Indovinelli Popolari Osceni
di
Jan Zarik
genere
comici
Quella che proverò a raccontarvi è una fiaba. Un racconto vero nella sua essenza ma falso nella sua consistenza. La consistenza non è argomento di cui i siciliani si prìano [Trad: si vantano]. La vera passione di un siciliano è l’antefatto, la circostanza, la cosa nascosta, il dubbio, l'intesa e l'ambiguità.
La realtà? La concretezza? Tutte minchiate! Se vieni in Sicilia e gusti un cannolo con la ricotta (di pecora, per i puristi) non sei sazio, piuttosto sei arricrìato, cioè ti sei rigenerato internamente, ti sei rinnovato spiritualmente. Ogni situazione va a doppio binario con i Massimi Sistemi e contemporaneamente con i pensieri più spiccioli, minuscoli e mondani. Il lavoro? Non esiste lavorare e basta, esiste vuscàrsi u pani [guadagnarsi il pane], il che per lo più si afferma quando fai qualcosa che porta vanto al tuo onore di donna, di uomo e perfino di picciliddru [bambino], non riferendosi dunque solo a un mero guadagno economico.
Cionondimeno, tutto quello che troverete narrato qui è verità e bisogna pertanto fidarsi. Basta solamente che ognuno di voi, volendo prendere in prestito un concetto caro a Pirandello, ne estrapoli la verità che più gli si addice. Chi glielo doveva dire, per esempio, a donna Teresa, giovane umile ma a suo modo rigogliosa e tutta d'un pezzo, che quelle celebri oscenità raccolte del famoso storiografo Giuseppe Petralia erano in verità profonde e illustrissime argomentazioni di tradizione popolare? Chi glielo doveva dire alla signora Giovanna, di anni cinquantadue ma non nella mente, che l'esperienza, in alcune circostanze, non può bastare ad evitare determinate conseguenze?
«Beddamatri, Donna Giovanna, beddamatri! [lett. “bella madre” da intendersi come esclamazione di sgomento, sorpresa.]»
«Che successe, Teresina?»
«Avete presente quel signore ben vestito, che viene dalla città?»
«Certo che ce l'ho presente, il buono e caro signor Petralia. Una persona di tutto rispetto...»
«Ma quando mai, donna Giovanna! Il rispetto non è cosa del signor Petralia. Semmai, è un maniaco.»
«Ma che dici, Teresina?»
«Glielo giuro sulla tomba di me màtri.»
«Che ti capitò? Che ti combinò? Parla, figlia mia!»
«Ancora male mi sento, quasi da cadere per terra!»
Teresa si accomodò su una sedia in vimini, donna Giovanna preparò un po’ di tisana d’alloro che fungeva da buon rimedio per gran parte dei malanni. A seguire, iniziò il racconto.
«Capitò che stamattina ero al mercato per accattàri le verdure perché era mia intenzione fare una bella caponata di milinciani [melanzane]. Il signor Garofalo aveva il sedano bonu e i capperi venuti direttamente da Ustica, chiddi nichi [piccoli], belli belli. Tornando a noi, voi conoscete la signora Violante?»
«La moglie del Prefetto. Certamente!»
«Esatto. Ebbene, noi lo sappiamo che è una bella donna, elegante, che nasconde bene l'età che porta. Che c'entra tutto questo, direte voi…? Io e la signora ci siamo incrociati proprio nel momento di scegliere le melanzane perché doveva fare una caponata macàri lei [anche lei]. La signora era sul punto di pagare le tre lire al Garofalo quando, a un certo punto, comparve il signor Petralia, si tolse il cappello e si inchinò salutando sia me che la Signora Violante.»
«E fin qua non vedo nulla di strano…»
«Ma che cosa dite, donna Giovanna! Il guaio viene subito dopo!»
«E allora invece di runziarvela [dilungarvi] raccontatemi alla svelta!»
«A un certo punto il Petralia - grandissimo sdisonorato che non è altro - parlò e pronunciò delle oscenità in pubblico!»
«Ah! E che disse?»
«Non glielo saccio ripetere, donna Giovanna. Troppo male mi sento, a pensarci!»
«Tu provaci, Teresì, con me, tutto puoi dire.»
«Pronunciò queste esatte parole:
Donna Viulanti, cche natichi tranti, cappeddu virdi e bistita viulanti!»
[Donna Violante, con le natiche sode, cappello verde e veste viola].
«Ah!»
«Capisce il porco, cosa ha detto? Un porco e vastàsu [spregevole, volgare], quel Petralia.»
«Ma che dici, Teresì, il sig. Petralia ha dato un semplice suggerimento per gli acquisti.»
«Ma come, Donna Giovanna! Un suggerimento? Con le natiche? Iddu taliava [egli guardava] il culo alla moglie del prefetto!»
Donna Giovanna posò una mano sulla spalla di Teresa per rassicurarla.
«Teresì. Ora ti spiego. Il Petralia non intendeva offendere la signora Violante. Voleva solo suggerirle quali melanzane scegliere...»
«Ma come?»
«Eh, facile! La donna Violante è la moglie del prefetto. Fin qui tutto chiaro?»
«Certo.»
«E come era vestita?»
«Un bell’abito bianco, leggero, con dei merletti dolci e una piccola mantellina di seta rossa.»
«Sei sicura che non portasse macàri un cappello verde? O ti sia sfuggita una veste color violetto?»
«No signora, non le portava!»
«Perfetto, Teresì. Purtroppo, a quella povera cristiana, capitarono due disgrazie nella vita: La prima era essere moglie di quel curnùtu del prefetto, la seconda era chiamarsi 'Violante'. Quindi, figurati se con quel nome che si ritrova poteva scegliere di proposito di vestirsi pure di viola! Sarebbe stato il colmo!»
«E quindi? Dove vorreste andare a parare?
«Quella del signor Petralia era semplicemente la descrizione delle melanzane nostrane. Quelle più belle, con cui si fa la migliore caponata di tutte. Sono tutte viola scuro, mentre il cappello è di tonalità verde un po’ tendente al violaceo e quando le palpi devono essere sode, proprio come una natica in carne, se sono troppo dure significa che sono amare, se sono troppo morbide si sminchiano tutte dopo la cottura. Ora hai capito?»
«Ah... quindi il Petralia voleva a senso suo consigliare la signora su quali melanzane acquistare?»
«Precisamente.»
Teresa, qualche giorno dopo, pur essendo stata rassicurata dalla signora Giovanna, cercò di non pensare a quel fattaccio. Eppure, le circostanze fecero in modo che un altro evento burrascoso le capitasse sulla via di casa. Si ritrovò davanti una bancarella che vendeva libri usati. Era gestita da un garzone di quindici anni che aveva scelto la cultura al posto della raccolta delle olive. Amante della lettura, Teresa, non perse tempo e si immerse nella ricerca di titoli altisonanti e interessanti. D'un tratto, Giuseppe Petralia giunse alle spalle di Teresa. Con fare garbato e sempre impeccabile fece il suo inchino e tolse il cappello. Teresa lo taliò e con fare altrettanto garbato, nonostante l'imbarazzo, replicò al saluto. A quel punto, il Petralia parlò.
«La ma' signura ccu li cosci stisi, stisi comu ru' pampini ri rrosi, lu gghiuvinieddu ca cci appizza 'mprisi, cci appizza lu tiempu ca ci voli.»
(La mia signora con le cosce distese, distese come due petali di rosa e il giovinetto che si cimenta e vi perde il tempo necessario)
Teresa ammutolì e non seppe replicare. Era quasi presa da una strana calùra (uno strano calore) che la riempì fin dentro le sue intimità. Corse subito dalla signora Giovanna per raccontarle il misfatto, lacrimante e quasi addolorata.
«Ma che sogni ti fai, Teresì?» sentenziò lapidaria Giovanna.
«E che avrebbe dovuti significare, altrimenti? Lui si riferiva alle mie cosce, al cento per cento, glielo giuro!»
«Ma quando mai! Tu ti sei fissata col Petralia! Per caso, era la bancarella di Ginuzzu?»
«Certo! Ginuzzu u sturiusu (Ginuzzo lo studioso)!»
«Quindi è facile da capire...! Come puoi sbagliarti? Il Petralia ti stava confidando che quel bravo picciotto, figlio di contadini ignoranti, era talmente dedito e ostinato da fare della sua passione un lavoro!»
«E che c’entra la passione di Ginuzzo?»
«Ora ti spiego: Il giovanotto “che si cimenta” a cui il Petralia si stava riferendo è proprio Ginuzzu in persona, poiché lui legge assai libri. Ha una cultura vasta pur avendo solo quindici anni! Le cosce distese di cui parlava il Petralia sono le pagine aperte del libro, che se ricordi bene ricreano la forma di due petali all'interno delle rose. Ora capisci quanto sei babba, Teresa?»
«Ah! Quindi il Petralia non voleva intendere le mie cosce?»
«Te l’ho detto mille volte. Giuseppe Petralia è un gentiluomo. Al massimo, se arrivasse a pensare alle tue cosce, questo sarebbe solo perché tu, sdisonorata maliziùsa, gliele fai vedere!”
«Ma non farei mai una cosa del genere, donna Giovanna! Per chi mi ha preso?»
«E com’è possibile che te lo sogni la notte, allora?»
Era vero. Teresa ormai non riusciva più a dormire sogni tranquilli, poiché costantemente sovrappensiero. Quel Giuseppe Petralia, il celebre storiografo che veniva dalla città, la ossessionava perfino nel sonno. Una mattina d’estate, Donna Giovanna decise di andare poco fuori città, dove iniziava la vasta campagna in parte incolta e selvaggia, per andare a raccogliere dei fichi d'India. Ad accompagnarla, la giovane Teresa sempre al suo fianco per apprendere tutto quello che poteva apprendere. La tradizione vuole che i fichi d'india vadano colti da mani esperte e trattati con rispetto, altrimenti le spine sono inevitabili. Giovanna coglieva fichi d’india da quando aveva l’età di Teresa, e forse qualche anno più giovane; sapeva dunque come evitare le spine. Da lontano, in mezzo al nulla, come se fosse un miraggio, apparve a un certo punto, quasi distorto dal riverbero dei forti raggi di sole sulla terra arida, un signorotto ben vestito. Era Giuseppe Petralia. Teresa ammutolì e cerco di tirare la veste di Donna Giovanna, come ad avvertirla. Donna Giovanna si girò, vide il Petralia e molto cordialmente salutò accompagnando con un gesto della mano.
«Buongiorno, signor Petralia! Che ci fate da queste parti? Come sta?»
Nel frattempo, Teresa era in disparte e osservava, ancora risentita e lievemente guardinga.
«Benissimo, Signora Giovanna. In verità, raggiungo la mia dimora!»
Disse, mentre indicava un casolare un po’ più in là, in cima alla collina.
«Ah! Ma quindi, questa è terra sua, adesso?»
Chiese Donna Giovanna, improvvisamente allarmata per il disguido, essendo quindi stata colta in flagrante mentre raccoglieva frutti da una proprietà privata!
«Si figuri, signora! Non c’è nessuno che raccoglie per mio conto, quindi il grosso andrebbe lo stesso perduto! Andavate per ficodindia, dunque?»
La donna annuì, con lieve imbarazzo.
«Ahi Ahi, Gesù! Spogliati ca ti vasu!»
(ahi ahi, Gesù, spogliati che ti bacio)
«Ah-ha! Ci siamo capiti, Signor, Petralia! Le prometto che non appena finisco con questa, assaggerà di persona!»
Teresa, al sentire quel surreale dialogo, si sconvolse. Non poteva crederci.
«Donna Giovanna! Lei mi vuole forse fare uscire pazza? Ma come può consentire quello scambio di sconcerie? Cioè, basta che un uomo le chieda di spogliarsi e lei acconsente?»
«Ma no, Teresì, ti fai troppe fantasie! Come puoi pensare una cosa del genere! Il signor Petralia, giustamente, ci ha visto cogliere i ficodindia della sua proprietà e ci ha chiesto la cortesia di fargliene assaggiare uno appena colto!»
«Ma scusi! Io ho sentito distintamente la richiesta di farla spogliare! Come poteva parlare dunque del fico d'india?»
«Sei troppo ingenua, Teresì. Te l'ho spiegato mille volte: Il fico d'india è camurriùsu (tenace, coriaceo) e per mangiarlo bisogna prima “spogliarlo” della scorza. Soltanto dopo averlo sbucciato correttamente si può mangiare. Ora hai capito?»
«Quindi... il Petralia voleva “spogliare” i fichi d'india?»
«Da buongustaio qual è, mi sa proprio di sì! Gli ho quindi promesso che una cascia dei ficodindia più dolci l’avrei conservata per lui, così è contento!»
Il Petralia era stimatissimo in quella comunità. Tutti gli volevano bene e lo rispettavano. Teresa, invece, era diventata insofferente. Tutto quello che usciva dalla bocca di Giuseppe Petralia, lo stimato storiografo, si tramutava per lei in oscenità. Pochi giorni a seguire, un sabato sera già inoltrato, Teresa andò a messa. I troppi pensieri e le bizzarre stranezze che affollavano il suo corpo e il suo animo richiedevano una pace che non riusciva quasi più a placare con la fede. Era praticamente sola, quella sera, nella chiesa. Raccolse un cero e dunque lo accese. Dopodichè, recitò una preghiera. Nel momento in cui stava riponendo la scatola di fiammiferi nell’apposito cassettino, udì, vicinissima, una voce proveniente da una figura seduta nella panca dietro la sua. Era, neanche a farlo apposta, il Petralia.
«O scuru, 'o scuru, mu stricu 'nto muru.»
(nel buio fitto, me lo strofino al muro)
Teresa era di nuovo avvampata [infiammata, accaldata]. Nell’imbarazzo, era indecisa se mollare un ceffone sul volto del disgraziato oppure se correre via, lontano da quelle assurde oscenità. Tuttavia, la sua ossessione era ormai diventata tale per cui le fu impossibile allontanarsi da quel surreale momento di perdizione, inoltre sentiva uno strano senso di calore partire dal basso inguine. Un disagio che non avvertiva solo come un disagio. Avrebbe preferito non provare nulla di tutto questo, eppure lo provava. Un calore umido che le fece scordare rapidamente la preghiera che stava recitando. Nel frattempo, iniziò la messa. Cercò dunque di distogliere i pensieri e pregare. Teneva in mano il Rosario. Chiuse gli occhi e recitò la formula sacra. Nel frattempo, sentiva Petralia da dietro che sussurrava:
«Un vecchiu, a menzu li gammi, longa l'avia e la muvìa»
(un vecchio, in mezzo alle gambe, lunga ce l'aveva e la muoveva.)
Lei era presa ormai da un calore indomabile. Stava prendendo fuoco con tutta la veste. Non poteva stare in quel modo, non dopo quelle parole! Decisa a spostarsi, si alzò e si parò in prima fila, davanti al sacerdote. Proprio quella sera, a celebrare messa, era venuto il Vescovo in persona, poiché il parroco era malato e la messa andava comunque cantata da qualcuno. Se non avesse saputo chi aveva davanti, avrebbe comunque capito che si trattava di un Vescovo, poiché teneva una quantità incredibile di orpelli e gioielli intorno al collo e sulle braccia, nonché dei grossi anelli sfarzosi. Teresa sapeva benissimo che quello era lo sfarzo necessario proporzionale alla devozione. Il vero valore della fede! Non fece nemmeno in tempo di finire quella santa riflessione che il Petralia si avvicinò nuovamente e le si sedette accanto. Egli a quel punto, non curante del fatto che Teresa tremava tutta, sussurrò:
«Monsignori l'avi grossu, lu Papa cchiù di cchiù, a li fimmini cci piaci e si lu mettinu a tri a dù.»
(Monsignore l'ha grosso, il papa ancora di più, alle donne piace e se ne mettono due o tre alla volta)
Teresa guardò dritta negli occhi del Petralia. Ormai la vampa era incontenibile. Gli prese una mano e la poggiò in mezzo alle proprie cosce. Sfregò con vigore, mentre ancora la messa era in svolgimento. Petralia non si mosse. Non parlò, sembrava ammammaloccuto (shoccato). Teresa si alzò e tirò a sé lo storiografo. Lo portò verso l'ingresso, dietro una delle colonne, lontano dalle panche della navata.
«Signor Petralia, mi tocchi. Non ce la faccio più.»
«Signora Teresa, ma…. ma… perché fate questo? Perché proprio qui?»
«E la smetta, Petralia! Lei ha proprio voluto tirare fuori il diavolo che c'è nelle mie carni! Ha parlato assai [tanto, troppo] e adesso è meglio che rimanga muto! Prenda quello che ha tanto desiderato...»
«Non mi faccia questo, signorina! Non vede dove siamo?»
Disse Petralia mentre inesorabile palpava le morbide mammelle di donna Teresa.
«Mi dica che sono ignobile, che sono fitùsa (sporca), che sono sdisonorata. Questo, io sono!» replicò lei.
Mentre sussurrava tutte queste sconcerie, Teresa strinse in una morsa il Pitré all’altezza del cavallo e lo stritolò così forte da fargli emettere un grido strozzato.
Il vescovo taliò dalla distanza e si interruppe sconvolto.
«Che andate facendo, voi laggiù?»
Petralia si pietrificò, come in una sorta di rispettoso omaggio al nome che aveva ricevuto da suo padre. Teresa, invece, era esattamente come la statua del Bernini in estasi. Sembrava ormai posseduta da forze demoniache e da spasmi isterici.
«Non vi preoccupate…. Ho avuto…un attimo di debolezza di corpo. Mi serviva un po’ d’aria e il signor Petralia gentilmente mi stava dando una mano nel sorreggermi e ricompormi!»
Disse astutamente la giovane, mentre continuava a strusciare, imperterrita, le natiche sul suo ostaggio ringalluzzito. Lo toccò e si fece maniàre dappertutto. Le stesse mani che fino a un momento prima erano state bagnate dall’acquasantiera. Così fu che estirpò la serpe che la divorava da dentro, lasciandosi andare in un urlo quasi espiatorio.
«Signora Teresa! La prego!» Disse il Petralia quasi in procinto di scoppiare, ormai giunto al culmine.
«Zitto Petralia, è lei il porco! E ora lo sugnu macàri io [sono anche io], una porca. Ha capito? Donna Giovanna aveva ragione. Io accussì vogghiu essiri! [Così voglio essere] sentenziò Teresa, ormai fuori di sé.
«E’ una indecenza!» rispose il Petralia, che però non accennava ad allontanarsi dal corpo della fimmina che lo teneva stretto tra le sue grinfie. Teresa accelerò, guardando minacciosa e vogliosa quel povero cristiano indifeso, in un crescente senso di disagio e sbigottimento generale.
«Ora ha capito? Siamo porci entrambi. Lei, con le sue allusioni e i suoi giochetti! Le sue allegorie enigmatiche. E io, nel frattempo, che impazzisco! Petralia! Che lei sia maledetto!»
«Oh Gesù!» esclamò il Petralia finchè non venne dentro i pantaloni, inesorabile, fragoroso, scomposto.
Teresa avvertì il silenzio ripiombare magniloquente. Guardò dunque nella direzione della navata centrale, verso il Vescovo. Tutti stavano fissando lo sguardo nella semioscurità, verso la loro direzione. Petralia, con i pantaloni completamente fradici, iniziò a correre a gambe levate senza voltarsi. Teresa, invece, svenne di colpo.
Quella sera giunse la febbre. Una tremenda febbre che durò per quattro giorni e quattro notti. Donna Giovanna accudiva Teresa con cure amorevoli e materne. Usava i panni umidi e le coperte pesanti.
La ragazza non appena ebbe le forze sufficienti per bere e mangiare, riuscì a pronunciare le prime parole:
«Donna Giovanna, che è successo? Non ricordo nulla.»
«Tranquilla, figlia mia.»
«Che ne è stato del Petralia?»
«Lascia stare, figlia mia. Non è più un problema tuo.»
«Ma dov'è andato? Che ne è stato di lui? Non è venuto a trovarmi, a vedere come sto!» Chiese lei, ancora preda dei deliri di quell’atto peccaminoso.
Donna Giovanna raccontò i fatti esattamente per come si svolsero. Il Petralia, a seguito dell'incresciosa vicenda svoltasi durante la messa del vescovo, giunse a esprimere i propri omaggi a Donna Giovanna, con gli auguri di pronta guarigione nei confronti di Teresa. Dopodiché, la sera stessa partì per il capoluogo, senza mai più mettere piede in paese. Tutti ora sapevano la vicenda, divenuta scandalo: Petralia avrebbe importunato una giovane donna in un luogo sacro e questo fu un fatto di enorme sfregio per la comunità, presso cui il famoso storiografo non era più persona gradita.
«Ma Donna Giovanna, così mi dilaniate! In verità accadde il contrario, poiché fui io stessa presa dal demone evocato da quelle oscene parole che credevo fossero rivolte a me, al punto da lasciarmi andare in voluttà e sconcerìa…»
Donna Giovanna comprendeva lo stato d’animo della povera giovane.
«Cara, dolce e povera Teresa. Io te l'avevo detto che non dovevi farti entrare in testa quelle sporcizie. Te lo dissi oppure no?»
«Lo so, ma le sue parole erano come fuoco dentro di me. Non potevo contrastarle. Perché quell’uomo ha voluto tentarmi in modo così perverso?»
Giovanna, che di anni ne aveva cinquantadue e tanta esperienza, la guardò con teso sguardo ammonitore.
«Durante questi giorni in cui la febbre ti ha fatto delirare, hai ripetuto nell’esatta sequenza tutte le oscenità che credi il Petralia ti abbia rivolto. Riesci a ricordarne qualcuna, adesso?»
«No. Non ricordo proprio nulla.»
«Bene. Te le spiego io. Hai acceso per caso un cero in chiesa?»
«Si, ricordo di aver acceso una candela. Era tutto buio e cercavo di non mettere i piedi in fallo.»
“Bene. Di solito, cosa si fa per accendere le candele? Cosa è che si strica nel muro e piglia foco? Ora l’hai capito, no?»
Teresa ci pensò su. 'O scuru 'o scuru, me lo strofino al muro.
«Il fiammifero?»
«Esattamente. E dimmi un po’, che hai fatto dopo? Hai per caso pregato con il Rosario in mano?»
«Si, donna Giovanna, l'ho fatto.»
«E come è fatto un Rosario, Teresì? Non è forse una lunga corda che viene manipolata di continuo durante le preghiere?»
Teresa era scandalizzata. Lunga ce l'aveva, e la muoveva proprio come aveva pronunciato il Petralia.
«La corona del Rosario! Oh no, Donna Giovanna... quindi era questo?»
«Per l'appunto. E infine, Teresa, quanti gioielli indossava il vescovo?»
«Tanti, donna Giovanna. Troppi gioielli in mano a un solo uomo. Ma questo cosa c'entra con il nostro discorso?»
«C'entra, eccome se c'entra. Teresì. Lo sai a che servono? A fare capire la differenza tra un sacerdote importante e uno che non conta nulla. La differenza che passa tra un vescovo e un papa.»
Teresa a quel punto capì. Monsignore ce l'aveva grosso, il papa anche di più.
«L'anello! Donna Giovanna. L'anello...»
«Brava, Teresì! Ci sei arrivata, finalmente! Gli anelli di solito li mette la donna, no?»
«Appunto.»
«Anche più d'uno, se è il caso. “Ogni tanto due, ogni tanto tre”. Giusto, Teresì?»
Teresa era muta. Donna Giovanna aveva uno sguardo severo ma confidente. La giovane si abbandonò a un pianto intenso, carico di pudore, poi si riaddormentò. Donna Giovanna, che era persona di cuore, riconosceva l’importanza di quella lezione.
In paese, la storia durò da Natale a Santo Stefano, ovvero che tutti presto se ne dimenticarono e proseguirono le loro vite come se nulla fosse mai successo. Il povero Petralia venne ritrovato mesi dopo in una fossa comune, nelle campagne lontane, derubato e abbattuto da un singolo colpo di lupàra. La sua gentilezza venne ricordata dai più colti e dai più longevi come una rarità per pochi. La sua saggezza fu tramandata nella tradizione orale di un popolo intero. Molti giovanotti ripresero a frequentare ben volentieri la chiesa del paese, nella speranza che l'omelìa fosse accompagnata dalle delicate interpretazioni di donna Teresa, stimatissima e pudicissima donzella dal cuore grande e dagli ancor più grandi desideri ardenti.
La realtà? La concretezza? Tutte minchiate! Se vieni in Sicilia e gusti un cannolo con la ricotta (di pecora, per i puristi) non sei sazio, piuttosto sei arricrìato, cioè ti sei rigenerato internamente, ti sei rinnovato spiritualmente. Ogni situazione va a doppio binario con i Massimi Sistemi e contemporaneamente con i pensieri più spiccioli, minuscoli e mondani. Il lavoro? Non esiste lavorare e basta, esiste vuscàrsi u pani [guadagnarsi il pane], il che per lo più si afferma quando fai qualcosa che porta vanto al tuo onore di donna, di uomo e perfino di picciliddru [bambino], non riferendosi dunque solo a un mero guadagno economico.
Cionondimeno, tutto quello che troverete narrato qui è verità e bisogna pertanto fidarsi. Basta solamente che ognuno di voi, volendo prendere in prestito un concetto caro a Pirandello, ne estrapoli la verità che più gli si addice. Chi glielo doveva dire, per esempio, a donna Teresa, giovane umile ma a suo modo rigogliosa e tutta d'un pezzo, che quelle celebri oscenità raccolte del famoso storiografo Giuseppe Petralia erano in verità profonde e illustrissime argomentazioni di tradizione popolare? Chi glielo doveva dire alla signora Giovanna, di anni cinquantadue ma non nella mente, che l'esperienza, in alcune circostanze, non può bastare ad evitare determinate conseguenze?
«Beddamatri, Donna Giovanna, beddamatri! [lett. “bella madre” da intendersi come esclamazione di sgomento, sorpresa.]»
«Che successe, Teresina?»
«Avete presente quel signore ben vestito, che viene dalla città?»
«Certo che ce l'ho presente, il buono e caro signor Petralia. Una persona di tutto rispetto...»
«Ma quando mai, donna Giovanna! Il rispetto non è cosa del signor Petralia. Semmai, è un maniaco.»
«Ma che dici, Teresina?»
«Glielo giuro sulla tomba di me màtri.»
«Che ti capitò? Che ti combinò? Parla, figlia mia!»
«Ancora male mi sento, quasi da cadere per terra!»
Teresa si accomodò su una sedia in vimini, donna Giovanna preparò un po’ di tisana d’alloro che fungeva da buon rimedio per gran parte dei malanni. A seguire, iniziò il racconto.
«Capitò che stamattina ero al mercato per accattàri le verdure perché era mia intenzione fare una bella caponata di milinciani [melanzane]. Il signor Garofalo aveva il sedano bonu e i capperi venuti direttamente da Ustica, chiddi nichi [piccoli], belli belli. Tornando a noi, voi conoscete la signora Violante?»
«La moglie del Prefetto. Certamente!»
«Esatto. Ebbene, noi lo sappiamo che è una bella donna, elegante, che nasconde bene l'età che porta. Che c'entra tutto questo, direte voi…? Io e la signora ci siamo incrociati proprio nel momento di scegliere le melanzane perché doveva fare una caponata macàri lei [anche lei]. La signora era sul punto di pagare le tre lire al Garofalo quando, a un certo punto, comparve il signor Petralia, si tolse il cappello e si inchinò salutando sia me che la Signora Violante.»
«E fin qua non vedo nulla di strano…»
«Ma che cosa dite, donna Giovanna! Il guaio viene subito dopo!»
«E allora invece di runziarvela [dilungarvi] raccontatemi alla svelta!»
«A un certo punto il Petralia - grandissimo sdisonorato che non è altro - parlò e pronunciò delle oscenità in pubblico!»
«Ah! E che disse?»
«Non glielo saccio ripetere, donna Giovanna. Troppo male mi sento, a pensarci!»
«Tu provaci, Teresì, con me, tutto puoi dire.»
«Pronunciò queste esatte parole:
Donna Viulanti, cche natichi tranti, cappeddu virdi e bistita viulanti!»
[Donna Violante, con le natiche sode, cappello verde e veste viola].
«Ah!»
«Capisce il porco, cosa ha detto? Un porco e vastàsu [spregevole, volgare], quel Petralia.»
«Ma che dici, Teresì, il sig. Petralia ha dato un semplice suggerimento per gli acquisti.»
«Ma come, Donna Giovanna! Un suggerimento? Con le natiche? Iddu taliava [egli guardava] il culo alla moglie del prefetto!»
Donna Giovanna posò una mano sulla spalla di Teresa per rassicurarla.
«Teresì. Ora ti spiego. Il Petralia non intendeva offendere la signora Violante. Voleva solo suggerirle quali melanzane scegliere...»
«Ma come?»
«Eh, facile! La donna Violante è la moglie del prefetto. Fin qui tutto chiaro?»
«Certo.»
«E come era vestita?»
«Un bell’abito bianco, leggero, con dei merletti dolci e una piccola mantellina di seta rossa.»
«Sei sicura che non portasse macàri un cappello verde? O ti sia sfuggita una veste color violetto?»
«No signora, non le portava!»
«Perfetto, Teresì. Purtroppo, a quella povera cristiana, capitarono due disgrazie nella vita: La prima era essere moglie di quel curnùtu del prefetto, la seconda era chiamarsi 'Violante'. Quindi, figurati se con quel nome che si ritrova poteva scegliere di proposito di vestirsi pure di viola! Sarebbe stato il colmo!»
«E quindi? Dove vorreste andare a parare?
«Quella del signor Petralia era semplicemente la descrizione delle melanzane nostrane. Quelle più belle, con cui si fa la migliore caponata di tutte. Sono tutte viola scuro, mentre il cappello è di tonalità verde un po’ tendente al violaceo e quando le palpi devono essere sode, proprio come una natica in carne, se sono troppo dure significa che sono amare, se sono troppo morbide si sminchiano tutte dopo la cottura. Ora hai capito?»
«Ah... quindi il Petralia voleva a senso suo consigliare la signora su quali melanzane acquistare?»
«Precisamente.»
Teresa, qualche giorno dopo, pur essendo stata rassicurata dalla signora Giovanna, cercò di non pensare a quel fattaccio. Eppure, le circostanze fecero in modo che un altro evento burrascoso le capitasse sulla via di casa. Si ritrovò davanti una bancarella che vendeva libri usati. Era gestita da un garzone di quindici anni che aveva scelto la cultura al posto della raccolta delle olive. Amante della lettura, Teresa, non perse tempo e si immerse nella ricerca di titoli altisonanti e interessanti. D'un tratto, Giuseppe Petralia giunse alle spalle di Teresa. Con fare garbato e sempre impeccabile fece il suo inchino e tolse il cappello. Teresa lo taliò e con fare altrettanto garbato, nonostante l'imbarazzo, replicò al saluto. A quel punto, il Petralia parlò.
«La ma' signura ccu li cosci stisi, stisi comu ru' pampini ri rrosi, lu gghiuvinieddu ca cci appizza 'mprisi, cci appizza lu tiempu ca ci voli.»
(La mia signora con le cosce distese, distese come due petali di rosa e il giovinetto che si cimenta e vi perde il tempo necessario)
Teresa ammutolì e non seppe replicare. Era quasi presa da una strana calùra (uno strano calore) che la riempì fin dentro le sue intimità. Corse subito dalla signora Giovanna per raccontarle il misfatto, lacrimante e quasi addolorata.
«Ma che sogni ti fai, Teresì?» sentenziò lapidaria Giovanna.
«E che avrebbe dovuti significare, altrimenti? Lui si riferiva alle mie cosce, al cento per cento, glielo giuro!»
«Ma quando mai! Tu ti sei fissata col Petralia! Per caso, era la bancarella di Ginuzzu?»
«Certo! Ginuzzu u sturiusu (Ginuzzo lo studioso)!»
«Quindi è facile da capire...! Come puoi sbagliarti? Il Petralia ti stava confidando che quel bravo picciotto, figlio di contadini ignoranti, era talmente dedito e ostinato da fare della sua passione un lavoro!»
«E che c’entra la passione di Ginuzzo?»
«Ora ti spiego: Il giovanotto “che si cimenta” a cui il Petralia si stava riferendo è proprio Ginuzzu in persona, poiché lui legge assai libri. Ha una cultura vasta pur avendo solo quindici anni! Le cosce distese di cui parlava il Petralia sono le pagine aperte del libro, che se ricordi bene ricreano la forma di due petali all'interno delle rose. Ora capisci quanto sei babba, Teresa?»
«Ah! Quindi il Petralia non voleva intendere le mie cosce?»
«Te l’ho detto mille volte. Giuseppe Petralia è un gentiluomo. Al massimo, se arrivasse a pensare alle tue cosce, questo sarebbe solo perché tu, sdisonorata maliziùsa, gliele fai vedere!”
«Ma non farei mai una cosa del genere, donna Giovanna! Per chi mi ha preso?»
«E com’è possibile che te lo sogni la notte, allora?»
Era vero. Teresa ormai non riusciva più a dormire sogni tranquilli, poiché costantemente sovrappensiero. Quel Giuseppe Petralia, il celebre storiografo che veniva dalla città, la ossessionava perfino nel sonno. Una mattina d’estate, Donna Giovanna decise di andare poco fuori città, dove iniziava la vasta campagna in parte incolta e selvaggia, per andare a raccogliere dei fichi d'India. Ad accompagnarla, la giovane Teresa sempre al suo fianco per apprendere tutto quello che poteva apprendere. La tradizione vuole che i fichi d'india vadano colti da mani esperte e trattati con rispetto, altrimenti le spine sono inevitabili. Giovanna coglieva fichi d’india da quando aveva l’età di Teresa, e forse qualche anno più giovane; sapeva dunque come evitare le spine. Da lontano, in mezzo al nulla, come se fosse un miraggio, apparve a un certo punto, quasi distorto dal riverbero dei forti raggi di sole sulla terra arida, un signorotto ben vestito. Era Giuseppe Petralia. Teresa ammutolì e cerco di tirare la veste di Donna Giovanna, come ad avvertirla. Donna Giovanna si girò, vide il Petralia e molto cordialmente salutò accompagnando con un gesto della mano.
«Buongiorno, signor Petralia! Che ci fate da queste parti? Come sta?»
Nel frattempo, Teresa era in disparte e osservava, ancora risentita e lievemente guardinga.
«Benissimo, Signora Giovanna. In verità, raggiungo la mia dimora!»
Disse, mentre indicava un casolare un po’ più in là, in cima alla collina.
«Ah! Ma quindi, questa è terra sua, adesso?»
Chiese Donna Giovanna, improvvisamente allarmata per il disguido, essendo quindi stata colta in flagrante mentre raccoglieva frutti da una proprietà privata!
«Si figuri, signora! Non c’è nessuno che raccoglie per mio conto, quindi il grosso andrebbe lo stesso perduto! Andavate per ficodindia, dunque?»
La donna annuì, con lieve imbarazzo.
«Ahi Ahi, Gesù! Spogliati ca ti vasu!»
(ahi ahi, Gesù, spogliati che ti bacio)
«Ah-ha! Ci siamo capiti, Signor, Petralia! Le prometto che non appena finisco con questa, assaggerà di persona!»
Teresa, al sentire quel surreale dialogo, si sconvolse. Non poteva crederci.
«Donna Giovanna! Lei mi vuole forse fare uscire pazza? Ma come può consentire quello scambio di sconcerie? Cioè, basta che un uomo le chieda di spogliarsi e lei acconsente?»
«Ma no, Teresì, ti fai troppe fantasie! Come puoi pensare una cosa del genere! Il signor Petralia, giustamente, ci ha visto cogliere i ficodindia della sua proprietà e ci ha chiesto la cortesia di fargliene assaggiare uno appena colto!»
«Ma scusi! Io ho sentito distintamente la richiesta di farla spogliare! Come poteva parlare dunque del fico d'india?»
«Sei troppo ingenua, Teresì. Te l'ho spiegato mille volte: Il fico d'india è camurriùsu (tenace, coriaceo) e per mangiarlo bisogna prima “spogliarlo” della scorza. Soltanto dopo averlo sbucciato correttamente si può mangiare. Ora hai capito?»
«Quindi... il Petralia voleva “spogliare” i fichi d'india?»
«Da buongustaio qual è, mi sa proprio di sì! Gli ho quindi promesso che una cascia dei ficodindia più dolci l’avrei conservata per lui, così è contento!»
Il Petralia era stimatissimo in quella comunità. Tutti gli volevano bene e lo rispettavano. Teresa, invece, era diventata insofferente. Tutto quello che usciva dalla bocca di Giuseppe Petralia, lo stimato storiografo, si tramutava per lei in oscenità. Pochi giorni a seguire, un sabato sera già inoltrato, Teresa andò a messa. I troppi pensieri e le bizzarre stranezze che affollavano il suo corpo e il suo animo richiedevano una pace che non riusciva quasi più a placare con la fede. Era praticamente sola, quella sera, nella chiesa. Raccolse un cero e dunque lo accese. Dopodichè, recitò una preghiera. Nel momento in cui stava riponendo la scatola di fiammiferi nell’apposito cassettino, udì, vicinissima, una voce proveniente da una figura seduta nella panca dietro la sua. Era, neanche a farlo apposta, il Petralia.
«O scuru, 'o scuru, mu stricu 'nto muru.»
(nel buio fitto, me lo strofino al muro)
Teresa era di nuovo avvampata [infiammata, accaldata]. Nell’imbarazzo, era indecisa se mollare un ceffone sul volto del disgraziato oppure se correre via, lontano da quelle assurde oscenità. Tuttavia, la sua ossessione era ormai diventata tale per cui le fu impossibile allontanarsi da quel surreale momento di perdizione, inoltre sentiva uno strano senso di calore partire dal basso inguine. Un disagio che non avvertiva solo come un disagio. Avrebbe preferito non provare nulla di tutto questo, eppure lo provava. Un calore umido che le fece scordare rapidamente la preghiera che stava recitando. Nel frattempo, iniziò la messa. Cercò dunque di distogliere i pensieri e pregare. Teneva in mano il Rosario. Chiuse gli occhi e recitò la formula sacra. Nel frattempo, sentiva Petralia da dietro che sussurrava:
«Un vecchiu, a menzu li gammi, longa l'avia e la muvìa»
(un vecchio, in mezzo alle gambe, lunga ce l'aveva e la muoveva.)
Lei era presa ormai da un calore indomabile. Stava prendendo fuoco con tutta la veste. Non poteva stare in quel modo, non dopo quelle parole! Decisa a spostarsi, si alzò e si parò in prima fila, davanti al sacerdote. Proprio quella sera, a celebrare messa, era venuto il Vescovo in persona, poiché il parroco era malato e la messa andava comunque cantata da qualcuno. Se non avesse saputo chi aveva davanti, avrebbe comunque capito che si trattava di un Vescovo, poiché teneva una quantità incredibile di orpelli e gioielli intorno al collo e sulle braccia, nonché dei grossi anelli sfarzosi. Teresa sapeva benissimo che quello era lo sfarzo necessario proporzionale alla devozione. Il vero valore della fede! Non fece nemmeno in tempo di finire quella santa riflessione che il Petralia si avvicinò nuovamente e le si sedette accanto. Egli a quel punto, non curante del fatto che Teresa tremava tutta, sussurrò:
«Monsignori l'avi grossu, lu Papa cchiù di cchiù, a li fimmini cci piaci e si lu mettinu a tri a dù.»
(Monsignore l'ha grosso, il papa ancora di più, alle donne piace e se ne mettono due o tre alla volta)
Teresa guardò dritta negli occhi del Petralia. Ormai la vampa era incontenibile. Gli prese una mano e la poggiò in mezzo alle proprie cosce. Sfregò con vigore, mentre ancora la messa era in svolgimento. Petralia non si mosse. Non parlò, sembrava ammammaloccuto (shoccato). Teresa si alzò e tirò a sé lo storiografo. Lo portò verso l'ingresso, dietro una delle colonne, lontano dalle panche della navata.
«Signor Petralia, mi tocchi. Non ce la faccio più.»
«Signora Teresa, ma…. ma… perché fate questo? Perché proprio qui?»
«E la smetta, Petralia! Lei ha proprio voluto tirare fuori il diavolo che c'è nelle mie carni! Ha parlato assai [tanto, troppo] e adesso è meglio che rimanga muto! Prenda quello che ha tanto desiderato...»
«Non mi faccia questo, signorina! Non vede dove siamo?»
Disse Petralia mentre inesorabile palpava le morbide mammelle di donna Teresa.
«Mi dica che sono ignobile, che sono fitùsa (sporca), che sono sdisonorata. Questo, io sono!» replicò lei.
Mentre sussurrava tutte queste sconcerie, Teresa strinse in una morsa il Pitré all’altezza del cavallo e lo stritolò così forte da fargli emettere un grido strozzato.
Il vescovo taliò dalla distanza e si interruppe sconvolto.
«Che andate facendo, voi laggiù?»
Petralia si pietrificò, come in una sorta di rispettoso omaggio al nome che aveva ricevuto da suo padre. Teresa, invece, era esattamente come la statua del Bernini in estasi. Sembrava ormai posseduta da forze demoniache e da spasmi isterici.
«Non vi preoccupate…. Ho avuto…un attimo di debolezza di corpo. Mi serviva un po’ d’aria e il signor Petralia gentilmente mi stava dando una mano nel sorreggermi e ricompormi!»
Disse astutamente la giovane, mentre continuava a strusciare, imperterrita, le natiche sul suo ostaggio ringalluzzito. Lo toccò e si fece maniàre dappertutto. Le stesse mani che fino a un momento prima erano state bagnate dall’acquasantiera. Così fu che estirpò la serpe che la divorava da dentro, lasciandosi andare in un urlo quasi espiatorio.
«Signora Teresa! La prego!» Disse il Petralia quasi in procinto di scoppiare, ormai giunto al culmine.
«Zitto Petralia, è lei il porco! E ora lo sugnu macàri io [sono anche io], una porca. Ha capito? Donna Giovanna aveva ragione. Io accussì vogghiu essiri! [Così voglio essere] sentenziò Teresa, ormai fuori di sé.
«E’ una indecenza!» rispose il Petralia, che però non accennava ad allontanarsi dal corpo della fimmina che lo teneva stretto tra le sue grinfie. Teresa accelerò, guardando minacciosa e vogliosa quel povero cristiano indifeso, in un crescente senso di disagio e sbigottimento generale.
«Ora ha capito? Siamo porci entrambi. Lei, con le sue allusioni e i suoi giochetti! Le sue allegorie enigmatiche. E io, nel frattempo, che impazzisco! Petralia! Che lei sia maledetto!»
«Oh Gesù!» esclamò il Petralia finchè non venne dentro i pantaloni, inesorabile, fragoroso, scomposto.
Teresa avvertì il silenzio ripiombare magniloquente. Guardò dunque nella direzione della navata centrale, verso il Vescovo. Tutti stavano fissando lo sguardo nella semioscurità, verso la loro direzione. Petralia, con i pantaloni completamente fradici, iniziò a correre a gambe levate senza voltarsi. Teresa, invece, svenne di colpo.
Quella sera giunse la febbre. Una tremenda febbre che durò per quattro giorni e quattro notti. Donna Giovanna accudiva Teresa con cure amorevoli e materne. Usava i panni umidi e le coperte pesanti.
La ragazza non appena ebbe le forze sufficienti per bere e mangiare, riuscì a pronunciare le prime parole:
«Donna Giovanna, che è successo? Non ricordo nulla.»
«Tranquilla, figlia mia.»
«Che ne è stato del Petralia?»
«Lascia stare, figlia mia. Non è più un problema tuo.»
«Ma dov'è andato? Che ne è stato di lui? Non è venuto a trovarmi, a vedere come sto!» Chiese lei, ancora preda dei deliri di quell’atto peccaminoso.
Donna Giovanna raccontò i fatti esattamente per come si svolsero. Il Petralia, a seguito dell'incresciosa vicenda svoltasi durante la messa del vescovo, giunse a esprimere i propri omaggi a Donna Giovanna, con gli auguri di pronta guarigione nei confronti di Teresa. Dopodiché, la sera stessa partì per il capoluogo, senza mai più mettere piede in paese. Tutti ora sapevano la vicenda, divenuta scandalo: Petralia avrebbe importunato una giovane donna in un luogo sacro e questo fu un fatto di enorme sfregio per la comunità, presso cui il famoso storiografo non era più persona gradita.
«Ma Donna Giovanna, così mi dilaniate! In verità accadde il contrario, poiché fui io stessa presa dal demone evocato da quelle oscene parole che credevo fossero rivolte a me, al punto da lasciarmi andare in voluttà e sconcerìa…»
Donna Giovanna comprendeva lo stato d’animo della povera giovane.
«Cara, dolce e povera Teresa. Io te l'avevo detto che non dovevi farti entrare in testa quelle sporcizie. Te lo dissi oppure no?»
«Lo so, ma le sue parole erano come fuoco dentro di me. Non potevo contrastarle. Perché quell’uomo ha voluto tentarmi in modo così perverso?»
Giovanna, che di anni ne aveva cinquantadue e tanta esperienza, la guardò con teso sguardo ammonitore.
«Durante questi giorni in cui la febbre ti ha fatto delirare, hai ripetuto nell’esatta sequenza tutte le oscenità che credi il Petralia ti abbia rivolto. Riesci a ricordarne qualcuna, adesso?»
«No. Non ricordo proprio nulla.»
«Bene. Te le spiego io. Hai acceso per caso un cero in chiesa?»
«Si, ricordo di aver acceso una candela. Era tutto buio e cercavo di non mettere i piedi in fallo.»
“Bene. Di solito, cosa si fa per accendere le candele? Cosa è che si strica nel muro e piglia foco? Ora l’hai capito, no?»
Teresa ci pensò su. 'O scuru 'o scuru, me lo strofino al muro.
«Il fiammifero?»
«Esattamente. E dimmi un po’, che hai fatto dopo? Hai per caso pregato con il Rosario in mano?»
«Si, donna Giovanna, l'ho fatto.»
«E come è fatto un Rosario, Teresì? Non è forse una lunga corda che viene manipolata di continuo durante le preghiere?»
Teresa era scandalizzata. Lunga ce l'aveva, e la muoveva proprio come aveva pronunciato il Petralia.
«La corona del Rosario! Oh no, Donna Giovanna... quindi era questo?»
«Per l'appunto. E infine, Teresa, quanti gioielli indossava il vescovo?»
«Tanti, donna Giovanna. Troppi gioielli in mano a un solo uomo. Ma questo cosa c'entra con il nostro discorso?»
«C'entra, eccome se c'entra. Teresì. Lo sai a che servono? A fare capire la differenza tra un sacerdote importante e uno che non conta nulla. La differenza che passa tra un vescovo e un papa.»
Teresa a quel punto capì. Monsignore ce l'aveva grosso, il papa anche di più.
«L'anello! Donna Giovanna. L'anello...»
«Brava, Teresì! Ci sei arrivata, finalmente! Gli anelli di solito li mette la donna, no?»
«Appunto.»
«Anche più d'uno, se è il caso. “Ogni tanto due, ogni tanto tre”. Giusto, Teresì?»
Teresa era muta. Donna Giovanna aveva uno sguardo severo ma confidente. La giovane si abbandonò a un pianto intenso, carico di pudore, poi si riaddormentò. Donna Giovanna, che era persona di cuore, riconosceva l’importanza di quella lezione.
In paese, la storia durò da Natale a Santo Stefano, ovvero che tutti presto se ne dimenticarono e proseguirono le loro vite come se nulla fosse mai successo. Il povero Petralia venne ritrovato mesi dopo in una fossa comune, nelle campagne lontane, derubato e abbattuto da un singolo colpo di lupàra. La sua gentilezza venne ricordata dai più colti e dai più longevi come una rarità per pochi. La sua saggezza fu tramandata nella tradizione orale di un popolo intero. Molti giovanotti ripresero a frequentare ben volentieri la chiesa del paese, nella speranza che l'omelìa fosse accompagnata dalle delicate interpretazioni di donna Teresa, stimatissima e pudicissima donzella dal cuore grande e dagli ancor più grandi desideri ardenti.
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