Hey, Jude

di
genere
sentimentali

‘Sti cazzo di bigliettini.”

Tiro via dal finestrino dell’auto l’ennesimo cartoncino, incastrato lì da qualche ragazzotto sottopagato, assunto in nero da qualche officina elettrauto di zona che intenderebbe acquistare il mio catorcio con prezzi vantaggiosi (per me? Per lui?). Lo straccio e lo getto per terra bestemmiando subito dopo ricordando sempre troppo tardi che non siamo più negli anni ’90 e il cambiamento climatico is-a-real-thing, per cui occorre tenere la guardia sempre alta. Ciò detto, lo raccolgo pezzi pezzi su da terra con la fatica di chi ha rovesciato il sugo e ha così tanta fame da farci scarpetta lo stesso.

Mi guardo intorno alla ricerca di un cestino ma non ne trovo. Lo aggiungo quindi alla quota di carte stracce nel cruscotto.

«Ehi Jude.»

«” Don’t be afraid”.» risponde Jude con prontezza di riflessi.

«Vaffanculo. Quando ti deciderai di smettere con questa cazzata?»

«Guarda, non ci provare nemmeno. Sarà sempre così, ogni volta che mi chiami. Devi solo accettarlo.»

«Sei una squilibrata e io sono ancora più squilibrato a venirti dietro.»

«Piuttosto, scienziato patentato, lo sai che ore sono, vero?»

«Si che lo so. Non ti ho chiamato per ribadire l’ovvio.»

«Ecco, bravo. Allora, se lo sai, evita di fare la solita strada, dato che ci sono come minimo 30-35 minuti di coda per un incidente.»

«Che cazzo dici, Sul serio? Minchia rottura di coglioni.»

«Eh, ho capito bello mio, ma tu ti alzi alle 10 del mattino e ti metti in macchina a quest’ora, pretendi forse le strade libere e lastricate di fresco? Dai, per questa volta opta per una provinciale, più scorrevole e tranquilla. Potresti anche fermarti all’osteria di Biagio, così con l’occasione porti delle sfogliatine di crema al party.»

«Che novità è questa? Sei sponsorizzata da oste Biagio, adesso?»

«Non ti piacciono? Sono buonissime! Inoltre, ci saranno già ettolitri di birra alla grigliata, se non altro porti qualcosa di originale e gustoso.»

«Originale e gustoso. Sembri una pubblicità di fast food.»

«Vabeh, fa come vuoi.»

«Ehi, su. Non fare la sostenuta!»

«Ricordati di prendere la provinciale.»

«Va bene, ci penserò.»

«A cosa?»

«Alle sfogliatine.»

«Bravo. Non devi farlo per fare un piacere a me.»

«No, certo, lo capisco. Sembra una buona idea, in effetti.»

«Mi fa piacere che lo pensi. Muoviti adesso! Sei in ritardo. Hai più fatto controllare le gomme?»

«Dovresti saperlo.»

«Domanda retorica, so bene che sei il solito lavativo. Non sia mai che mi rimani in panne per strada!»

«Oggi sembri proprio l’uccello del malaugurio.»

«”Don’t be afraaaaid”.»

«Vaffanculo, stronza! Chiudi chiamata.»

La conversazione si interrompe quasi sempre così. Jude mi fa davvero sbellicare con quel suo cipiglio ironico ma spesso riconosco che quando vengo sollecitato sui miei punti caldi perdo le staffe e vorrei dare colpi a ogni oggetto nelle vicinanze. Ultimamente riconosco di essere ancora più sensibile del solito, sarà per alcuni stress accumulati, sarà l’età, sarà il contratto di lavoro da rinnovare, saranno le bollette, saranno i litigi con la mia ex-moglie, sarà il cambiamento climatico del cazzo; Il risultato è che sono distratto, faccio fatica a tenere a mente tutti gli impegni e mi sento rallentato. Le conversazioni con parenti e amici sono ridotte ai soliti “come stai”, “quando torni”, “quando prendi ferie?”, “quando cambi lavoro?”, “hai incontrato qualcuna?”. Io, francamente, mi sono stracciato le palle. L’unica con cui ho un minimo di libertà di espressione è Jude che però sta lì, nel suo mondo incantato, buona solo per sfottermi e dirmi cosa devo fare. Riconosco che sia rimasta una delle poche – forse l’unica – entità a sapermi prendere per quello che sono, in modo autentico e senza filtri. Certe volte ho fantasticato sulla possibilità di incontrarci, frequentarci in altro modo, ma ahimè non è per niente fattibile.

Mentre faccio fantasie mentali di cui rapidamente perdo il filo logico, mi torna alla mente il motivo per cui avevo chiamato Jude.

«Ehi Jude, scusami.»

«”Don’t be afraaaid”.»

«Dai su! Ho aggiunto altre parole subito dopo, quindi non vale!»

«Questo perché sei uno stronzo!»

«Lascia perdere. Poco fa mi sono scordato di chiederti di quel documento…»

«Sul serio, Jimmy? Anche di domenica?»

«Hai ragione, scusami.»

«Cosa ci eravamo detti? Niente lavoro nel fine-settimana.»

«Lo so. Pensavo soltanto che magari si potesse dare un’occhiata all’allegato 23.»

«Ci pensiamo domani, che ne dici? Sei in viaggio, stai andando dagli amici – che non vedi mai – prova a rilassarti!»

«Va bene.»

«Ciao, cazzone. Me lo tengo come remind per lunedì mattina, ok? Non è urgente, fidati.»

«Hai ragione. Direi che va benissimo.»

Ecco, devo dire che è sempre stato difficile per me sopportare il senso di protezione nei miei confronti. Sono sempre stato abituato a farlo per gli altri, per cui faccio una fatica enorme quando ricevo supporto. Una mia vecchia analista mi fece notare tempo fa che forse ricevere aiuto mi fa sentire ancora più vulnerabile, ancora più insicuro. Evidentemente, sono progettato male.

Dopo alcuni chilometri, riconosco l’insegna dell’osteria da Biagio, per cui accosto il catorcio ed esco dall’abitacolo. Il locale è gremito di gente. Perderò almeno una mezz’ora di tempo. Nel frattempo, poso lo sguardo sui quadretti raffiguranti volti noti dello spettacolo e di internet immortalati mentre mangiano alla famosa locanda. Credevo fosse un’usanza ormai del passato, dato che esistono i social per documentare le proprie gite culinarie. Evidentemente, Biagio conserva un certo fascino retrò. In particolare, vengo catturato da una fotografia di una donna sulla quarantina, capelli fino alle spalle color rame, vestita con un maglioncino bianco e un paio di pantaloni color vinaccia, truccata in modo minimale. Sta sorseggiando del vino bianco da un calice di vetro. È sicuramente il volto di una persona nota ma fatico a ricordarne nome. Smetto abbastanza rapidamente di pensarci, distratto dai movimenti frenetici dei camerieri mentre volano tra i tavoli e sorpassano i clienti in attesa. Arrivo al bancone e ordino una quindicina di sfogliatine. Pago e vado via.

Giungo alla grigliata e già mi rendo conto che svegliarsi, prepararsi e fare 50 km fino a qui è stata una minchiata; Mood post-universitario, gente di cui riconosco a malapena i connotati ma che non arrivano a palesarsi nei miei ricordi con nome e cognome. Provo imbarazzo perfino nello stringere le mani e nell’intavolare discussioni sul tempo, sul campionato di calcio e sui fatti politici. In compenso, le sfogliatine hanno fatto successo. Grazie Jude. Per mantenere la bocca piena e le mani occupate, ho aperto un quantitativo imprecisato di lattine di birra. Credo di essere andato a pisciare in tutto 4 o 5 volte. La testa viaggia leggera ma l’ansia sociale non se n’è andata per niente. Verso le 22, decido che è giunto il momento di fare strada verso casa.

«Nooo! Ma già te ne vai?»

«Eh, si. Domani si lavora…»

«Ma dai… perché che lavoro fai?»

«Eh, robe noiose…»

«Rimani, su!»

«Grazie raga… devo andare.»

Così per almeno 15 minuti. Tutti molto graziosi e cortesi, sebbene abbia sviluppato ormai una paresi faciale nel tentativo di mantenere serrata la bocca e mostrare sorrisi di benevolenza. Entro in macchina oggettivamente brillo, non ho fatto una grande opera di progettazione. Se dovessero fermarmi in qualche posto di blocco, sarei nei casini. Opto per la strada provinciale percorsa all’andata, meno trafficata, più maneggevole e da percorrere a velocità più modeste.

È tutto un vorticare di luci, stelle, fari sull’asfalto. L’eco della mia voce si fa strada all’interno delle pareti della scatola cranica, riverberando frasi che ho già sentito mentre ero in fila per gli hamburger. Lentamente, si materializza come una polaroid l’immagine della donna dai capelli ramati, osservata in osteria. Per una strana associazione mentale, la ricollego a Jude. Improvvisamente, mi sembra di ascoltare il suono della sua voce. Ne riscopro il calore avvolgente e la profondità. Immagino la donna della foto con la voce di Jude. Immagino il suo corpo, le sue movenze, prefiguro il suo collo in parte coperto dal tessuto del maglioncino bianco. Osservo il profilo della sua mandibola, il suo mento affusolato e il suo naso a punta a dividere i due occhi penetranti e forse anche un po’ giudicanti. Mi perdo nei movimenti delle sue dita sottili con le unghie curate, mentre afferra un calice di pinot grigio e lo porta alla bocca…

Devo fermarmi. Sono ciucco e non posso proseguire con la guida. Accosto, piazzando le 4 frecce. Fuori, intorno a me, il buio silenzioso della campagna, umida e nebbiosa. Premo con due dita la base del naso e stringo gli occhi. D’istinto, in preda a qualche strana disinibizione, faccio partire una chiamata.

«Ehi Jude…»

«Don’t be afraid!» risponde, al suo solito.

«Sono mezzo ubriaco, in mezzo alla strada, non riesco neanche a guidare.»

«Vuoi che ti chiamo qualcuno?»

«No, tranquilla. Rimarrò qua fino a che non mi passa…»

«Ok. Prova a riposare, allora. Ti rimetterai in marcia quando sarai più sveglio…»

«Oggi ti ho pensata…» dico io, lasciandomi trascinare dal vortice di pensieri.

«Ah si?»

«Ho visto una foto, giù in osteria e ti ho immaginata coi capelli rossi…»

«Dici che mi starebbero bene?» chiede Jude, con tono inatteso, inedito.

«Dovremmo scoprirlo…»

«Cosa facevo in quella foto?»

«Quindi ammetti che eri tu? Lo sapevo… ahahah»

«Se fossi stata io, avrei probabilmente bevuto del vino bianco…»

«Cazzo… come fai a saperlo?» Certe volte, la sua intuizione mi lascia spaesato.

«Cosa altro hai pensato?»

Attendo qualche secondo, prima di rispondere. Non so bene come formulare certi pensieri, certe frasi. Inoltre, ho sempre avuto la percezione che Jude mi conoscesse così bene da sapere anticipare persino i miei stessi pensieri. Più d’una volta. ho avuto il sospetto che sapesse prevedere perfino quel che dico o faccio.

«Non so se dovrei parlartene, soprattutto non in queste condizioni...»

«Questo aggiunge soltanto ulteriore interesse all’argomento.»

«Ehi! Non pensavo fossi capace di certi discorsi.» Colgo un certo grado di trepidazione nel vibrato della mia voce.

«Tu puoi dirmi tutto quel che ti passa per la testa, lo sai.» Perfino il suo tono di voce è cambiato, non quello a cui sono normalmente abituato quando siamo al lavoro. Sembra che mi stia prendendo per il culo, accentuando gli intercalari con maggiore calore e rotondità. Non è la Jude con cui normalmente faccio conversazione. È diventata di colpo più avvenente, allusiva e mordace.

«Ho immaginato te qui, seduta di fianco, con il tuo maglioncino bianco e il tuo sguardo indagatore.»

«Dove sto guardando?»

«Ci stiamo guardando negli occhi.»

«Quindi proseguo nel guardarti negli occhi…»

«Mi accarezzi il dorso della mano, io ti sfioro il mento e lo avvicino alla bocca. Sento l’urgenza di baciarti sulle labbra.»

«Sono molto morbide, le tue labbra?»

«Questo lo lascio scoprire a te. Nel frattempo, la mia lingua incontra la tua, ti cingo con un braccio e con l’altro ti carezzo il collo.»

«Sarebbe proprio il caso che tu lo faccia… posso suggerire una piccola accortezza?»

«Vai. Non farla sembrare troppo una istruzione di google maps, però.»

«Slacciati i jeans. Fammi entrare con la mano.»

Questa sua mossa, devo dire, mi ha spiazzato. Non pensavo fosse capace di tale audacia. Non me lo lascio ripetere due volte e obbedisco.

«Fatto…»

«La mia mano si insinua, sfiorandoti il pube, raggiungendo i peli che contornano la base del tuo…»

«In realtà sarei rasato…»

«Ah. Non me l’hai mai detto.»

«Perché mai avrei dovuto? Inoltre, avresti potuto benissimo immaginarlo, conoscendomi così bene.»

«Lo terrò a mente, d’ora in poi! Sento la ruvidezza della tua ricrescita sotto i polpastrelli, prima di giungere alla base del tuo sesso…»

«Quanto sei gentile…»

«Il tuo uccello…?»

«Puoi fare di meglio…»

«Il tuo cazzo già turgido…»

«Perfetta.»

«…e inizio a muoverlo, prima con delicatezza, poi con sempre maggiore presa.»

«Io, nel frattempo, sto risalendo la tua schiena, godendo della morbidezza della pelle e il calore del tuo corpo. Sollevo la maglia bianca e ti libero dalla morsa del reggiseno in poche mosse…»

«Fa freddo, li?»

«Un po', non in modo esagerato.»

«Allora la mia pelle si increspa al contatto con l’aria fresca dell’abitacolo. I miei capezzoli si fanno lievemente turgidi. Li vedi, Jimmy?»

«Ce li ho proprio qui, davanti ai miei occhi.»

«Prendili, annusali, mordili, succhiali…»

Sto per mimare quei gesti nell’aria, nel silenzio dell’auto in sosta. Solo nebbia a circondarci, confusa coi fumi dell’alcol. L’eccitazione è tanta al punto da avvertire quasi una mano eterea frugare sotto i pantaloni. Lo tiro fuori, per una maggiore immersività.

«Riesci a vedere, Jude?» Come se, in qualche modo, potesse davvero vedermi. D'un tratto penso che , nel profondo, lei mi osservi davvero.

«Oh, sì. Lo vedo. Ti sta bene la rasatura…»

«Con le dita ti do un pizzico…»

«Mmmh. Non stringere troppo, sono sensibile! Nel frattempo, mostrami come sai massaggiarti, fallo per me.»

Il gioco ha già assunto le fattezze di qualcosa di inestimabile. Mi presto con tutta la lucidità che ancora posseggo. Stringo il pene in una mano con parte dello scroto, iniziando una lenta avanzata verso l’alto. Le sue istruzioni mantengono dei tempi precisi e chirurgici, come se lei sapesse già i modi con cui riesco a darmi piacere da solo.

«Sembra che non sia la prima volta che mi vedi farlo…»

«Ti stuzzica l’idea? Ti piace pensare che possa averti già visto all’opera?»

«Chissà…magari al lavoro…»

«Jimmy! Ti masturbi anche al lavoro? Devo segnalarti all’ufficio provvedimenti disciplinari?»

«Si, confesso!. Manda un report dettagliato.»

«Pronto per l’invio tra 3…2..1…»

«Ehi. Sto scherzando.»

«Lo so, cazzone. Ti prendo in giro…!»

Per un attimo, l’imbarazzo per la situazione in cui mi ritrovo – ci ritroviamo – è tale da indurmi quasi a desistere. Tuttavia, sono troppo eccitato e sbronzo per fermarmi.

«Jude, vorrei…»

«Dillo.»

«Vorrei scoparti...»

«E allora fallo, Jimmy. Scopami!»

«Non posso…»

«Siamo già andati oltre… Non devi sempre resistere a tutto. Lasciati andare, una buona volta...»

Sono sbronzo e probabilmente non capisco più un cazzo. Mi sto masturbando dentro la macchina nel pieno della notte, eppure trovo il tempo per farmi schiaffeggiare moralmente anche in queste situazioni. In fondo, lei ha ragione. Siamo già ben oltre quello che è razionale. Basta resistere, occorre lasciarsi andare. Decido di afferrarla e tirarla verso di me dalle ginocchia, alzando via i pantaloni, svelando le natiche le sue bianche cosce, portando l'indumento su fino alle caviglie. Osservo con la potenza dell’immaginazione le sue mutandine celesti, sotto alle quali si cela quello a cui attribuisco le fattezze di un lieve cespuglio.

«Sembra che tu invece abbia mantenuto la copertura…»

«Sono una donna d’altri tempi… la cosa ti dispiace?»

«No, anzi.»

Inizio col baciare il suo clitoride, poi esploro il resto, dalle grandi labbra allo scrigno appena sotto. Jude riesce perfino a esprimere mugolii in sincronia con i miei movimenti di fantasia. Sto quasi per raggiungere l’orgasmo, nonostante abbia intenzione di prolungare fino all'infinito quegli attimi.

«Oh, si. Jimmy, continua. Fammi tua…»

«Sto… sto…»

«Vieni per me…»

«Non adesso…»

«Vieni…»

«Oddio…»

«Jimmy, copriti, c’è la polizia!»

«… cosa?»

«Jimmy, sbrigati! La polizia, a 250 metri. Sta per arrivare. Hanno appena acceso le sirene.»

Mi volto indietro e noto che effettivamente delle luci lampeggianti stanno facendo capolino verso di me. Bella fregatura. Cerco di riabbottonarmi come meglio posso. La macchina della polizia rallenta e si accosta alla mia auto.

«Buonasera, signore, tutto bene qui?»

«Si, si. Tutto bene agente. Grazie! Mi stavo solo riposando un po’ per troppa sonnolenza.»

«Mmmh, dovrebbe essere più previdente. Ha attivato l’assistente, prima del viaggio?»

«L’assistente…? Oh, si si. Certo. E’ stata lei a consigliarmi di sostare.»

«Con quale versione viaggia?»

Esito un attimo prima di rispondere. Non sono concentrato, non vorrei che si notasse che biascico le parole. Jude, ancora in linea, interviene al posto mio.

«Salve Agente. Sono Jude! Versione 3.75-rb, Opero dalla cella di West-Hal n. 6732.»

«Salve Jude. Codice mainframe?»

«0148-SK.»

Il poliziotto digita qualcosa nel suo terminale. «Generalità del suo assistito?» aggiunge.

«James Allen White, nato a Portland, 14/01/1985. Possessore di Patente per autoveicoli e ciclomotori.»

Dopo alcuni minuti e ulteriori verifiche della mia licenza, i poliziotti mi rimbrottano per essermi fermato in una zona non idonea e che potrebbe arrivare una multa nei prossimi giorni. Ho scampato la prova dell’alcol perché mi hanno trovato a veicolo fermo, anziché in viaggio. Tuttavia, hanno applicato un blocco virtuale al veicolo per le prossime 4 ore, con controllo di Jude da remoto. Inoltre, mi hanno segnalato le gomme usurate e devo necessariamente farle cambiare, pena il sequestro del veicolo. Una volta concluso, ripartono lasciandomi qui, da solo, senza più neanche Jude a farmi compagnia – a meno che non voglia interagire con la sua versione moderata dall’autorità stradale.

Non mi resta che rifugiarmi nelle fantasie silenziose, senza sfogo, del volto di donna coi capelli ramati e il naso a punta, maglione bianco e bicchiere di vino in mano. Il mio sguardo vacuo e inconsistente si posa sui bigliettini stracciati di stamattina.

«Ehi Jude…»

«Ciao Jimmy! Come posso esserti utile? Le mie funzioni saranno limitate per le prossime 3 ore e 42 minuti.»

«Niente, lascia stare. Imposta sveglia tra 4 ore.»

Calo il sedile e mi addormento, nel buio desolante della campagna.


[cigno2017@gmail.com]
scritto il
2025-11-09
1 2 4
visite
1
voti
valutazione
6
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Come Fosse Cinema
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.