.
Rito.
Una forma di obbedienza a quella parte di sé che ora conduceva.

Poi si vestì.

Un tanga sportivo, aderente, leggero. I leggings da corsa neri le avvolsero le gambe e i glutei con precisione, disegnandole il corpo come se fossero stati cuciti addosso. Poi il reggiseno sportivo, essenziale, non imbottito, che le conteneva il seno senza nasconderne la forma. I capezzoli tesi si delineavano netti sotto il tessuto.

Raccolse i capelli in una coda alta, lo stesso gesto, la stessa posizione del giorno prima. E le stesse scarpe da corsa, ben strette, con il doppio nodo. Tutto al suo posto. Come una ripetizione voluta. Come un richiamo.

Guardò fuori dalla finestra. L’aria del mattino era chiara, promettente.

Poi uscì.

Camminò a passo svelto per qualche minuto, sentendo il corpo risvegliarsi con fluidità. Il sole già tiepido le baciava le guance. Ogni muscolo si tendeva, rispondeva. Il fiato si fece più profondo.
Poi cominciò a correre.

Ogni falcata era decisa. Ogni passo un’avanzata.

Non correva per allenarsi.
Non correva per fuggire.
Correva verso qualcosa.

Verso il bosco. Verso la radura.
Verso ciò che oggi l’attendeva.

E accanto a lei, silenzioso ma presente, correva anche il passeggero oscuro.

Complice.
Presente.
Sorridente.

Il ritmo della corsa aumentava. Non se ne accorse subito, ma falcata dopo falcata, il corpo accelerava. Come guidato da un’urgenza sottopelle. Come se qualcosa, là, la stesse chiamando.

Le gambe si facevano più elastiche, il fiato più intenso, ma regolare. Le braccia si muovevano in sincrono, leggere, efficaci. Ogni parte di lei sapeva dove stava andando.

Entrò nel bosco. Le chiome degli alberi si allungavano sopra di lei come un tetto verde che filtrava la luce in lame dorate. Il canto degli uccellini le accompagnava il passo, le cicale frinivano nascoste tra le foglie, alcuni scoiattoli attraversavano i rami sopra la sua testa con scatti rapidi.

La corsa era silenziosa.
Solo il suo respiro, profondo e costante.
Solo il contatto ritmico delle scarpe sulla terra.
Come un battito, come un richiamo.

Riconosceva ogni curva del sentiero, ogni pietra, ogni albero.
I luoghi erano gli stessi… eppure sembravano diversi.

I colori più accesi, saturi. I verdi più verdi, i marroni più caldi.
I profumi più densi: muschio, resina, corteccia scaldata dal sole.
L’aria sembrava vibrare.

Le sue falcate diventavano più ampie, più forti. Non correva più: volava.
E poi, eccolo.

L’albero.

Quello stesso tronco dove si era nascosta.
Quello stesso punto in cui il mondo aveva cominciato a cambiare.

Rallentò. Il cuore martellava, ma non in affanno.
Regolò il respiro.
Si avvicinò al tronco e si appoggiò con il palmo alla corteccia, calda, ruvida.

Si fermò.
Solo il leggero fischio nelle orecchie, effetto della corsa intensa.
Il bosco sembrava… immobile.

Nessun rumore.
Nessuna voce.
Nessun respiro, tranne il suo.

Fece un passo oltre, varcando il limite degli alberi.

La radura era lì. Ampia, silenziosa, luminosa.

Osservò il terreno: in certi punti, l’erba era ancora schiacciata. Segni.
Tracce di ciò che era accaduto il giorno prima.
Una parte di lei sorrise.

Ma non c’era nessuno.

La realtà la colpì come una brezza fredda.
Le spalle si abbassarono appena.
Il capo si inclinò.

Cosa si era aspettata?
Cosa aveva creduto?
Aveva corso verso un sogno che non si era presentato.
Un pensiero le attraversò la mente come una lama sottile: "Per nulla."

Poi, un fruscio.

Leggero. Quasi irreale. Ma sufficiente.

Una mano si chiuse sulla sua bocca.
Un’altra, rapida e sicura, si impadronì del suo seno, lo afferrò con forza.
Un corpo la bloccò da dietro. Forte, saldo.
Il respiro caldo sulla nuca.

Poi la voce.

Femminile. Intima. Implacabile.

— «Troia.»

Il panico la travolse in un istante, violento e istintivo. Il corpo reagì prima della mente: tentò di divincolarsi, si agitò, le mani si piegarono a cercare una via di fuga, ma fu tutto inutile. La donna la teneva stretta da dietro, con una forza sorprendente, precisa, decisa. Il braccio sul busto, l’altra mano ancora salda sul suo seno, dita affondate nella carne.

Il cuore di Bea impazziva nel petto.

Davanti a lei, come emersi dal nulla, apparvero i due uomini del giorno prima.
Il Lungo e il Largo.

Non per come apparivano, ma per ciò che portavano con sé.
Il primo, sottile, proteso, come una lama lucida.
Il secondo, più spesso, più pieno, minaccioso nella sua stazza.

Erano già eccitati.
Nudi davanti a lei, le mani che accarezzavano i propri membri con lentezza, gli occhi fissi su di lei, affamati.

Il terrore le dilatava gli occhi.
Le gambe tremavano.
Un respiro spezzato le si bloccò in gola.
La mente gridava: Non così. Non adesso.

— «Adesso non scappi più…» sussurrò la donna alle sue spalle, con voce calda, sadica. Quasi materna nella sua crudeltà.

Bea sentì la disperazione salire.
Una raffica di domande, di incertezze, di paura grezza, animale.

Ma fu proprio in quell’abisso che accadde qualcosa.
Qualcuno.
Lui.

Il passeggero oscuro.

Non solo un pensiero.
Non solo un istinto.
Ma una presenza.

Accanto a lei. Dentro di lei.
La sentì fisicamente, come un’ombra avvolgente che le prendeva la mano, che si sedeva accanto al suo cuore agitato.

— «Calmati.»
— «Godi tutto.»
— «È quello che vuoi.»

La voce era calma, profonda.
Non imponeva. Guidava.
— «Prendi. A piene mani. Oggi nasci davvero. Oggi… tu sei Dea.»

Un fremito le attraversò la spina dorsale.
Un’ondata calda, dall’inguine al petto.
E poi… tutto si placò.

Il panico scomparve.
La paura si dissolse.

Il corpo smise di resistere.
Bea smise di essere.

E Dea prese il suo posto.

La bocca si curvò in un sorriso lento, carnale.
Le mani, che prima cercavano di fuggire, si alzarono con grazia.
Una carezza lungo il fianco della donna, poi sulla curva dei glutei, poi su un seno pieno, caldo. La toccò come si accarezza una cosa desiderata da sempre.

Si voltò leggermente. Gli occhi brillavano.

— «E chi vuole scappare?»

Poi, guardò i due uomini davanti a sé, altezzosa, famelica, viva.

— «Ma siete sicuri… di averne abbastanza per me?»

Era cambiato tutto.
Ora era lei a scegliere.
A guidare.
A concedersi.

Non come oggetto.
Ma come fuoco.
Come potere.

Dea era nata.
E Dea cominciava a godere della sua nuova vita.
Una vita dove il desiderio non si mendicava. Si imponeva.

Basta passività.
Basta limiti.
Basta vergogna.

Ogni fibra del suo corpo vibrava.
Ogni sguardo era una promessa.
Ogni gesto… un atto di volontà.

Dietro di lei, il passeggero oscuro taceva.
Ma sorrideva.

Spero che vi stia piacendo, come per la scorsa serie prediligo l'approccio mentale e non quello fisico per la descrizione dei miei racconti. Se avete commenti li leggerò volentieri qui o via mail a mogliemonella2024@gmail.com
scritto il
2025-05-12
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